“Nel tratto del viadotto interessato dal sinistro venivano rilevati gravi ed anomali fenomeni corrosivi degli elementi metallici (cd tirafondi) e inoltre è stato rilevato un errore di progettazione nei giunti”. Lo scrivono nero su bianco i consulenti della Procura di Avellino nella relazione tecnica sull’incidente del 28 luglio 2013 che causò 40 vittime, pellegrini di Pozzuoli che tornavano da Pietrelcina a bordo del bus turistico precipitato in una scarpata sull’autostrada A16 nel tratto tra Monteforte e Baiano. I magistrati coordinati dal Procuratore della Repubblica Rosario Cantelmo hanno inviato a 15 persone l’avviso di conclusione delle indagini preliminari. Tra questi oltre a molti funzionari e dirigenti di Autostrade per l’Italia ci sono anche l’amministratore delegato Giovanni Castellucci e il direttore generale Riccardo Mollo. Le ipotesi di reato sono disastro colposo e omicidio plurimo colposo. Nell’elenco dei magistrati di Avellino figurano anche due dipendenti della Motorizzazione Civile e il proprietario del bus turistico Gennaro Lametta: per loro le accuse si estendono al falso in atto pubblico poiché: “falsificavano un documento informatico pubblico e il report contenente i dati dell’autobus al fine di ottenere il tagliando dell’avvenuta revisione”.
In effetti la dinamica dell’incidente ha confermato un malfunzionamento dell’apparato tecnico del mezzo poiché dopo la rottura dei freni, il bus sfondò il guard rail e precipitò dal viadotto Acqualonga. Ma secondo i consulenti della Procura di Avellino non fu questa l’unica causa della tragedia. In un documento in possesso del VELINO i pm evidenziano responsabilità a carico de “l’amministratore delegato di Autostrade per l’Italia e dei dirigenti della Direzione Centrale e relative articolazioni, colpa e negligenza, imperizia e imprudenza nonché violazione delle norme che garantiscono la circolazione autostradale in condizioni di sicurezza, per aver omesso di provvedere alla riqualificazione dell’intero viadotto”. Quel che però desta preoccupazione e crea scalpore è la parte relativa a un presunto “errore di progettazione nei giunti a cannocchiale presenti nella parte superiore delle barriere poste in corrispondenza dei giunti di dilatazione del viadotto che presentavano un collegamento scorrevole del mancorrente superiore in acciaio senza fine corsa dell’elemento di giunzione”.
Secondo i magistrati e gli esperti dunque “la criticità di tale collegamento si manifestava in caso di urto diretto”. In parole più semplici quel tratto autostradale, non era sicuro poiché non sottoposto a manutenzione ma peggio ancora, errato in fase di progettazione, almeno stando all’impianto della Procura. A quanto pare l’allarme era già stato dato nei mesi antecedenti all’incidente e questo potrebbe destare preoccupazione per altri tratti. La relazione agli inquirenti irpini è stata firmata da Alessandro Lima, Andrea Demozzi, Lorenzo Caramm e Vittorio Giavotto, professore al Politecnico di Milano considerato il padre di molte normative sulle barriere. Secondo quanto filtra al VELINO, uno degli esperti della Procura, in altra veste, avrebbe in passato fatto presente “ad alti livelli istituzionali del Ministero” la presunta inadeguatezza di alcuni tratti autostradali. Senza essere mai preso in considerazione.
Nei documenti dei magistrati di Avellino risulta che, se fossero state rispettate le regole e le normative “con tasso di elevata probabilità scientifica” si sarebbe “evitato lo sfondamento del guard rail”. Insomma si sarebbe evitata la catastrofe. Nella guerra di consulenze emergeranno altri dettagli e gli indagati si difenderanno con i loro tecnici e i loro rilievi. Tutto dunque è da confermare e confutare, nessuno può essere definito ancora colpevole in attesa anzitutto della richiesta di rinvio a giudizio che – secondo fonti del VELINO – potrebbe non esserci per tutti gli indagati, se si valuta il principio della responsabilità oggettiva. Fonte ilVelino/AGV NEWS.