Il problema della povertà non affligge più solo l’Africa, e tutti gli altri paesi, che insieme a questo, godono di un aggettivo detto “paese del terzo mondo”. Non solo più queste zone sono afflitte da una povertà insaziabile ma anche nel nostro, vi sta sempre di più dilagando. E’ proprio riguardo al nostro paese in Italia oltre un minore su dieci in Italia era nel 2015 in situazione di povertà assoluta. È la fotografia scattata dalla Banca d’Italia nell’ultima relazione annuale. Nel documento si sottolinea come negli anni di crisi la povertà sia aumentata in Italia soprattutto tra le famiglie numerose e tra le coppie con due o più figli. Più protetti invece gli anziani, “per effetto della maggiore stabilità dei redditi da pensione rispetto a quelli da lavoro”. Nel 2015, ultimo anno per il quale si dispone di informazioni, il numero di persone in condizioni di disagio economico è rimasto sui massimi raggiunti a seguito della crisi. La quota di individui a rischio di povertà o esclusione sociale (secondo i dati Eurostat) si è attestata al 28,7%, circa tre punti percentuali in più rispetto al 2007 e cinque punti oltre il dato medio dell’Unione europea. Il numero di individui in condizione di povertà assoluta era pari al 7,6% della popolazione (4,6 milioni di persone, sulla base di stime dell’Istituto italiano di statistica), il valore più elevato dal 2005. A versare in tali condizioni, si legge nella relazione, erano in particolare i nuclei composti da soli cittadini stranieri, con un’incidenza sette volte superiore a quella delle famiglie di soli italiani cresciuta, tra il 2014 e il 2015, specialmente al Nord. La povertà è aumentata tra le famiglie numerose e tra le coppie con due o più figli. La conseguenza, ha messo in evidenza la Banca d’Italia, è stata un ulteriore aumento della povertà minorile, anche questa elevata nel confronto europeo; la quota di minori in povertà assoluta ha superato nel 2015 un decimo della popolazione di riferimento. Tra gli anziani l’incidenza del fenomeno è stata più bassa e stabile durante la crisi (circa il 4% nel 2015) per effetto della maggiore stabilità dei redditi da pensione rispetto a quelli da lavoro, in linea con quanto osservato nei principali paesi dell’area.