di Gianni Amodeo
Politique d’abord, ovvero l’esercizio della politica prima di tutto, sfrondandola anche e soprattutto da tutte le posizioni che possano rivestirsi e ammantarsi di ideologia e visioni di vita, per godere di maggiore appeal e credibilità, ma senza particolari impegni e ragioni di coerente osservanza; politique d’abord, ovvero l’esercizio della politica, intesa quale “arte” dell’impossibile di ieri o di appena poco fa, reso possibile, praticabile e realizzabile nell’immediatezza per la governabilità tout court, quale gestione del potere–per–il–potere, rifuggendo da responsabilità dirette. Qui ed ora; hic et nunc. Il filo che dà corpo e forma alla politique d’abord è il negoziato, la giostra dei negoziati con “tavoli” che si aprono, chiudono e riaprono con affannati attori e affannate attrici alla ricerca della quadratura appagante. Si mercanteggia e si traccheggia, si va per il bluff e l’azzardo, guardando il presente. E’ il bello del negoziato, arte parolaia e leggera, con tanti affaccendati cultori e interessate cultrici, spesso neanche portatori e portatrici di una qualche utilità sociale, espressa nello svolgimento di un normale lavoro, ma sicuri percettori e percettrici di generose prebende e indennità elargite a vario titolo da Enti, Consigli d’amministrazione di società pubbliche o parastatali e via seguendo nella pletora degli organismi foraggiati dal denaro pubblico.
Sul tema della governabilità del Bel Paese, a fronte della crisi del governo Conte–bis, mentre in tanti guardano nella sfera di cristallo, con il gran corteggio dei talk show spesso confusi, strillati e confusionari, per estrarre presentimenti sull’epilogo che la vicenda avrà tra lunedì e martedì prossimi, merita, tuttavia, attenzione un breve passaggio del discorso che Leonardo Sciascia – modello di forte caratura etica ed ineguagliabile scrittore civile e testimone largamente attendibile sulla storia dell’Italia contemporanea– pronunciò il 10 agosto del 1979.
Era presidente del Consiglio, Francesco Cossiga, a cui Sciascia si rivolge in presa diretta e incalzante, quasi usando la sferza della puntuta dialettica in cui eccelleva, essendo lo stesso politico sardo dimissionario dalle funzioni di ministro dell’Interno, per assumere quelle di guida della compagine ministeriale; funzioni di responsabile del Viminale che aveva assolto, nei difficili mesi del rapimento di Aldo Moro, il leader della Democrazia cristiana, teorico e assertore della Democrazia sostanziale, i cui tempi attuativi erano ormai maturi, superando gli schemi della Democrazia formale, per attuare pienamente i valori costituzionali.
Era il contesto degli anni del terrorismo, le cui cause di fondo e basilari sono ancora dal manto della non–verità, e scandito dallo stragismo nero e dal brigatismo rosso, il cui culmine fu toccato con la strage di via Mario Fani e l’uccisione di Aldo Moro; vicende cupe e buie che lo scrittore di Racalmuto raccontò e rivisitò con acume nel celebre e ben noto saggio- “L’Affaire Moro”- che ebbe ampia diffusione e continua ad essere letto e studiato, come è doveroso che sia, con passione e cura, per conoscere di più e meglio i tornanti e le pieghe della storia sociale nazionale, squarciando i tanti veli di quelle ipocrisie di cui la politica si nutre e alimenta; ipocrisie, generate dagli interessi dei potenti di turno o in arrivo di turno, interpreti e portatori di nuovi equilibri e assetti sociali, così come si strutturano nelle stanze dei poteri e del correlato loro concreto ed effettivo esercizio.
Sono tempi diversi, molto diversi tra loro quali che siano gli angoli di visuale con cui si focalizzino, quelli degli anni ’70 e gli attuali dell’appena iniziato secondo ventennio del XXI secolo; nei primi c’era ancora il bi-polarismo che anteponeva gli Usa e l’Urss, democrazia presidenziale e repubblicana d’impronta federale, da un lato, stato totalitario ed economia sovietizzata, dall’altro e, dunque, Dc e Pci con tutte le varianti possibili della storia politica nazionale. Erano il retaggio del secondo conflitto mondiale, sebbene già declinante, mentre il Bel Paese, ben integrato nella geo-politica occidentale e filo-americano, aveva conosciuto il boom economico della fine degli anni ’50 e anni ’60 con il salto nel benessere materiale mai prima conosciuto e con il 60% delle famiglie che disponeva già dell’abitazione di proprietà privata. Di tutt’altra e bivalente prospettiva si stagliano i tempi correnti del Terzo Millennio in cui perdurano i tristi e tormentati effetti della pandemia della Sars–CoV–2 che miete vittime, estenua menti, logora psicologie, mentre prevale il multiculturalismo con Internet e si sono aperte le vie dello spazio, per l’approdo sulla Luna e su Marte, per l’era cosmica ch’è dietro l’angolo.
E’ davvero tanta, profonda ed macroscopica, la diversità tra ieri e oggi, ma sulla governabilità del Bel Paese, le convinzioni dell’autore de “Il giorno della civetta” restano attuali, con l’aggravante, forse e senza forse, per la quale il personale della classe politica e dirigente è decisamente di modesta levatura culturale, specie sul versante delle cognizioni e competenze economiche e sociali, particolarmente complesse nell’ambito della globalizzazione. Ma ecco il passo del discorso dell’on. le Leonardo Sciascia, parlamentare eletto nelle liste del Partito radicale transnazionale, fondato e guidato da Marco Pannella.
… ”La campagna elettorale che ha portato a questa legislatura è stata da più parti, ma non certamente dalla nostra, svolta sul tema dell’ingovernabilità di questo paese. In realtà, questo paese è invece il più governabile che esista al mondo. Le sue capacità di adattamento e di assuefazione, di pazienza e persino di rassegnazione sono inesauribili. Basta viaggiare in treno o in aereo, entrare in un ospedale, in un qualsiasi ufficio pubblico, avere insomma bisogno di qualcosa che abbia a che fare con il governo dello stato, con la sua amministrazione, per accorgersi fino a che punto del peggio sia governabile questo paese e quanto invece siano ingovernabili coloro che nei governi lo reggono: ingovernabili e ingovernati non dico soltanto nel senso dell’efficienza; intendo soprattutto nel senso di un’idea del governare, di una vita morale del governare.
Tutto ciò che in questo paese ingovernabile, eversione e criminalità principalmente incluse, risiede appunto nel modo di governare.”