Il fenomeno è diffuso in tutta la Penisola, da Nord a Sud. A Vicenza, su 8mila domande, circa 1.600 sono state inoltrate da architetti, 400 da laureati in giurisprudenza e in fila ci sarebbero anche diversi bancari.
A Palermo vive Giuseppe di Carlo, avvocato di 30 anni.Da due settimane ha ottenuto l’abilitazione e, nonostante i sacrifici (“mi sono trasferito a Roma per svolgere il tirocinio obbligatorio perché nella mia città non garantivano alcun rimborso”) ha deciso, almeno per il momento, di non esercitare la professione. “Non mi va di essere sfruttato per uno stipendio da fame da qualche studio legale – spiega – per l’iscrizione all’Ordine degli avvocati, poi, ci vogliono 2-300 euro, per la cassa previdenziale forense circa 800 euro all’anno. Anche se hai un reddito scarso o nullo. Per questo preferisco aprirmi una strada in più, quella della scuola, consapevole di andare incontro a un altro mondo precario”.
Detto, fatto: Di Carlo ha pagato le tasse universitarie (di nuovo) per acquisire i crediti (da economia politica a statistica, da antropologia a psicologia) necessari per l’insegnamento. In particolare, per accedere al percorso triennale di formazione iniziale. “Questo mi consentirà, un giorno, di poter ambire all’immissione come docente di ruolo nelle scuole medie. Ma prima – aggiunge rassegnato – è come se dovessi frequentare un altro anno di Università”.
E i giovani colleghi? “Quasi tutti stanno cercando un piano B. C’è chi punta a sostenere i concorsi pubblici e chi come me all’insegnamento. Ma c’è anche chi fa tutt’altro. Qualcuno fa il cameriere, qualcun altro ha aperto un locale. Molti di quelli che esercitano la professione hanno alle spalle la famiglia che li supporta. Come? Pagando l’affitto o integrando lo stipendio”. Tra dieci anni, dunque, dietro a una cattedra? “No, credo nel diritto, nella mia professione e in ciò che ho studiato. Farò l’avvocato”. Intanto, però, si sta con l’orecchio teso. In attesa di una telefonata dalla scuola: “Viene a fare quattro ore di lezione questa settimana?”.