Il mito della stazione della metropolitana a Toledo è dalla sua nascita un polo che attira un innumerevole quantità di turisti, con i mosaici azzurri e blu oltremare, con quel soffitto che attira a sé gli occhi di coloro che si apprestano ad emergere in superficie dalle lunghe, quasi infinite, scali mobili. Il cosiddetto “Crater de luz”, progettata dallo spagnolo Oscar Tusquets, non è però destinata a essere l’unica Stazione dell’Arte a Napoli, e da poco è stata affiancata da quella di Chiaia-Monte di Dio.
Il progetto, quello delle Stazioni, è nato nel 1995 e ad esso hanno aderito architetti noti e artisti di gran nome. Menzioniamo ad esempio le opere di Pistoletto a Garibaldi o ancora Rashid che si è occupato della stazione Università, polo centrale delle facoltà umanistiche dell’Università Federico II. Nella stazione Vanvitelli è possibile ammirare le stelle in acciaio di Gilberto Zorio e la spirale in neon azzurro di Mario Merz.
Ad occuparsi del progetto della Stazione novella di Chiaia-Monte di Dio è Peter Greenaway, uno dei più importanti cineasti a livello globale. La sua dedizione all’arte e all’estetica è evidente nei suoi lungometraggi.
Umberto Siola, architetto napoletano, in principio pensò bene di progettare una specie di percorso alla ricerca delle proprie origini attraverso i miti. La stazione è formata da 3 livelli, cupola, galleria d’arte e una piazza intera. Greenaway ha impreziosito con delle scritte blu l’elemento più iconico dell’edificio, vale a dire questa scala bianca elicoidale.
Gli antichi dei pagani tendono la mano al turista, lavoratore pendolare, studente, o qualsiasi altra figura umana, per tutto il tragitto. Dall’alto con Giove, protettore dei viaggiatori, poiNettunoper poi incontrare Cerere (la cui stanza dedicata ospiterà opere d’arte), Proserpina e infine, negli abissi lontani dalla superfice, Ade. Il tempo e il suo scorrere sono raffigurati simbolicamente da Giove che protrae 24 braccia verso il cielo.
“Est in aqua dulci non invidiosa voluptas” è scritto all’infinito sulle scale. Sono le parole di Ovidio in una delle Epistulae ex Ponto in cui ricorda il suo luogo di nascita, deprecando il luogo paludoso in cui è costretto a vivere. Più avanti nella lettera lui dirà:
“Manco di tutto: supera però lo spirito ogni disagio”.
Un monito da tenere a mente, anche se si naviga in acque dolci a noi care. Un tentativo artistico e umano di intendere il viaggio come gli antichi, un nomos greco. Noi, moderne versioni di Ulisse che annotano nella loro mente le meraviglie incontrate durante il tragitto senza mai perdere di vista la meta.
Sarah Massari