Un prologo di divulgazione scientifica interessante ed efficace, con il supporto di filmati e diapositive, per focalizzare e analizzare compiutamente la conformazione del territorio; prologo sviluppato con linguaggio lineare e chiaro dal geologo Nunzio Troilo – docente in Istituti statali d’istruzione superiore- per rappresentare le mappe geologiche con cui si identificano le peculiarità dei cosiddetti Distretti vulcanici dei Campi Flegrei e del Vesuvio, il cui assetto si è venuto componendo 39 mila anni fa con i materiali delle “ nubi eruttive”, formando quella vasta stratificazione di pietra tufacea, che connota il sottosuolo della pianura campana e l’area nolana, che ne è parte integrante. Sono le mappe, che permettono di far risaltare -e comprendere- le specificità delle interazioni tra territorio e storia umana, l’ambiente naturale e l’ambiente artificiale del “costruito”, i fattori climatici e i processi di antropizzazione che, com’è ben noto, negli ambiti di pianura sono strutturalmente i più antichi nell’evoluzione della scala dell’incivilimento lungo i tornanti del divenire storico.
Con questa chiave di lettura introduttiva, il professore Troilo nei locali del Circolo socio-culturale “L’ Incontro” puntava l’obiettivo sulle “schermate” , che configurano ancora ben visibili gli scenari di cave e cavità, che per secoli sono stati- e parzialmente lo sono ancora- gli elementi caratterizzanti della realtà di Tufino e … dell’intero contesto fino a Casalnuovo e Napoli ; cave e cavità, da cui si estraevano le pietre tufacee di largo e prevalente utilizzo nell’edilizia. Un materiale costruttivo, quello delle pietre tufacee, specie se con basso indice di porosità, che soltanto mezzo secolo fa- poco più o poco meno- è stato soppiantato dal duttile cemento, mentre nei nostri giorni si consolida l’uso di altri materiali costruttivi secondo i moduli della bioedilizia.
Nella ricognizione, con puntuali e congrui riferimenti sulla storia del territorio, era disegnato l’itinerario delle cave e delle cavità; un itinerario nel segno della possibile ri-attivazione funzionale soprattutto delle cavità, utilizzate da sempre per la conservazione delle derrate agro-alimentari ed enogastronomiche … allo stato di freddo biologico \ naturale. E sono cavità, che ancora insistono non soltanto sul territorio di Tufino, ma anche in quello di Casamarciano, Cicciano e Comiziano. Un itinerario, che, con le debite proporzioni e in scala ridotta, potrebbe ispirarsi al modello di valorizzazione della Rupe di Orvieto.
DAL TERRITORIO ALLA STORIA DI TUFINO
Con la dimensione territoriale si apriva il viatico per quella sociale di Tufino, il toponimo che la dice chiara e lunga sulla micro-storia della comunità cittadina , le cui condizioni di vita materiale sono state per lungo corso di secoli intrecciate con l’estrazione delle pietre tufacee. Un sistema di attività, ch’era all’origine della filiera dell’edilizia del territorio, con varie tipologie di tecniche lavorative. Come per dire che cave a cielo aperto e cavità, incise e strutturate con pareti laterali di sicurezza come autentici cunicoli ben protetti, fino alla profondità di 20 metri, erano risorsa economica, generata, però, dal duro e pesante lavoro – ‘a fatica – dei cavatori, in condizioni ambientali che si possono immaginare e di palese esposizione a rischio.
Su questa scia s’innestava il racconto di Antonio Caccavale, per evidenziare alcuni passaggi basilari nell’impianto del suo saggio, intitolato “ TUFINO E I TUFINESI NELLA STORIA”, edito da StreetLib – disponibile anche in formato digitale per la grande catena di distribuzione polifunzionale che fa capo ad Amazon – con riferimento non solo all’universo umano dei cavatori, ma anche e soprattutto alle tormentate vicende dell’emigrazione dall’Italia agli Stati Uniti d’America, a cavallo dell’800 e del ‘900; vicende, per le quali si fuggiva dalla miseria e dall’arretratezza, di cui furono partecipi poco più di ottocento tufinesi, di cui il testo riporta in schede dettagliate le generalità e i dati anagrafici, testimonianza di un paziente lavoro di ricerca, che l’autore ha condotto, grazie anche alle ben note competenze tecnologiche, con le banche dati della Fondazione “The Statue of Liberty”-Ellis Island– e di “Castel Garden”.
Di quei flussi migratori, che – è opportuno notarlo- non hanno nulla di diverso e di dissimile da quelli attuali, che dal Medio Oriente e dall’Africa impoverita si riversano nell’Europa mediterranea occhiuta nella propria torre dell’egoismo particolaristico, essendo per di più aggravati dai drammi di guerre e persecuzioni politico-religiose, l’autore dava un ampio squarcio. E tornava utile il ricordo della distinzione, che veniva fatta ad Ellis Island nei rigorosi controlli igienico-sanitari, a cui le autorità sottoponevano i migranti provenienti dall’Europa e dall’Asia, prima di riconoscere loro la possibilità d’ingresso negli States; distinzione per la quale i migranti provenienti dall’Italia erano ripartiti in due “grandi” aree, quella del Nord e quel Sud. I migranti provenienti dal nostrano Sud, come si sa, non erano considerati di “razza bianca” – specie se siciliani- con tale “attestato”, erano variamente discriminati, una volta acquisito il titolo d’accesso. E c’è altro ancora. I migranti, che dichiaravano di non avere già certezza di lavoro con rapporti o contratti pre-costituiti, erano “preferiti” nell’ammissione nella corsia d’ingresso negli States. Erano manovalanza … di immediata disponibilità per qualsiasi lavoro e con bassa remunerazione garantita, per sopravvivere.
E’ la storia che si replica nei nostri giorni con gli extra-comunitari – i clandestini … invisibili, anche se “viventi” in carne ed ossa- fatti sbarcare nel cosiddetto Bel Paese e in altre aree dell’Unione europea, ma super sfruttati nei lavori più umili, specie in agricoltura, perché privi dei “permessi di soggiorno”. Un beffardo e bizzarro strabismo “normativo – istituzionale”, che rende i … clandestini utili e buoni, anzi ottimi da sfruttare e “pagare” con pochi euro al giorno, ma fantasmi per conclamata “legge”.
E le pagine dedicate dal saggio all’emigrazione Oltre Atlantico s’interpongono tra le figure che connettono strettamente la loro dimensione umana, in positivo e in negativo, con le vicende storiche di Tufino; figure, che Antonio Caccavale tratteggia con efficacia di dettagli. E così si profilano la personalità forte del marchese e duca di Gallo, Marzio Mastrilli e quella della virtuosa e sensibile contessa di Roccarainola, Isabella Mastrilli, con la sontuosa e preferita dimora proprio nella località di Ponticchio, in pieno territorio tufinese. Considerevole e rilevante la caratura politica di Marzio Mastrilli, diplomatico e ministro del governo borbonico nel Regno delle Due Sicilie e, con l’avvento dell’età napoleonica, nel Regno di Napoli con il governo di Gioacchino Murat. Una personalità poliedrica e di alto profilo culturale, quella di Marzio Mastrilli, mentre Isabella Mastrilli, tra le poche donne che annovera la Letteratura del ‘700, autrice di testi teatrali e raffinate composizioni liriche.
Il rovescio del mondo dei Mastrilli – tra i maggiori potentati feudali d’Italia, con vasti possedimenti in Campania, tra cui quelli dell’asse che correva tra Marigliano, Nola, Tufino, Avella e Baiano– si ritrova, invece, in uno dei maggiori boss della mafia italo-americana, Vito Genovese, emigrato giovanissimo negli States da Risigliano di Tufino, dov’era nato e che con le sue “imprese”, saldando criminalità e ricchezza, tenne in scacco New York, alla pari degli altri “personaggi del Gotha mafiosa, in grado di determinare le scelte delle istituzioni e persino di condizionare le nomine dei giudici delle Corti statunitensi. Ma i “capolavori” criminosi di Vito Genovese – colui che “Non onora la terra natale”, come con pudico e commendevole senso civico evidenzia l’autore nello specifico capitolo del saggio- appartengono agli anni del secondo dopo-guerra mondiale in Italia, lungo le coordinate di collegamento tra la Sicilia e la Campania. Sono gli anni del contrabbando, ma anche e soprattutto dei rapporti che il boss italo-americano aveva non solo con Charles Poletti, il massimo responsabile delle truppe statunitensi, sbarcate nel luglio del ’43 in Sicilia, ma anche con Salvatore Giuliano, il bandito che fiancheggiò il Movimento indipendentista siciliano di Finocchiaro Aprile; e la banda di Giuliano– utilizzata in chiave anti comunista- fu l’artefice dell’efferata Strage di Portella della Ginestra, in provincia di Palermo, dove si erano radunati braccianti, contadini e pastori, per festeggiare il Primo Maggio. Era il 1947.
ERASMO, LJUBA E IL NARRANTE STEFANO
Dall’ approccio con la Geologia e la Storia incentrato su Tufino e…dintorni al racconto de “L’ALBA NEI SUOI OCCHI” – pubblicato da 13 Lab Essedi– in cui Francesco Scotto – trascrivendo la narrazione dello scomparso padre Stefano, ch’è stato presidente della Gioventù dell’Azione cattolica e pubblico amministratore di Baiano per vari cicli consiliari – fa rivivere la commovente e bella storia d’amore tra Erasmo e Ljuba. Una storia illustrata dall’autore in tutti gli elementi caratterizzanti, con cui finzione e realtà coesistono. E la russa Ljuba – conosciuta giovanissima in uno dei lager, in cui i tedeschi nella seconda guerra mondiale concentravano i prigionieri e gli ebrei da destinare alla morte nei forni crematori- s’identifica con la metafora dell’ Alba d’amore che rischiara e accompagnerà vita naturale durante l’esistenza di Erasmo e della famiglia che formerà con la donna. E nel lager si prenderanno cura di Marzia, una bambina ebrea, ch’è stata affidata loro dal padre consapevole di dover morire. La bambina subirà un’atroce violenza e sevizie, morendone. Una tragica fine di cui Erasmo e Ljuba conserveranno per sempre il ricordo.
E’ un percorso, che si dipana dal vessatorio e crudele sistema concentrazionario, a cui venivano sottoposti i prigionieri del campo di Jena, per attraversare la terra russa- dopo il ’45 con la liberazione dei pochi ischeletriti sopravvissuti dei lager e la disfatta del nazismo hitleriano- e raggiungere Demidov, dov’era nata Ljuba. Un’odissea, con cui si intrecciano le vicissitudini e le traversie, che incontra Erasmo per opera dei genitori di Ljuba che contrastano l’amore della figlia per Erasmo Baldassarre, umile muratore di Santeramo, in provincia di Bari, travolto dalle mille tragedie che segnano tutte le guerre, colpendo le umili e semplici genti, che ne sono coinvolte da un verso all’altro. L’odissea della guerra contro la Grecia– quella a cui l’Esercito italiano avrebbe “spezzato le reni”, secondo lo slogan mussoliniano- si incrocia con l’odissea che Erasmo e Ljuba vivono insieme nel lager e in terra russa, per trovare serenità familiare e lavoro in terra di Puglia…fino alla dipartita nel 2000, a pochi mesi l’uno dall’altra.
Il racconto- evidenziava Scotto – si articola sul piano della Grande storia, quella del secondo conflitto mondiale, della Guerra fredda e il piano degli effetti che si riflettono su uomini, donne e giovani cambiandone o alterandone le traiettorie esistenziali desiderate o sognate; effetti che cambiano cammini di vita in atto e tanto altro ancora. Erasmo come Ljuba ne sono una testimonianza.
Come dire che il discrimine tra caso e causa, con cui si generano necessità e virtù, non è facile da tracciare. Di certo, segue itinerari imperscrutabili per quello che si definisce comune buon senso. A posteriori…