Il sistema esposto al rischio-implosione, con costi pari a 113 miliardi di euro, per assenza di una congrua programmazione e per i costanti sprechi gestionali. Le responsabilita’ della classe politica e il ruolo dell’etica professionale del medico. La valorizzazione della territorialita’ dell’assistenza e delle prestazioni per la centralita’ del paziente, migliorando la funzione della rete ospedaliera, ch’e’ sovradimensionata. Il “caso” della dismissione delle strutture di Avellino e Monteforte Irpino, costate miliardi di ex-lire
Sono ben più di segnali di semplice allarme sociale, i dati numerici, emersi dal convegno, incentrato sul “ Servizio sanitario nazionale e sulla centralità dell’etica professionale del medico nell’ambito delle politiche della spending review”, svoltosi nei locali del Circolo de L’Incontro, a cui ha fatto da filo conduttore l’articolata e puntuale relazione di Antonio D’Avanzo, presidente dell’Ordine dei medici di Avellino e componente del Consiglio nazionale degli Ordini dei medici; relazione documentata nei dettagli statistici, filtrata dalle note competenze professionali e dalla sensibilità sociale, che connotano D’Avanzo, sindaco di Avella negli anni ’70, ed “arricchita” da un variegato ed interessante dibattito.
E va detto che i dati numerici sotto la lente d’ingrandimento, pur esprimendo una genesi di lungo e pluriennale incubazione, rappresentano gli effetti diretti ed immediati, innescati dalla “spending review”, avendo generato la folla degli invisibili, persone di ogni età, ma soprattutto d’età adulta, che, da almeno tre anni, hanno rinunciato alle cure, di cui hanno bisogno, per l’insostenibilità dei costi dei ticket da versare alle farmacie, ai laboratori di analisi cliniche, alle Aziende sanitarie locali e alle Aziende ospedaliere. Ed è analoga la situazione per le visite specialistiche, i cui onorari, notoriamente, sono un salasso, da cento ai centocinquanta euro, se va bene, altrimenti non ci sono limiti all’asticella del…dovuto e richiesto. Undici milioni di persone formano ormai la triste folla degli invisibili, che vivono di modesti assegni pensionistici e di sostegno, il cui valore ruota sui cinquecento euro, o giù di lì. Una cifra, che se viene utilizzata per l’alimentazione, il fitto di casa, il sostegno della “badante” o quant’altro di necessario, si azzera rapidamente ….cancellando -in automatico- la volontà di curarsi e di comprare le medicine prescritte. E’una folla, quella degli invisibili, destinata, purtroppo, a crescere; una folla, che sembra essere in simmetrica rispondenza con i giovani che da tempo hanno rinunciato a cercare un lavoro, pur avendo acquisito, magari, titoli di studio di scuola superiore o universitari, o che neanche si preoccupano di acquisire competenze ed abilità per attività produttive con un proprio progetto di vita.
C’è, tuttavia, anche Il rovescio della folla degli invisibili. Ed è fornito dal prospetto di altri dati numerici. Sono quelli dei costi, con cui il Servizio sanitario nazionale, grava sulla fiscalità generale e regionale; costi pari a 113 miliardi di euro- stando alle indicazioni dell’Istat per il 2013– pari a poco più del 7 %. del Prodotto interno lordo nazionale. E’ una soglia non elevata e in media comunitaria europea, rappresentativa di un investimento dovuto e doveroso, che non segue, però e come spesso è accaduto, i tracciati di una congrua e ponderata programmazione, da basare sulle calibrate e costanti ricognizioni, secondo i canoni della Demografia, in media e lunga prospettiva, con il supporto delle Scienze statistiche e attuariali. Le inadeguatezze della programmazione reale, e non quella formale e taroccata, per la quale si procede…a vista, si “sposano” con gli sprechi di risorse economiche, che continuano a gravare sul Servizio sanitario nazionale, ad onta della “spending review”. Una situazione, il cui perdurare potrebbe determinare l’implosione dell’intero sistema, entro dieci anni, se non intervengono i giusti correttivi, di cui la politica di servizio e di responsabilità civica deve farsi carico.
RETE OSPEDALIERA SOVRADIMENSIONATA E LA VALORIZZAZIONE DELLA MEDICINA DI BASE. I “CASI” DI AVELLINO E MONTEFORTE IRPINO
Uno soltanto degli aspetti, con cui si configurano le maglie allentate nella programmazione, viene espresso dal sovradimensionamento della rete ospedaliera, che si è venuta realizzando negli ultimi decenni sui territori. Una frammentazione e pletora di presidi, fatti realizzare quasi sempre per ragioni “elettoralistiche”, senza diversificarne funzioni e servizi, ma soprattutto privi- nella gran parte dei casi- di conclamata e affidabile qualità nell’offerta delle prestazioni. Sono presidi, che sempre più spesso si reggono e si “giustificano” con ricoveri impropri, con le conseguenze che ne derivano sul piano della gestione economica, che diventa particolarmente onerosa. Uno scenario, che non avrebbe ragione di essere “conservato”, qualora si recuperasse e riaffermasse il ruolo della cosiddetta medicina di base, in termini di Territorialità, integrando i servizi e le funzioni dei Distretti sanitari e dei Piani sociali di zona, con le rispettive articolazioni ed ambiti operativi.
Si determinerebbe una congrua divisione di ruoli, dando ai complessi ospedalieri efficienti la dimensione della cosiddetta “appropriatezza”- brutto neologismo, ma è di gergo ormai- che compete loro sul versante terapeutico e diagnostico, con tutte le correlate funzioni, che ne derivano. Come dire che se c’è l’acqua sporca va buttata via, salvando il bambino perchè il Servizio sanitario nazionale, al di là delle zone d’ombra e delle criticità, in cui si ritrova, va salvaguardato e reso più efficiente.
Il quadro delineato sulla rete dei presidi sanitari, tuttavia, non esime dal prestare attenzione allo stato delle strutture ospedaliere e sanitarie, dismesse da qualche anno ad Avellino e a Monteforte Irpino. Sono state realizzate con eccellenti tecniche edilizie, grazie all’investimento di decine di miliardi di ex-lire di denaro pubblico, e regolarmente agibili. Restano aperte soltanto, per essere sottoposte alla normale manutenzione, ma desolatamente…vuote. Un patrimonio pubblico considerevole, che probabilmente e quanto prima finirà sul mercato immobiliare per essere…svenduto al migliore… offerente, posto che ci sia. Una situazione strana, rappresentativa del vuoto di programmazione, prima evidenziato, finita sotto silenzio, mentre le “lingue di legno” di estrazione partitica o sindacale non sono riuscite finora ad articolare una,,,sillaba. Né ieri, né oggi.
SPICCIOLI …DI STORIA: DALLE CASSE MUTUE AI NOSTRI GIORNI
Le Casse mutue di assistenza sanitaria, istituite negli anni successivi al secondo dopo guerra mondiale, costituiscono i primi ed importanti presidi della rete dei servizi sociali, ispirati dai principi della Carta costituzionale per l’Italia agli albori della democrazia repubblicana. Erano strutturate, in modo da garantire prestazioni mediche ed assistenziali soltanto a coloro che avevano regolari contratti di lavoro, in virtù del versamento delle quote dedotte dal salario. E si richiamavano al modello della rilevante legislazione del lavoro, sociale, assistenziale e previdenziale, varata nel 1885 da Bismark nella Germania appena diventata Stato unitario, il secondo impero, inteso come Reich, il terzo sarà quello nazional-socialista del totalitarismo hitleriano, mentre il primo fu il Sacro romano impero, formatosi nell’Alto Medioevo, comprensivo dell’Europa centrale ed occidentale, incardinato nell’area germanica e trasformato successivamente nel Sacro romano impero della nazione germanica.
Il salto di qualità, che amplia in Italia la sfera dei diritti civili, proprio nell’ambito dell’assistenza medica e sanitaria, si realizza, però, nel 1968 con la legislazione promossa dal ministro Luigi Mariotti, socialista riformista; legislazione, nella quale sono recepiti ed affermati i principi non solo di equità, solidarietà, ma anche di universalità, per la quale tutti cittadini sono beneficiari dell’assistenza. Ed è la legislazione, che riproduce gli assi portanti della legislazione varata per impulso del sociologo ed economista, di cultura liberale e laburista, quale fu Wiliam Beveridge, ed in vigore nel Regno Unito d’Inghilterra, fin dal 1948; legislazione ch’è la matrice del welfare state europeo, soprattutto dell’Europa del Nord.
Sul ben strutturato impianto della legislazione-Mariotti si innesteranno in progressione la normativa-De Lorenzo, la normativa-Bindi, la riforma del titolo V della Costituzione, con il “confuso” prodotto del federalismo dimezzato, senza decreti attuativi. Una sequenza d’interventi, in cui i danni e i costi crescenti sono sotto gli occhi di tutti, anche per l’apporto determinante delle posizioni “corporative”, assunte dalla generalità degli operatori del settore, ad iniziare dai medici.
E così il Servizio sanitario nazionale, conquista di democrazia e di giustizia sociale, è passato dalla…cuccagna delle “famigerate” Unità sanitarie locali, con bilanci approvati a piè di lista, senza controlli né preventivi né…consuntivi, diventate ubertosi pascoli per foraggiare partiti e sindacati, ampliandone l’esercizio di potere, persino nel decidere le nomine dei primari, come ancora avviene, alla condizione presente dei “tagli” lineari, che colpiscono alla…cieca, specie i meno abbienti. Un passaggio drastico, reso ancora più tormentato e penalizzante dalla crisi economica in atto dal 2008.