“Scusate anzitutto se mi intrometto nella conversazione in corso – scrive il ben stimato e valente professionista- ma trattandosi di Diritto, la cosa mi stuzzica. Ma veramente nel nostro Diritto costituzionale il diritto alla salute è un diritto talmente prioritario da sopravanzare qualsiasi altro diritto costituzionalmente riconosciuto?
Questa cosa la sto sentendo spesso, eppure non ricordo nei miei lontani studi di Diritto Costituzionale che sia stata affermata una cosa del genere. Tralasciamo un attimo il coronavirus e vediamo come la Corte Costituzionale si è comportata in materia. Il primo esempio che mi viene a mente è il caso delle trasfusioni di sangue per i Testimoni di Geova. Al riguardo non mi sembra che sia mai stato affermato che il diritto alla salute sopravanzasse il diritto della persona alla propria identità e credo religioso.
Che dire poi del tema dell’aborto? Non mi risulta che la Corte Costituzionale abbia mai sposato tesi “salutistiche” a scapito del diritto all’auto – determinazione della Donna. A tutto ciò aggiungerei un problema di fonti del Diritto. Può un ordinanza di un Sindaco limitare i miei diritti costituzionali?
Non stiamo parlando di una legge primaria dello Stato né di un atto ad essa equiparata. Parliamo dell’ordinanza di un Sindaco. E tutto ciò apre una serie di problematiche di assoluta rilevanza atteso che si attenta al diritto alla privacy del cittadino. Anzitutto: ai cittadini sarà richiesto sottoscrivere una autorizzazione all’uso dei dati personali? Se sì, in caso il cittadino si rifiutasse, gli verrà negato l’accesso all’esercizio commerciale? Se sì, in base a quale norma, dato che teoricamente gli esercizi commerciali aperti sono solo quelli di prima necessità. Vogliamo negare al cittadino beni di prima necessità? Se la risposta è negativa, perché fare tutto sto casino. A che serve? Non avrebbe alcuna utilità.
Andiamo avanti. A chi il cittadino autorizzerebbe la raccolta dei suoi dati personali? Il commerciante che quindi diverrebbe il dominus di tali dati e conseguentemente dovrebbe specificare come, dove e con quali tutele conserverebbe tali dati. Solo che qui succederebbe il patatrac: in caso di necessità, il commerciante, ai sensi della normativa sulla privacy, non sarebbe autorizzato a consegnare tali dati all’ Autorità… Allora l’autorizzazione viene data direttamente al Comune? Quindi il Comune dovrebbe rendere disponibile e operativo proprio personale in tutti i negozi aperti per la raccolta dei dati e in ogni caso dovrebbe specificare come, quando e in quali condizioni tali dati verranno conservati. Insomma, un casino che non finisce mai.
Credo che la questione sia stata enormemente sottovaluta da parte dell’amministrazione, cui, in ogni caso, va il mio personale plauso per come e per quanto sta facendo in questa situazione di difficoltà”
Avv. Giuseppe Macario