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di Gianni Amodeo.
C’era il “Sarno”. Era la sala cinematografica, parte integrante di un pregevole complesso abitativo residenziale, affacciato su piazza IV Novembre, secondo la toponomastica comunale, ma meglio nota come piazza Mercato; un complesso che si conserva inalterato nell’impianto e nelle linee dell’originaria configurazione architettonica e realizzato tra gli anni ’20 e ’30 del secolo scorso in sfumato per quanto caratteristico stile liberty per gli ariosi squarci frontali di finestre e la balconata, ma anche e soprattutto per il giardino, protetto da un muretto in pietra viva con cancellata e prospiciente gli ambienti di residenza del primo piano, a far da interfaccia con la piazza stessa.
Un ben strutturato ed armonico corpo di fabbrica, costruito quasi ad angolo retto, al cui lato più lungo – a piano terra- corrisponde un ampio locale per una superficie complessiva di circa 150 metri quadrati ed alto meno di dieci metri. Uno “spazio” che la famiglia allora proprietaria del complesso residenziale, per impulso del figlio Amerigo, appassionato cinefilo, trasformò e adattò nell’omonima Sala cinematografica, il “Sarno” appunto. Disponeva di duecento posti a sedere in platea, con il piccolo atrio per la biglietteria, mentre la cabina di proiezione- sistemata all’altezza d’ingresso in Sala ed incardinata nella parete dell’atrio- era sorretta da due solidi pilastri-tubolari in ferro. Si era a cavallo degli ’40 e ’50.
La “storia” del “Sarno” – Davide e del “Colosseo” – Golia
Iniziava così la “storia” del “Sarno” che si declinava in simpatica competizione e lungo lo stesso arco temporale, con quella del contiguo “Colosseo”, progettato e costruito come Cine–Teatro, un grande complesso aperto sui fronti stradali di via Marconi, piazza IV Novembre e via Diaz ed inaugurato nell’autunno del ’49, con la proiezione de “Il capitano di Castiglia”, film di “cappa e spada”, con protagonista Tyrone Power, come annunciavano le multicolori locandine e gli sfavillanti manifesti del tempo e tenuto in programmazione per otto giornate di seguito, all’insegna del “pienone”- il sold out, come si dice oggi – racchiuse tra due domeniche, scandite, a loro volta, da tre spettacoli consecutivi, con biglietti d’ingresso, in platea, con costo pari a 10 Am-lire e, in galleria, pari a 15 Am-lire.
Fu, quello del “Colosseo”, un intervento costruttivo e edilizio di notevole portata economica per il tempo, realizzato, in virtù dell’investimento fatto da tre imprenditori, su un’ estesa area, in cui erano in esercizio da oltre un secolo sia siti di stoccaggio per il legname, sia vasche–deposito di calce viva, la malta all’epoca ancora utilizzata largamente per l’edilizia, e prodotta nelle numerose “ carcare” attive sul territorio. E va ricordato che correvano gli anni, in cui cominciava già a delinearsi l’avvento della “ rivoluzione” dei materiali e profilati in plastica e si veniva definendo l’efficacia funzionale dell’utilizzo su vasta scala del cemento armato nell’edilizia, fermo restando che la commercializzazione sia del legname che della calce viva teneva bene il mercato con lavoro garantito, senza dire degli importanti profitti economici per i gestori e operatori della filiera, segnatamente per i piccoli e medi imprenditori, che avevano strutturato la loro rete clientelare sull’intero territorio, con articolazioni e addentellati nell’area nolana e in quella casertana.
Fatto è che il “Sarno” piccolo Davide e il “Colosseo“, grande Golia con circa 500 posti distribuiti in comodi sedili e confortevoli poltroncine, tra platea e galleria, con il boccascena ben mimetizzato e il palcoscenico calcato di frequente da prestigiose compagnie napoletane di “Varietà” e “Cabaret” per spettacoli di grande richiamo, hanno accompagnato la “storia” dell’intrattenimento sociale delle comunità del territorio; una “storia” ch’è anche stata di stimolo e fattore di vita culturale largamente intesa, insieme con l’operatività di altre Sale cinematografiche locali, dal “Partenio” al “Santa Filomena”, a Mugnano del Cardinale, per finire alla “Sala Azzurra”, ad Avella. Erano le cinque icone che simboleggiavano il trionfo della Settima Arte per una popolazione di poco superiore ai 20 mila abitanti .
Una “storia” ricca e variegata d’interessi e, se si vuole, di comunità vive ed operose, almeno fino agli anni ’70 e certamente tra gli anni ’50 e ’60, quando si scopriva ed affermava la motorizzazione di massa. Ed erano gli anni che fecero registrare gli straordinari effetti della riforma agraria che spezzò la grande proprietà terriera e favorì lo sviluppo della piccola e media proprietà terriera, innescando la formazione di quel forte ceto sociale medio qual è stato quello dei coltivatori diretti, anima del moderatismo democratico, in tutt’uno con il supporto della legislazione sui fitti rustici ad equo canone; ed erano gli anni attraversati dal “boom economico” con la quasi piena occupazione nel Nord.
Si generò un concorso di elementi e fattori, che lievitò grazie alle cospicue e costanti rimesse economiche dei tanti lavoratori che erano emigrati nella Germania federale; rimesse affidate alle casse delle Poste, per essere investite nella costruzione della “Casa”- ‘o palazzo ‘e Case– che avrebbero favorito lo sviluppo dell’edilizia abitativa, con lottizzazioni e urbanizzazioni estese, troppo spesso e purtroppo prive di un’ordinata pianificazione attenta alle peculiarità e vocazioni del territorio, essendo osservati generici regolamenti edilizi e al più abborracciati Piani di fabbricazione. Un processo di crescita patrimoniale relativamente estesa a larga parte delle comunità, mai prima inverato ed anche di elevazione sociale.
Sale cinematografiche senza appeal. Trionfa la Tv
Negli anni ’70 per la grande maggioranza delle pubbliche Sale cinematografiche, la partita con la televisione era, però, definitivamente persa. Non catalizzavano niente di niente. E la loro progressiva chiusura sotto tutte le latitudini non conobbe pause. Una falcidie a cui si sottrassero in misura ridotta, solo Sale di medie e grandi città . Il “Sarno” e il “Colosseo” non ne furono risparmiati persero la capacità attrattiva di Agorà, in cui le fiction in celluloide celebravano i miti e i personaggi dell’avventuroso West, dei drammi della storia, delle grandi passioni d’amore e del genere poliziesco. E furono destinati ad altre funzioni ed usi.
Ora il “Sarno” ha riaperto i battenti. Ma non è quello del suggestivo e audace sogno del fondatore, Amerigo, emigrato tra gli anni ’50 e ‘60 negli States con i famigliari- il fratello Polo è uomo di Scienza di grande valore- e proseguito negli anni con la nuova proprietà. E’, invece, il “Sarno” che ha assunto le sembianze e la ragione sociale di ProTeatro, grazie a un gruppo di giovani che si sono costituiti in cooperativa di giovani che ha preso in locazione lo “spazio” della “storica” Sala, utilizzandola per Laboratori teatrali, produzioni audiovisive, eventi culturali e spettacoli; sono giovani che vivono nel contesto territoriale e nell’area metropolitana di Napoli, accomunati da un eccellente formazione culturale, amanti dell’arte scenica, che hanno già maturato importanti esperienze interpretative di caratura regionale e nazionale. E sono impegnati nell’attuazione di un progetto di cui sono protagonisti, credendo in se stessi con idee chiare, per coniugare cultura e lavoro. Un bel passo compiuto, con il forte input impresso da Franco Scotto, animatore, autore e regista Felice D’Anna e dal giovanissimo Antonio Lippiello.
ProTeatro è in azione da qualche mese ed è frequentato nelle ore pomeridiane e serali da ragazzi e ragazze. Un’animazione gradevole, ma anche un segnale di viva animazione con tanti genitori giovani che accompagnano figli e figlie ai Laboratori formativi. Un segnale nuovo per piazza IV Novembre che ritrova la dimensione d’incontro sociale e socializzante, dopo circa quarant’anni.