Una scrittura densa ed intensa per qualità di contenuti. E squarci di poesia, in cui le parole si librano, veicolando emozioni e sentimenti, che denotano la ricerca del bello e del vero nel fluttuare delle contraddizioni dell’umana condizione esistenziale.
Sono i connotati distintivi di “Dieci ore”, modello di romanzo breve, che segna l’esordio di Gioacchino Amato nel panorama degli autori di narrativa. Pubblicato Schena editore, per la collana “poche pagine”, al testo è stato conferito il riconoscimento di merito per il Premio della narrativa, intitolato alla memoria di Valerio Gentile. L’autore, poco più che ventunenne, vive risiede con la famiglia a Cicciano, dopo aver frequentato con eccellente profitto il locale Liceo scientifico “Enrico Medi”, è attualmente impegnato nella conclusione degli studi nell’Università di Salerno.
La narrazione di “Dieci ore” costituisce una forma di diario, che l’autore comincia a fissare nella pregnanza della scrittura intorno ai diciassette anni; scrittura, intesa e…vissuta come terapia, che affranca dal caos, come recita uno dei motti del retro della copertina, mentre Voltaire è l’autore dell’altro motto, per il quale i romanzi sono sempre troppo lunghi. E’ la scrittura, che alimenta e permea la lucidità del discernimento, con cui si pone ordine nel caos, con cui l’uomo deve misurarsi costantemente nella mutevolezza delle fasi dell’esistenza e, in particolare, nel vissuto di quell’età di mezzo e di incertezze, che oscilla tra l’adolescenza e la soglia della giovinezza.; età, nella quale, per dir così, il guscio protettivo e rassicurante del nido-famiglia, in cui pare adagiato Peter Pan, che non vuole…crescere, continua ad esercitare la sua forte capacità d’attrazione, mentre il percorso che si dischiude al magico orizzonte di Harry Potter, pur nell’arditezza che sollecita e richiede, ha la malia del fascino dell’avventura, a cui è difficile sottrarsi ed impossibile resistere. E’ l’ambigua e frastagliata conflittualità, il caos appunto, che si vive nel vortice dei diciassette anni.
E’- questo- l’impianto, di cui si nutre Il filo narrativo, che Amato lascia di panare nelle pagine di “Dieci ore”, senza alcun carattere diretto natura autobiografica, per attraversare il mondo dei protagonisti- quattro coetanei- marcando i profili caratterizzanti della complessità, con cui si rapportano con la realtà e con i genitori. Sono rapporti, in cui i linguaggi si sviluppano in dissonanza più di quel che appaia nella superficie delle impressioni, intrinsecamente fallaci ed effimere. E così gli spazi relazionali, che adolescenti e giovani, non trovano nell’ambito familiare, generano l’approdo negli spazi “altri” del gran mare…del vivere. E i primi porti sono quelli delle sale dei gran bar, delle caffetterie, in cui convivono e si mescolano le più disparate espressioni della musica, dagli stili del rock a quello del new country, per incrociare sempre le modulazioni e le sonorità del jazz, che parla il linguaggio dei sentimenti più autentici e dell’umana sofferenza. Non è casuale che in “Dieci ore” uno dei tanti Disco inner, spuntati come funghi sui territori negli ultimi venti anni faccia da sfondo per una parte significativa del racconto. Penetrante ed acuta la sensibilità, con cui Gioacchino Amato focalizza la realtà dei migranti- giovani e giovanissimi- giunti in Italia, assunta a simbolo e….realtà del bello e agiato vivere. Un’illusione frastornata, ma anche il desiderio di rompere il cordone ombelicale con le terre d’origine, che nella narrazione sono quelle albanesi, uscendo dal guscio ..di Peter Pan, ritrovandosi nella clandestinità per sopravvivere e subendo ogni forma di sfruttamento nei lavori più umili e pesanti, vivendo in tuguri.
D’impostazione distinta e sviluppo contenutistico differente, il discorso saggistico proposto da Nicola Montanile nella monografia – pubblicata dalla Grafica Napolitano di Nola- in cui sono proposti i profili di Franco Venditti, nella dimensione umana di larga disponibilità verso gli altri, in quella dell’intellettuale e in quella del politico e dell’amministratore pubblico, in qualità di consigliere, assessore e sindaco di Avella, fino all’esercizio sia delle funzioni di componente del Comitato di controllo dell’Asl di Avellino che di Difensore civico della città natia. Un lungo percorso di presenza nella realtà cittadina e dei territori, punteggiato da una variegata ed incisiva attività giornalistica sui giornali e periodici provinciali e regionali, oltre che di tiratura nazionale, un percorso, intrapreso negli anni dell’immediato secondo dopo-guerra mondiale fino all’anno della morte, nel 2008. Ed era nato nel 1915.
La monografia di Montanile fissa le fasi salienti dell’itinerario di vita pubblica, seguito da Venditti; itinerario alla cui base non solo spicca la formazione culturale – aveva conseguito il diploma dell’Accademia di Educazione fisica, a Roma, e le lauree in Giurisprudenza e in Scienze politiche nelle Università di Sassari e Firenze, con il massimo dei voti- ma anche le esperienze di tenente degli alpini del reggimento Fenestrelle, sui fronti del secondo conflitto mondiale. Alla fine della guerra, Venditti è tra i fondatori Democrazia cristiana in Irpinia, insieme con Fiorentino Sullo e le figure più rappresentative del notabilato liberal-borghese dei territori, tra cui Alfredo Amatucci e Salvatore Scoca.
Attivamente partecipe alla campagna del referendum istituzionale del 1946, il cui esito abrogò la forma monarchico dello Stato, dando forma e corpo allo Stato repubblicano e democratico, il cui ordinamento sarà ancorato ai principi della Costituzione in vigore dal gennaio del 1948. E Venditti sfiora l’elezione per l’assemblea costituente. Un obiettivo mancato di poco, mentre il suo raggio d’azione e d’impegno civico è fortemente calibrato su Avella, scontrandosi con il notabilato locale, strutturalmente arroccato nelle file della Democrazia cristiana. E si determinano le condizioni della separazione in casa scudocrociata, tra Venditti e gli antagonisti, medici ed avvocati di stimata professionalità, oltre che di agiata condizione familiare sul versante sociale ed economico.
Nelle pagine della monografia rivivono momenti rilevanti della storia locale, di cui Venditti è stato un protagonista operoso, pure nelle asprezze delle lotte politiche che affrontò sempre a viso aperto e con franchezza di linguaggio; una dimensione di vita ed un stile comportamentale, che fa aggio sulla varietà delle opzioni politiche compiute, dalla Democrazia cristiana al Partito socialista democratico, con approdo nelle file del Partito repubblicano italiano. Varietà di opzioni, che coniugò costantemente con il totale disinteresse personale e familiare; quel disinteresse, che certo non alberga nei tanti che dalla politica anche e soprattutto del piccolo cabotaggio localistico hanno tratto- e traggono- vantaggi di ogni genere.
I testi Amato e Montanile sono stati presentati nei locali de L’Incontro, sul filo della conversazione–intervista, condotta da Gianni Amodeo. La cornice alla presentazione era fornita dagli accordi musicali delle chitarre di Antonio De Martino e Francesca Fiordelisi, con la lettura di alcuni brani della monografia su Venditti, fatta da Maria Grazia Vitale. Il clou aveva per protagonista Giovanni Bellavista con le sorridenti e cordiali imitazioni di Massimo Troisi e Giorgio Napolitano. Il sigillo pregiato era impresso da Bellavista nell’impeccabile “recitazione” interpretativa di alcune gemme della migliore produzione poetica di Totò. Gemme…espressive di disincanto e d’ironia ineguagliata. E ineguagliabile. Una chiusura con contaminazione distili e generi, quale migliore non poteva essere.