BAIANO. Sedici anni di reclusione per i due accusati del delitto Lippiello.

BAIANO. Sedici anni di reclusione per i due accusati del delitto Lippiello.

Sedici anni di carcere per Salvatore e Francesco Crisci, ritenuti responsabili del delitto di Felice Lippiello. È quanto deciso dal gup del Tribunale di Avellino, Fabrizio Ciccone, che ha inflitto ai due imputati una pena superiore di quattro anni rispetto alla richiesta avanzata dal pubblico ministero Fabio Massimo Del Mauro.

La sentenza è giunta al termine del rito abbreviato richiesto dagli imputati, che sono stati condannati per omicidio volontario. La difesa, rappresentata dagli avvocati Antonio Falconieri e Salvatore Aiello, aveva chiesto la riqualificazione del reato in omicidio preterintenzionale, come indicato anche dal tribunale del Riesame di Napoli che, pur confermando la misura cautelare in carcere, aveva ridimensionato le accuse iniziali.

Dichiarazioni e argomentazioni in aula
Nel corso dell’udienza, Salvatore e Francesco Crisci hanno rilasciato dichiarazioni spontanee, sostenendo di non essere presenti sul luogo del delitto e di essere estranei ai fatti contestati. Tuttavia, i legali di parte civile, Nicola D’Archi e Stella Saveriano, hanno ribadito la responsabilità degli imputati, sottolineando che questi ultimi si erano recati in via De Santis armati di bastone e coltello.

Il pubblico ministero aveva recepito le indicazioni del tribunale del Riesame, proponendo la riqualificazione del reato in omicidio preterintenzionale. Tuttavia, il giudice ha respinto tale impostazione, confermando la gravità delle accuse e condannando gli imputati per omicidio volontario.

La posizione della difesa
L’avvocato Antonio Falconieri, all’indomani della sentenza, ha dichiarato: «Aspetteremo le motivazioni della sentenza, che saranno depositate entro novanta giorni, per poi procedere con l’appello, insistendo sulla riqualificazione del reato in omicidio preterintenzionale».

La vicenda giudiziaria resta dunque aperta, con i legali pronti a portare avanti il caso nelle sedi superiori, contestando l’inquadramento giuridico del delitto e la misura della condanna inflitta ai loro assistiti.