Sessantanove anni fa la Repubblica s’affacciava sulla storia civile e nasceva la democrazia. La “commissione dei 75 padri costituenti” e il ruolo dell’onorevole Vincenzo La Rocca, nolano e figura di spicco nel PCI di Napoli e del Sud. Il quesito referendario era posto con chiara determinazione, nell’alternativa di scelta tra Repubblica e Monarchia quale forma istituzionale da conferire allo Stato.
Era il 2 giugno del 1946. E a favore della Repubblica, il popolo si espresse a suffragio universale, con il diritto di voto per la prima volta esercitato dalle donne, mentre nell’Italia post-unitaria, come si ricorderà, l’elettorato attivo e passivo era riconosciuto sulla base del censo, rappresentato dalla pubblica certificazione di reali disponibilità patrimoniali rapportate, secondo la comune vulgata, ai titoli di studio e soprattutto al possesso di “ case, terre e cavalli” simboli di agiatezza e solidità economica. Era lo status dei “pochi”, a cui corrispondeva, in antitesi, la rappresentanza sociale minima o negata , che rendeva le classi subalterne e meno abbienti del tutto marginali e “lontane” dallo Stato. Era la situazione, per la quale per milioni di uomini e donne i diritti di cittadinanza risultavano formalmente dimezzati, ma inesistenti nella sostanza.
Si atteggiava così la plastica e concreta testimonianza di estraneità dallo Stato per larga parte del popolo; condizione, che era stata relativamente ridimensionata dalla riforma elettorale del 1912, approvata con l’auspicio del quarto governo presieduto da Giovanni Giolitti, conferendo il riconoscimento del diritto di suffragio universale di genere maschile, in ragione del compimento dei 30 anni. Il provvedimento, che ampliava il perimetro dello Stato in prospettiva democratica, si collocò in una sequenza di importanti decisioni del primo decennio del XX secolo, tra cui l’impulso alla legislazione sociale per la maggiore tutela del lavoro di donne e ragazzi, mentre la produzione industriale era raddoppiata rispetto all’ultimo decennio dell ‘800, in tutt’uno con la crescita degli indici di reddito e di alfabetizzazione, senza dire dello sviluppo dei servizi pubblici nelle città con le reti d’illuminazione elettrica e degli acquedotti. L’introduzione del suffragio universale di genere maschile riformò la legge elettorale del 1882 e fu “licenziata” dal Parlamento con il voto dei liberali e dei socialisti, che, però, non si spesero più di tanto per adottare il suffragio universale “pieno”, riconoscendone l’esercizio anche per le donne, per le quali “ si temevano” i condizionamenti di profilo clericale, a cui potevano essere esposte. Era il “timore”, che, in realtà, albergò nell’intero Parlamento. Con la riforma elettorale del 1912 il diritto di voto di genere maschile fu riconosciuto al 23% della popolazione, pari a poco più di otto milioni di cittadini, mentre sulla base della legge elettorale del 1882 e delle relative modifiche del 1891 era stato riconosciuto a poco più di tre milioni di cittadini, pari al 7 % della popolazione. E, di passaggio, va ricordato che la Camera dei deputati del primo Parlamento del Regno d’Italia fu espressione di poco più di trecentomila cittadini-elettori dei circa cinquecentomila aventi diritto di voto…per censo, tenendo presente che la Camera del Senato era costituita da “nominati” per volontà del Re.
Sessantanove anni fa, in realtà, il voto referendario segnò la svolta nella storia civile italiana, con l’istituzione dello Stato repubblicano, dopo la disfatta del Secondo conflitto mondiale e ,segnatamente, in connessione con il collasso irreversibile del sistema duale monarchico- fascista, con cui si era connotato lo Stato, la cui architettura era conformata dall’assetto della Camera delle corporazioni, con i relativi ordinamenti e l’ancoraggio al partito unico, il Partito nazionale fascista. Nasceva lo Stato repubblicano ed era eletta l’Assemblea parlamentare, deputata ad elaborare e approvare la Carta costituzionale, le cui coordinate fondanti sono permeate dalle istanze del cattolicesimo democratico, del socialismo riformista e della visione liberale delle garanzie e tutele della persona; istanze armonicamente correlate allo sviluppo di una società aperta, incentrata sulla promozione dei valori della dignità dei cittadini nella libertà e nell’eguaglianza, in funzione del pieno esercizio dei diritti sociali, in particolare da quello del lavoro a quello dello studio, dando rilievo ai principi del mercato libero, ma anche dell’intervento dello Stato nelle dinamiche economiche, per favorire lo sviluppo della società, in linea di continuità con il dirigismo che era stato elemento rilevante della politica giolittiana e del ventennio mussoliniano. Un prospetto di obiettivi, quello disegnato, dall’Assemblea costituente, che ha orientato il cammino della storia nazionale dagli anni del dopo-guerra ai nostri giorni sui versanti della civile convivenza, delle politiche per la pace e per la cooperazione internazionale.
La stesura materiale della Carta costituzionale si deve alla “Commissione dei 75 “ , composta da uomini politici ed esperti di Diritto di alto profilo professionale, eletti per l’Assemblea con il voto del 2 e 3 giugno del 1946. Dell’autorevole organo collegiale faceva parte l’on.le Vincenzo La Rocca, nolano e anti-fascista della prima ora, tra le figure di maggiore rilevanza nel Partito comunista italiano di Napoli e meridionale, svolgendo un ruolo significativo nell’ambito dell’attività della Commissione, in ordine alle tematiche e ai profili dell’ Organizzazione dello Stato e sugli equilibri dei poteri non separati, ma ripartiti. Scrittore e giornalista, Vincenzo La Rocca è autore di interessanti saggi di cultura politica ed economica, tra cui quello dedicato agli effetti della crisi di Wall Street del 1929, “La crisi economica mondiale”, in cui sono focalizzatie le interazioni tra imperialismo-guerra economica e guerra armata. Una personalità, quella di Vincenzo La Rocca, alla cui memoria Nola ha intitolato la strada, che costeggia l’attuale Parco archeologico “Mastrilli”, ma che andrebbe riscoperta e conosciuta con pubbliche Giornate di studio, alla luce del suo pensiero e dell’azione politica svolta, con proiezione nel più articolato contesto dell’attualità sui temi delle riforme costituzionali. Un tassello di storia del territorio, degno di attenzione e cura. E il 2016, in coincidenza con il 70.mo anniversario della nascita della Repubblica, potrebbe costituire un’opportunità adeguata, per una congrua e incisiva rivisitazione.
BAIANO: LA FESTA DELLA MAGGIORE ETA’ NEL SEGNO DELLA COSTITUZIONE DEL 1948
Si è rinnovata l’iniziativa della Festa della maggiore età, promossa e organizzata dal Circolo sociale 1890 , in collaborazione con la Pro Loco, e con il patrocinio della civica amministrazione. L’evento, celebrato nell’Aula consiliare del Palazzo comunale, in coincidenza con la Festa della Repubblica, vuole rappresentare non solo lo spirito di accoglienza che la comunità cittadina riserva ai “propri” giovani, che hanno compiuto il diciottesimo anno d’età – per la cerimonia di ieri, il compimento coincideva con l’arco temporale dal 2 giugno del 2013 al 2 giugno del 2014- ma attestare anche e soprattutto il simbolico anello di congiunzione tra le generazioni lungo i percorsi della civile coesione, quale paradigma dell’identità culturale del territorio; paradigma, la cui conoscenza ed essenza vanno salvaguardate ed affermate, nel più generale quadro delle profonde e diffuse dinamiche omologanti, con cui si connota la società globalizzata del Terzo Millennio.
A prospettare il senso della Festa della maggiore età, gli indirizzi di saluto del sindaco Enrico Montanaro, e di Felice D’Anna, presidente della Pro Loco, e di Francesco Napolitano, presidente del Forum dei giovani. Il professore Felice Colucci, dirigente scolastico dell’Istituto comprensivo “Parini”-“Giovanni XXIII” evidenziava il significato della manifestazione, sottolineando il valore della scuola nella formazione delle giovani generazioni per l’etica della responsabilità attraverso lo studio; etica, con cui si afferma la dignità di cittadini, in grado di concorrere alla crescita della società nel lavoro. Il dottor Antonio Vecchione, presidente del Circolo sociale 1890, data lettura di alcuni giudizi di Pietro Calamandrei sui significati della democrazia liberale e d’impronta riformista, marcava le valenze della manifestazione, le cui prospettive sono aperte alla diffusione dei principi della cittadinanza attiva; principi, che interpellano, in particolare, le giovani generazioni, espressione del futuro della comunità. “ La funzione della cittadinanza attiva- affermava Vecchione – non coincide di necessità o in modo esclusivo con l’appartenenza a questa o a quella formazione partitica, ma si dispiega nell’avere consapevolezza e conoscenza della realtà cittadina, impegnandosi per ri-cercare soluzioni praticabili, per fronteggiare le criticità da cui è attraversata, e, nello stesso tempo, valorizzarne gli aspetti positivi”.
Il momento-clou della Festa, la consegna del testo-opuscolo della Carta costituzionale agli oltre 30 giovani che hanno raggiunto la maggiore età. L’Inno nazionale, il canto della canzone del Maio, la foto di gruppo dei maggiorenni sono stati gli ingredienti della Festa, le cui fasi sono state coordinate da Giusy De Laurentiis.