Come è noto L’articolo 14, punto 8, lettera b) del DECRETO-LEGGE 24 giugno 2014 n. 91, convertito con LEGGE 11 agosto 2014 n. 116, all’articolo 182 D. Lvo 152/2006 (Norme in materia ambientale), dopo il comma 6, ha aggiunto il seguente:
“6-bis. Le attività di raggruppamento e abbruciamento in piccoli cumuli e in quantità giornaliere non superiori a tre metri steri per ettaro dei materiali vegetali di cui all’articolo 185, comma 1, lettera f), effettuate nel luogo di produzione, costituiscono normali pratiche agricole consentite per il reimpiego dei materiali come sostanze concimanti o ammendanti, e non attivita’ di gestione dei rifiuti”,disponendo, tuttavia,che “Nei periodi di massimo rischio per gli incendi boschivi, dichiarati dalle regioni, la combustione di residui vegetali agricoli e forestali è sempre vietata”
Con il decreto presidenziale n.ro 152 del 7 luglio 2014 la Regione Campania ha reso nota la Dichiarazione dello stato di grave pericolosità per gli incendi boschivi ANNO 2014, cheha indicato il periodo di massimo rischio per gli incendi boschivi quello che va dal 7 luglio (giorno di emanazione dello stesso) al 10 settembre.
Fin dalla emanazione del D. L.vo 152/2006, invece, i Comuni hanno disatteso del tutto le disposizioni normative introdotte e piuttosto che organizzare la raccolta e lo smaltimento di quelli che la norma considerava rifiuti speciali, con apposite ordinanze sindacali, del tutto abusive, rinnovate annualmente, hanno consentito l’abbruciamento dei rifiuti vegetali.
Parimenti, con l’entrata in vigore del DECRETO-LEGGE 24 giugno 2014 n. 91, nel periodo di divieto della combustione dei vegetali (7 luglio – 10 settembre c.a.), hanno omesso ogni iniziativa al fine di impedire gli abbruciamenti, facendo si che gli stessi si protraessero senza soluzione di continuità con gli anni precedenti.
La conseguenza di tale comportamento, allo stesso tempo abusivo ed omissivo da parte dei sindaci, fa si che da anni, col finire dell’inverno e fino ad autunno inoltrato tutti i Comuni vengono sommersi da gigantesche colonne di fumo, procurate dalla bruciatura di residui di potature e lavori di agricoltura vari (in particolare noccioleti), visibili a chilometri di distanza, che invadono tutte le aree circostanti, compresi i centri abitati, i quali rimangono sommersi da cortine fumogene per ore o addirittura per intere giornate e la popolazione locale è costretta a respirare enormi quantitativi di emissioni fumose pericolosissime per la salute pubblica.
Per non parlare dei falò accesi lungo le strade ed autostrade: gli automobilisti si trovano di colpo immersi in densi banchi di fumo che mettono a grave rischio la circolazione stradale.
Peraltro, spesso, vengono mischiati ai cumuli dei residui vegetali dati alle fiamme anche rifiuti plastici (soprattutto contenitori delle sostanze chimiche usate in agricoltura) ed anche residui di piante che sono a loro volta fortemente trattate con materiali chimici tossici, che liberano nell’aria esalazioni particolarmente tossiche.
Allorquando si aprono, finalmente, le finestre per favorire il ricambio dell’aria nella propria abitazione ci si ritrova invasi da nubi di fumo maleodorante che vanno ad impregnare la biancheria, i vestiti, il mobilio. Per lo stesso motivo, nelle giornate afose si è costretti a vivere chiusi nelle proprie case con porte e finestre sbarrate.
Eppure l’attività di controllo e contrasto all’illiceità degli abbruciamenti è di facile praticabilità: basti pensare che le nubi di fumo si elevano alte per ore, con tutto il tempo, quindi, per individuare gli abbruciamenti, i luoghi e gli autori (proprio questo aspetto dimostra come da parte dei Sindaci vi è mancanza assoluta di volontà di intervenire).
Riceviamo e Pubblichiamo. Una ulteriore prova di quanto denunciato, è rappresentata dal fatto che, nonostante l’articolo 14 del citato D.L. 2014/91, come convertito con la Legge 2014/116 disponesse che “I comuni e le altre amministrazioni competenti in materia ambientale hanno la facoltà di sospendere, differire o vietare la combustione del materiale di cui al presente comma all’aperto in tutti i casi in cui sussistono condizioni meteorologiche, climatiche o ambientali sfavorevoli e in tutti i casi in cui da tale attività possano derivare rischi per la pubblica e privata incolumità e per la salute umana, con particolare riferimento al rispetto dei livelli annuali delle polveri sottili (PM10)”, e nonostante la centralina dell’Arpac di misurazione della qualità dell’aria ad Avellino (AV42 Ospedale Moscati), il 30 agosto u.s., avesse già superato (36 sforamenti) il limite massimo di superamento del valore giornaliero ammissibile dall’inizio dell’anno (35) per le PM10, e la nostra diffida, il Comune di Avellino in data 9 settembre scorso, pur consapevole di esporre ad ulteriore grave rischio per la salute i cittadini, ha emanato ordinanza con la quale ha autorizzato la bruciatura dei vegetali.
Eppure l’Agenzia Regionale Protezione Ambiente Campania ha rappresentato i rischi enormi per la salute dei cittadini e per l’ambiente che derivano dalla combustione di scarti vegetali che sviluppano, tra l’altro, le polveri sottili (PM10).
Dal punto di vista sanitario va rilevato che l’inquinamento da PM 10 è considerato la forma di alterazione dell’ecosistema di maggior gravità, essendo una polvere sottile, inalabile, in grado di penetrare e raggiungere agevolmente il tratto respiratorio superiore e, in buona parte, anche di penetrare più profondamente nell’organismo umano, nei polmoni, sino ad arrivare agli alveoli polmonari e, quindi, nel circuito sanguigno e linfatico. Il PM 10, inoltre, non viene espulso dall’organismo ma si deposita e si sedimenta nel corpo umano.
I danni alla salute e le conseguenze derivanti dall’esposizione prolungata all’inquinamento atmosferico sono attentamente, quanto diffusamente, descritti in molteplici studi scientifici.
Dal risultato di una ricerca europea pubblicata sulla rivista Lancet Oncology, alla quale partecipa anche l’Italia con un gruppo di ricerca dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano è arrivata la prima conferma della stretta relazione fra inquinamento atmosferico e tumori del polmone.
A questo va aggiunto che l’IARC di Lione (International Agency for Research on Cancer, agenzia che per conto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità analizza e classifica agenti e sostanze cancerogene al fine di proteggere la salute delle persone) con la presentazione delle nuove Linee guida dell’Oms sulla qualità dell’aria ha dimostrato che l’inquinamento atmosferico non è solo un grande rischio per la salute in generale, ma anche una delle principali cause ambientali delle morti per cancro.
Noi del COMITATO IRPINO “FERMIAMO GLI AFFUMICATORI” ci siamo rivolti, speranzosi e disillusi, a TUTTE le autorità preposte al contrasto di quello che si va sempre più configurando come un vero e proprio disastro ambientale, e oggi ci chiediamo: ma esisterà un giudice a Ber(Avel)lino?
Carlo Borea