di Gianni Amodeo
Una falcata ampia e rapida, da agile ed asciutto longilineo con il metro e ottantadue centimetri di altezza che si ritrovava, per la corsa veloce da gazzella libera e spericolata e il dribbling stretto che gli permettevano con ubriacanti serpentine di piantare in asso- lungo l’out di sinistra- gli avversari, che tentavano di arginarne l’impeto agonistico, se giocava d’ala; ed era infallibile nei cross in corsa e da fondo campo convergenti verso il compagno meglio “piazzato”, per battere in rete.
Una combinazione di risorse e di inventiva da autentico talento, che era diventata raffinata tecnica di regia, una volta giunto a calcare i campi dei campionati nazionali di serie B e A, se era schierato da classica mezz’ala sinistra; tecnica e geometria, con cui fiondava gli attaccanti verso il gol, con lanci per l’impatto nello shoot perentorio. Calciava di collo-piede, con precisione millimetrica nel “sette” e “sparando” tiri saettanti e potenti, quando non calibrava il tiro a “palombella”, che lasciava di stucco il portiere avversario. Ed era abile nei colpi di testa, “incornando” alla meglio sotto rete la sfera di cuoio. Era un “tutto mancino” così come lo è stato- nelle generazioni successive- Mariolino Corso, tra i giocatori-simbolo dell’Inter di Helenio Herrera.
Ivo Vetrano, da ragazzo, aveva avuto come palestra da campo l’androne del palazzo famigliare di piazza Napoletano, dove era in grado di destreggiarsi fino a superare cinquecento tocchi di palla su collo- piede in sequenza, senza mai perderne il controllo e lasciarla cadere. E la stessa sequenza era in grado di proporla, palleggiando di testa. Uno spettacolo da giocoliere fantasioso; ed era lo spettacolo dei fondamentali del calcio, che Ivo curava da sé con la passione e l’entusiasmo di chi è poco più che decenne. E poi c’era la palestra da campo all’aperto per partite senza limiti d’orario nei rettangolari “piazzali” orlati dai lecci d’inizio Novecento – ‘e pipparelle sussurranti– sempre di piazza Napoletano e di piazza Mercato; era la palestra di creativa e ludica anarchia, che faceva da viatico, per giocare al “Bellofatto” di via Olmo, cominciando la classica trafila seguita da tutti i calciatori in erba nelle formazioni di Lega giovanile del Baiano, impegnate nei “combattuti” campionati indetti dal Comitato zonale della Federcalcio di Nola, presieduta all’epoca da quel galantuomo ch’è stato il cav. Ermanno Buonomo.
E la “scuola di sport e calcio” all’aperto frequentata da Ivo è stata la stessa che hanno frequentato tanti altri talentuosi e speciali giocatori che hanno fatto la storia – che prosegue- del “Cerbiatto”. Sono decine e decine di talentuosi e speciali giocatori, le cui figure restano indelebili sullo schermo del ricordo di quanti ne hanno conosciute le prodezze, indossando la maglia del Baiano– ora di fiammante colore granata, ora di sereno azzurro e per qualche annata anche di colore canarino- e tra loro, spiccano i “medaglioni” di Stefano Sibilla e Gigino Bellofatto– ottimi lavoratori e padri di famiglia- sicuramente degni di palcoscenici nazionali come quelli calcati da Ivo e prematuramente scomparsi; Gigino, una decina di anni fa, e Stefano lo scorso anno.
La storia sportiva di Ivo inizia nel Baiano, con il campionato di prima divisione del ’ 53 assimilabile, per difficoltà, caratura agonistica e quadratura tecnica, alla serie D o serie C d’oggi. Era sedicenne. E gli “azzurri” – virtualmente gemellati con il Napoli fin dagli anni del secondo dopoguerra- erano allenati da Ruggero Zanolla, “maestro” di calcio e di stile di vita. Era un Baiano di buon gioco e tanta grinta, che schierava al centro dell’attacco Trapani, un autentico ariete, a cui Ivo “serviva” assist in serie. Era il Baiano che allineava Andrea Picciocchi, Amedeo De Luca, Antonio Canonico e Gigino Zito.
Con le credenziali dell’eccellente campionato del ’53 per il giovanissimo Ivo si fecero pressanti le richieste di vari sodalizi che andavano per la maggiore in Campania. L’ambiziosa Atripalda prevalse. E così Ivo approdò nella formazione cara all’avvocato Carlo Tozzi, che dal 1952 al 1965 è stato sindaco della città del Sabato, e a Nicola Adamo, che sarà parlamentare nel collegio Avellino-Salerno-Benevento. Ed Ivo, insieme con Gigino Nappi, grande mediano di spinta e cursore instancabile, in è stato una delle figure più rilevanti della storia della formazione irpina, che ha conosciuto per anni i fasti della quarta serie interregionale, con un altro baianese di grandi qualità umane e tecniche qual era Franceschino Montuori, morto oltre dieci anni fa.
Poi per Ivo si aprirono le porte del calcio professionistico, dalla serie C alla serie A, con tappe a Saronno, Modena e Varese. Un decennio di belle ed intense esperienze, con il top raggiunto nella formazione allenata da Ettore Puricelli nei campionati del ‘63\ 64 e del 64\65. Era la formazione di cui era patron Giovanni Borghi, il “cumenda” di Comerio, tra i maggiori protagonisti del boom economico nazionale, in virtù della creazione della filiera produttiva degli elettrodomestici, “griffati” Ignis, portatori di modernità nelle case degli italiani.
Borghi– non solo grande uomo di lavoro e industria, ma anche di sport, per gli eccezionali successi realizzati dai suoi team su scala nazionale e europea con il basket, il ciclismo e il pugilato- era il primo “tifoso” del Varese che vinse il campionato di serie B e ben figurò in serie A. Ed aveva una spiccata predilezione per Ivo, ragazzo del Sud che gradino dopo gradino con tenacia aveva conquistato il proprio spazio nel calcio che conta. Un po’ come i tanti emigrati che proprio tra gli anni ’50 e ’60 dal Sud “depresso” erano saliti con le loro poche cose in valigia di cartone al Nord o in Germania federale, per trovare lavoro.
Da Varese il ritorno nella “sua” Baiano, era stato un passaggio affettivo obbligato. E al Baiano, da cui aveva preso l’abbrivo per il calcio di serie A, nel campionato di “promozione” regionale di metà anni ’70, dedicò particolare impegno e cura, con una serie di strepitosi successi. Era il Baiano, in cui fungeva da allenatore e da regista a centro-campo impeccabile. E gli facevano ruota, tra gli altri, Stefano Miele, Nicola Litto, Pierluigi Zero. Era un Baiano con i fiocchi. Forse, l’ultima edizione di un calcio che vive di altre motivazioni e orizzonti, in cui lo spirito amatoriale s’è dissolto o quasi, mentre quello professionistico è sempre agganciato al primato della finanza e piegato alle “ragioni” della televisione, che rende lo sport solo occasione di intrattenimento e guadagni esosi, mentre gli stadi restano deserti, senza festa di partecipazione popolare.
Alla moglie Maria Elena Postiglione, ai figli Viviana e Vittorio, al fratelli Stefano e Pasquale, alle sorelle Agnese e Marina giungano i sentimenti di cordoglio della redazione.