Meglio in galera che in casa con la moglie. Agli arresti domiciliari, stanco ormai delle continue liti con la consorte, un pregiudicato di 37 anni di Tor Bella Monaca ha preferito chiedere il trasferimento in una cella del carcere romano di Regina Coeli. Al “gabbio” si starebbe meglio, a suo dire: «Mettetemi dentro, altrimenti con quella finisce male», avrebbe detto agli agenti di polizia.
L’incredibile richiesta è arrivata al commissariato Nuovo Casilino ieri mattina dopo poco più di due mesi di custodia tra le mura domestiche e dopo l’ennesimo litigio con la moglie, uno dei tanti a cui gli stessi poliziotti avevano cercato di mettere pace durante i controlli giornalieri. E così, davanti all’insistenza del 37enne e a un reale rischio che quei diverbi prima o poi potessero degenerare in violenza, il giudice ha deciso di accontentare l’uomo, tramutando la misura restrittiva.
Del resto, nel quartiere, che il menage tra i due non fosse tutto rose e fiori era risaputo. Tra le palazzine popolari tutte uguali, in largo Ferruccio Mengaroni, in molti erano a conoscenza di quei battibecchi, spesso accesi. E c’è chi la storia la riassume così: lei, stanca ormai di dover provvedere a tutto, continuava a offendere lui, condannato a starsene tra le quattro mura. E lui, ferito nell’orgoglio e stressato, alla fine, ha chiesto ai giudici di stare il più lontano possibile da lei: persino in carcere sarebbe stato meglio. «Se la prende con me perché non posso più portare i soldi a casa», avrebbe poi raccontato ai poliziotti.
Alla tentazione di evadere dai domiciliari, d’altronde, il 37enne, padre di tre figli, ha resisto, ben sapendo di finire per cacciarsi in guai ancora più grossi, incasellando un ulteriore reato, e così ha preferito confidarsi con gli agenti e sperare nella comprensione del giudice.
Nell’ultimo periodo, prima di essere chiamato a scontare errori “di gioventù”, poi, il 37enne aveva provato a dare una svolta alla sua vita, cercando di mettere su un’autorimessa assieme al padre. Un’attività pulita, dignitosa, per poter garantire un po’ di stabilità al suo nucleo familiare. Ma la legge, inesorabilmente, gli ha presentato il conto di una serie di piccoli reati che aveva commesso in precedenza: un anno e un mese, pena da scontare ai domiciliari.
Una mattina di inizio giugno, dunque, gli viene notificato il provvedimento che lo condanna a stare in casa. Altro che galera: la sua vita, ha raccontato ai poliziotti, col passare dei giorni si è tramutata in un inferno, tra continue accuse, liti sempre più animate, veri e propri attestati di disistima davanti ai figli minorenni.
Troppi, davvero troppi altri otto mesi da scontare ancora rinchiuso in casa a quelle condizioni, con una moglie sempre pronta a sgranargli un rosario di reprimende. Così il giudice ha accolto la richiesta del pregiudicato, decidendo di fargli scontare il resto della pena dietro le sbarre. Come desiderava.