Nola – “Sarei venuto anche se non fossi stato invitato”. Così il filosofo Aldo Masullo, esimio figlio di Nola, oggi patrimonio intellettuale e voce saggia dell’intera nazione, esordisce nel suo intervento al convegno sull’Eccidio di Nola, dell’11 settembre del 1943. Masullo, classe ’23, quella tragica giornata la porta stampata nel cuore. Il crepitio delle armi, le urla, la vista degli undici cadaveri degli ufficiali uccisi. Poi la disperazione, con la fuga dei soldati italiani di stanza a Nola che scappavano per le vie della città strappandosi le divise che indossavano. Immagini impossibili da dimenticare e che il maestro Masullo ha voluto trasmettere all’attenta platea, perché la memoria storica è insieme un dovere ed un diritto, come ha spiegato lo storico Guido D’Agostino, anch’egli intervenuto al convegno. Diritto a conoscere per chi non ha vissuto i fatti, dovere a trasmetterli, per chi invece ne è stato testimone. Presenti al convegno anche i figli di due martiri di quell’eccidio. Alberto Liguoro e Maurizio Forzati. Il primo ha dedicato un libro alla tragica vicenda. Una storia forte la sua, non avendo mai conosciuto il padre, il tenente Alberto Pesce, e dunque cresciuto con la sua famiglia adottiva, i Liguoro, per l’appunto. Maurizio Forzati, invece, è figlio del tenente Enrico Forzati che si consegnò al posto di un suo amico al plotone di esecuzione tedesco. Vite spezzate dalla crudeltà della guerra, il cui sacrificio per varie vicende è stato dimenticato. La giornata dell’Amor Patrio, fortemente voluto dall’amministrazione comunale guidata dal sindaco Geremia Biancardi e segnatamente dall’assessorato ai Beni culturali, retto da Cinzia Trinchese, è stata possibile grazie al grande impegno dell’ associazione Gli Amici del Marciapiedi che insieme al Rotary club, ha profuso ogni sforzo per mantenere vivo il ricordo di quel tragico giorno. L’eccidio, è stato sottolineato, può essere considerato senza dubbio come figlio dell’armistizio dell’8 settembre 1943, quando i reparti dell’esercito italiano vennero praticamente abbandonati dalle proprie catene di comando e l’alleato tedesco d’ improvviso si trasformò in un esercito occupante. L’antefatto è l’uccisione il giorno 10 settembre di un ufficiale tedesco. “Già al mattino dell’11 settembre – ricorda Masullo – i tedeschi provarono ad entrare nella caserma di piazza D’Armi, ma il comandante prudentemente non aprì. Allora la divisione dell’esercito nazista si rivolse al comandante del distretto militare la cui sede era presso piazza Orsini, spiegando che le truppe avevano bisogno di carburante per i carri armati. Il comandante si lasciò convincere e accompagnò i tedeschi presso la caserma. I militari all’interno alla vista del superiore non federo resistenza”. Fu l’inizio della fine. “I tedeschi una volta all’interno si fecero consegnare tutte le armi che vennero messe nell’atrio centrale e schiacciati dai carri armati. Poi con il sistema delle decima, vennero scelti a caso undici ufficiali che vennero fucilati”.