Antonio Caccavale
La notizia dell’ultima ora, relativa all’avvenuta liberazione della giornalista Cecilia Sala, non ridimensiona, a mio giudizio, le considerazioni contenute nell’articolo che segue che era stato già inviato alla redazione di questo giornale.
Essere alleati degli Stati Uniti d’America in tema di difesa non obbliga, i Paesi della Nato, a sottostare a qualsivoglia pretesa del governo americano. Detto ciò, va anche ricordato quanto, purtroppo, l’Italia sia sempre stato uno dei Paesi che si comportano in maniera particolarmente accondiscendente rispetto alle richieste, molto spesso improprie, che arrivano dall’altra parte dell’oceano. E non sempre, anzi quasi mai, alla fedeltà che l’Italia ha saputo garantire agli alleati statunitensi è corrisposto il rispetto che questi ultimi avrebbero dovuto portare al nostro Paese. Di esempi da citare ve ne sarebbero tanti, ma può essere sufficiente menzionarne un paio.
Molti ricorderanno la tempestività con cui, nel 2003, senza esitare un solo minuto, il governo italiano aderì a quella che fu definita la “Coalizione della Volontà” che, sotto la guida degli USA, invase l’Iraq di Saddam Hussein. Francia e Germania non aderirono a quella coalizione. In quella circostanza il governo americano, avvalendosi di prove manifestamente false e contravvenendo alle risoluzioni delle Nazioni Unite, sostenne che l’Iraq era dotato di armi di distruzione di massa e per questo bisognava invaderlo ed eliminare Saddam.
E come non ricordare la tragedia del Cermis, che nel 1998 costò la vita a venti persone per la condotta irresponsabile di quattro top gun statunitensi che, non dalla giustizia italiana, come sarebbe stato giusto e legittimo che avvenisse, ma furono condannati dalla Corte Marziale dei Marines e solo per aver distrutto il video del loro volo assassino? Va precisato che il governo italiano accettò di estradare negli Usa quei piloti nel rispetto di una clausola contenuta nel Trattato di Londra del 1951, secondo la quale “nel caso di reati commessi al di fuori dell’esercizio delle funzioni militari la competenza è dello Stato nel quale il reato viene materialmente compiuto, mentre nel caso di reati commessi nell’esercizio delle funzioni militari la competenza sia dello Stato di appartenenza. Fatto sta che quel volo assassino tutto fu tranne che un volo “addestrativo” da assimilare ad una legittima e corretta esercitazione militare, come sostennero gli americani. L’aereo che investì la funivia avrebbe dovuto volare ad un’altezza di non meno di 600 metri e ad una velocità inferiore ai 200 chilometri orari.
E che cosa fu, quella condanna insignificante, se non una cinica umiliazione che la Corte Marziale statunitense volle assestare al nostro Paese?
Se fossero stati dei piloti italiani a provocare, nel territorio degli Stati Uniti (con un volo fuori legge, troppo basso (cento metri dal suolo), troppo veloce (800 chilometri all’ora) e fuori rotta, una tragedia come quella della Valle di Fiemme, il governo americano avrebbe mai estradato i nostri top gun per farli processare dalla giustizia militare italiana?
E veniamo al caso di cui è piena la cronaca di questi giorni: quello dell’ingegnere iraniano Mohammad Abedini Najafabadi, arrestato lo scorso mese di dicembre in Italia su richiesta del governo americano e il successivo arresto della nostra giornalista Cecilia Sala in Iran (tipico esempio di una disgustosa rappresaglia messa in atto dal governo dittatoriale degli ayatollah).
Questo caso molto intricato induce a porci la seguente domanda: si può consentire agli Stati Uniti d’America di chiedere alle autorità italiane di procedere all’arresto di un cittadino iraniano accusato di avere rapporti con una organizzazione considerata terroristica dal governo americano, ma non dal governo italiano?
L’ingegnere Mohammad Abedini Najafabadi, infatti, è accusato dagli americani di aver fatto affari con il corpo dei Guardiani della Rivoluzione iraniani, più conosciuti come Pasdaran. Lo stesso ingegnere è anche accusato, dal governo americano, di aver contribuito a dotare i soldati iraniani di tecnologie necessarie a compiere un attacco con droni che a fine gennaio uccise tre soldati americani in Giordania.
Alla luce delle accuse mosse all’ingegnere iraniano e alla sua attività di fornitore di tecnologie utilizzate per colpire il nemico che, indirettamente, hanno causato la morte di tre soldati americani, sarebbe giusto e corretto se il nostro governo decidesse di estradarlo negli Stati Uniti?
E se questo dovesse essere l’esito finale di una trattativa che il nostro governo ha intavolato tenendo, tra l’altro, all’oscuro la dottoressa Elisabetta Belloni (direttrice generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, che ha compiti di coordinamento e di vigilanza sulle attività dei servizi segreti italiani), non si finirebbe col fare un altro, indebito favore ad una potenza alleata, da cui continuano a non arrivare segnali (e men che meno arriveranno con la imminente presidenza Trump) volti ad evitare di voler imporre le proprie leggi fuori dai suoi confini?