di Sebastiano Gaglione
La fama di Apuleio è dovuta principalmente alle Metamorfosi, un romanzo in 11 libri nel quale è narrata in prima persona l’avventura di Lucio che, trasformatosi in asino per aver ingerito una pozione magica, attraversa molte peripezie prima di riacquistare la forma umana.
Le Metamorfosi sono state variamente interpretate. La critica più antica (Rhode, Burger) ritiene che quello di Apuleio altro non sarebbe che uno dei tanti romanzi, sorti nel periodo della seconda sofistica, in cui si trovano mescolati amori, avventure, viaggi, il tutto finalizzato a uno scopo edonistico.
L’intento di Apuleio sarebbe stato, dunque, quello di fare opera dilettevole, ed
esso sarebbe sotteso a tutto il romanzo.
Oggi si tende a dare dell’opera una lettura più articolata. Nessuno nega che le Metamorfosi si presentino come un romanzo d’avventura, con tutti gli ingredienti del genere: viaggi, azioni piratesche, violenze, colpi di scena, rapimenti, ecc. Inoltre è indubbio che l’autore talvolta si lasci prendere la mano e si abbandoni alla descrizione di questo mondo fiabesco, tradendo un intento edonistico.
Tuttavia, una lettura dell’opera intesa come una sequenza di dilettevoli avventure è troppo riduttiva. La conclusione del romanzo, che non si può negare giunga in qualche modo a sorpresa, costringe a rileggere in una chiave interpretativa nuova tutta la vicenda. Allora il significato del romanzo si chiarisce. La storia di Lucio appare, nei suoi risvolti allegorici, la vicenda dell’anima umana degradata dalle passioni al livello di una bestia, che solo grazie all’intervento divino riesce a redimersi. In quest’ottica allegorica le novelle non sono più sganciate dalla trama del romanzo e non vanno viste solamente come un puro elemento di diletto.
Allo stesso modo ogni avventura che vede protagonista Lucio rivela un aspetto del mondo depravato in cui egli si trova a vivere. Il suo diventa un viaggio attraverso le follie del mondo, un mondo in cui regnano violenza, sopraffazione, depravazione, impostura e spettacolarizzazione del vizio.
Lucio sconta il suo peccato, cioè la compromissione con la bassa sensualità e con la magia attraverso la sofferenza, la quale lo purifica e lo rende degno di entrare in comunione col dio. Il ritorno in forma umana è la metafora della rinascita dell’uomo, di un uomo sottratto ai capricci della dea Fortuna, liberato dalle affezioni del passato, entrato nel porto della quiete, pronto a mettersi sotto la protezione di Iside.
Le Metamorfosi, dunque, vanno lette anche come un romanzo iniziatico, da ascrivere all’ambito della propaganda dei misteri isiaci. D’altronde lo stesso numero dei libri, 11, sembra avere un valore simbolico, se è vero che i riti di iniziazione richiedevano dieci giorni di preparazione e uno per lo svolgimento del rito iniziatico.
Al romanzo non è estraneo l’elemento autobiografico; l’esperienza iniziatica di Lucio sembra assumere i risvolti di un’esperienza personale di Apuleio, quale traspare da tutte le altre opere. Non è mancato perciò tra i critici chi ha posto la piena identificazione, in tutto il romanzo, tra Lucio e Apuleio e ha collocato le Metamorfosi nella letteratura di confessione. Le Metamorfosi sono un romanzo in cui l’elemento avventuroso si coniuga con quello filosofico-misterico e con quello autobiografico, senza, però, che qualcuno di essi prevalga sugli altri e induca a interpretarlo in una esclusiva chiave di lettura.
La novella di Amore e Psiche: un’allegoria nell’allegoria
All’interno del romanzo, ricco, come si è detto, di varie digressioni, una novella si impone sulle altre sia per la dimensione, sia per il significato che l’autore le conferisce.
È quella di Amore e Psiche, narrata dalla vecchia serva dei briganti alla giovane Carite per alleviarle il dolore. Un re e una regina avevano tre figlie, delle quali l’ultima, Psiche, era la più bella. Da ogni paese vicino ci si recava alla reggia per ammirare questo prodigio di natura, e chiunque l’osservava giurava che era la dica venere scesa tra i mortali. L’ammirazione di tutti per la fanciulla suscitò la gelosia di Venere, la quale, per punirla, chiese al figlio Cupido di farla innamorare di un uomo bruttissimo. Cupido, invece, quando la vide rimase tanto colpito dalla sua bellezza che se ne innamorò e, senza mai apparire a lei, la condusse in un palazzo incantato dove la fece sua sposa, non senza prima averle fatto giurare che mai avrebbe tentato di scoprire chi era l’uomo che di notte giaceva con lei.
Tuttavia, Psiche, invogliata dalle sorelle che lei nel frattempo aveva fatto venire nel palazzo, rompe il patto e una notte, mentre Eros sta dormendo, alza la lampada e lo vede in volto. Non ha il tempo per gioire della sorpresa perché una goccia di olio della lampada caduta sulla spalla del dio lo sveglia e lo fa fuggire.
Dunque, Psiche si mette alla ricerca dell’amato ma è continuamente ostacolata da Venere che le impone di superare alcune prove. L’ultima di queste consiste nello scendere nell’Ade e farsi dare da Persefone un vasetto. Avrebbe dovuto consegnarlo a Venere senza aprirlo, ma la curiosità la perde ancora una volta. Psiche viene avvolta in un sonno mortale, ma interviene Cupido, che dapprima la salva e poi chiede a Giove di placare l’ira della madre e di consentirgli di sposare la fanciulla.
La favola occupa, quindi, una posizione centrale nel romanzo.
Se la favola occupa tanto spazio è perché l’autore le ha affidato una funzione ben più complessa di quella riservata alle altre novelle. La fabella è un’allegoria all’interno di un’altra allegoria.
Essa rappresenta il destino dell’anima che, per aver commesso peccato di tracotanza, tentando di penetrare un mistero che non le era consentito svelare, deve scontare la sua colpa con umiliazioni e affanni d’ogni genere prima di rendersi degna di ricongiungersi con il dio.
Le varie tappe del processo di purificazione di Psiche sembrano anticipare le tre fasi iniziatiche dell’inserimento pieno di Lucio nei misteri del divino. E come Psiche giunge infine alla salvezza più per intervento divino che per reali suoi meriti, così Lucio si guadagna l’unione mistica con Iside semplicemente per un atto di fede e non perché abbia acquisito dei reali meriti.