di Sebastiano Gaglione
Il dualismo tra il desiderio di solitudine e quello di socialità è parte integrante dell’animo umano sin dalla notte dei tempi. L’uomo, infatti, si ritrova nel corso della sua vita a vivere, prima o poi, in un vero e proprio oblio esistenziale tra queste due condizioni sociali, essendo egli stesso schiavo delle sue passini. Nell’accezione più comune, i termini di “solitudine” e di “solitario” sono interpretati allo stesso modo, come se fossero dei sinonimi. In realtà, questi due concetti sono molto simili all’apparenza, ma risultano essere completamente differenti per quanto concerne, sostanzialmente, il significato. La solitudine, difatti, è la condizione di colui che vive in modo isolato, senza importanti relazioni sociali e con scarse opportunità di comunicazione; inoltre, le “vittime” della solitudine sono le cosiddette “categorie sociali deboli” (come ad esempio gli anziani). Il concetto di “solitario”, invece, viene attribuito a colui che è autonomo e “rivendica”, in un certo senso, questa sua indipendenza e modo di essere anche in un contesto sociale di massa: un atteggiamento sempre più raro nel mondo moderno, in cui molti individui, a causa della mancanza di personalità e del desiderio di entrare a tutti i costi in un determinato contesto sociale, quale può essere una “comitiva”, fingono di essere ciò che non sono, indossando una “maschera” che li porta a diventare “uno, nessuno e centomila”.
A tal proposito, quella della crisi d’identità è una delle tematiche più importanti affrontate dal grande Luigi Pirandello: in un tratto de “Il fu Mattia Pascal”, intitolato “Io e l’ombra mia”, la libertà assoluta che Adriano Meis credeva di aver raggiunto simulando di esser morto, si rivela non solo illusoria, ma addirittura drammatica, poiché non gli consente nessuna possibilità di svolgere una vita normale. La sua stessa ombra lo rende consapevole dell’inconsistenza della sua identità: egli è proprio come quell’ombra che tenta inutilmente di distruggere, “cacciandola” sotto i carri, sotto i piedi dei viandanti.
Un altro grande poeta che mette al centro della sua poetica il tema della solitudine è il Leopardi, il quale ne “Il passero solitario” esprime la sua volontà di vivere la sua esistenza in assoluta solitudine: proprio come il passero, che vive lontano dagli altri uccelli, così il poeta preferisce starsene in disparte e lontano dai suoi coetanei; tuttavia, il suo destino sarà completamente diverso, poiché il passero vive in solitudine per istinto naturale, a differenza dell’uomo, che è un animale sociale (come affermava lo stesso Aristotele nella sua “Politica”) e quindi, tende per natura ad aggregarsi con altri individui.
L’autenticità dei rapporti sociali va di pari passo con l’autenticità della persona. L’uomo dovrebbe puntare a soddisfare il proprio desiderio di integrazione sociale dimostrandosi per ciò che è realmente. L’uomo deve essere “uno”, cioè se stesso e deve preservare l’elemento che lo contraddistingue dagli altri suoi simili: la propria personalità. Solo in questo modo si potranno abbattere definitivamente le barriere dell’ipocrisia che “circondano” il mondo del nostro tempo.