Il primo romanzo di Enrico Cavarischia dal titolo “Le stelle sopra la montagna” tratta di un uomo burbero e navigato, ma intelligente e – a modo suo – sensibile. Mariosse è uno che non si nasconde dietro un dito, uno che dice sempre ciò che pensa a rischio di risultare impopolare. Se dovesse descriversi probabilmente lo farebbe con riluttanza, rispondendo quasi stizzito: “Cosa vuoi che ti dica? Che sono un brav’uomo, un modello, un esempio da seguire, uno di quelli che vorresti accanto a tua figlia? Uno pulito, sbarbato, sobrio, uno ricco, bello e profumato con la villa al mare e la Porsche nel garage? No. Io sono quello che se ne sta nella penombra dei suoi torbidi pensieri, un animale in cattività nella sua gabbia, quassù tra le montagne nevose e fredde, un tipo iroso, uno che scatta per una parola di troppo, per uno sguardo storto, un beone che non sa dir di no ad un buon rosso, la sua debolezza, il suo mostro. Forse bevo per nascondermi dalle mie paure, dalle mie debolezze, dalla mia timidezza cronica, da lei, da mia figlia che non vedo da anni, che si vergogna di me, ma non posso biasimarla. Un padre così chi lo vorrebbe? Una sorta di Dorian Gray con un dipinto metaforico che marcisce dentro, uno dall’aspetto giovanile e piacente, in qualche modo affascinante, uno che inganna l’interlocutore, ma che in realtà si sente morire, uno che ancora scala la montagna a mani nude, un uomo in forze, fisicamente asciutto, che non ha paura di niente, ma che non riesce a sostenere lo sguardo di sua figlia. Sono un leone con la coda tra le gambe”.