Il 30 luglio scorso, su iniziativa del parroco don Angelo Schettino, nella parrocchia di san Bartolomeo apostolo, si è tenuto un convegno sulla figura di sant’Alfonso Maria de’ Liguori e sui suoi rapporti con Tufino. Il vicesindaco, signor Nicola Bifulco, ha portato i saluti dell’Amministrazione comunale. Ha svolto le funzioni di moderatrice la dott.ssa Francesca Santaniello. Il professor Antonio Caccavale, storico locale, e il sacerdote Raffaele D’Addio, esperto di spiritualità alfonsiniana, hanno illustrato la figura del Santo.
Sant’Alfonso Maria de Liguori nacque a Napoli il 27 settembre 1696. Primogenito di otto figli, quattro maschi e quattro femmine, ad Alfonso Maria, ancora in fasce, fu predetto un futuro di santità. Fu un amico di famiglia, il padre gesuita Francesco de Geronimo, proclamato Santo nel 1839, che al cospetto dei genitori del bambino, mentre lo teneva in braccio disse: “Questo bambino, vivrà vecchio vecchio, né morirà prima degli anni novanta: sarà vescovo e santo e farà grandi cose per Gesù Cristo”.
Solo molti anni dopo questa profezia fu riferita dalla madre di Alfonso Maria, donna Anna Caterina Angelica Cavalieri a Padre Antonio Tannoia, che fu il primo grande biografo del santo napoletano.
Don Giuseppe, il padre di Alfonso Maria, era nato a San Paolo Belsito, ma poi si era trasferito a Napoli, dove si arruolò nella Regia Marina Militare. Il ramo della famiglia de Liguori da cui discendeva Alfonso Maria era imparentato con la potente famiglia Mastrilli, con la quale il giovane coltivò importanti rapporti di frequentazione e di amicizia. Un clima di sapienza e di virtù cristiane accompagnò l’educazione di Alfonso Maria e dei fratelli e delle sorelle, tanto che quattro di loro consacrarono la loro vita a Dio.
Don Giuseppe voleva che Alfonso Maria diventasse un perfetto cavaliere e, seguendo una consuetudine radicata presso le famiglie nobili di quel tempo, affidò l’istruzione e l’educazione del figlio a valenti precettori, dai quali il giovane apprese conoscenze letterarie e scientifiche, il disegno e la pittura, l’architettura e la musica. Dei buoni insegnamenti ricevuti il giovane lasciò traccia in alcuni dipinti ad olio, nel disegno di alcune chiese in pregevole stile settecentesco e in alcuni inni da lui composti, il più famoso dei quali è senza dubbio il popolarissimo “Tu scendi dalle stelle”, eseguito per la prima volta la notte di Natale del 1754 a Nola. All’età di 12 anni, nel 1708, Alfonso Maria si iscrisse alla facoltà di diritto dell’università di Napoli, dove era titolare della cattedra G. B. Vico. La giurisprudenza napoletana, si trovava allora, come scrive il Giannone, “nell’ultimo punto di perfezione”.
Nel 1710 Alfonso entrò a far parte dei cavalieri del Sedile di Portanova, una importante istituzione amministrativa della città di Napoli. Per lui, se solo lo avesse voluto, si sarebbe sicuramente aperta la prospettiva di aspirare a ricoprire le più alte cariche dello Stato.
Il giovane superò brillantemente il corso di studi e, grazie ad una particolare dispensa, gli fu consentito di conseguire la laurea il 21 gennaio 1713, alla sorprendente età di poco più di diciassette anni.
Fu al tempo dei suoi studi universitari che il padre tentò, senza riuscirci, di “accasarlo”: il primo tentativo fallì per la volontà della giovane prescelta (Teresina de’ Liguori, figlia di un cugino del padre) di farsi suora; il secondo non andò in porto per volontà dello stesso Alfonso.
Dopo un biennio di pratica legale, intraprese l’attività di avvocato che, fino al 1723, seppe svolgere in maniera brillante, meritando sentenze favorevoli a tutti i procedimenti giudiziari a cui partecipò in qualità di avvocato difensore. Un processo, molto impegnativo, per il quale si era a lui rivolto Filippo Orsini, duca di Gravina, si concluse con una sentenza contraria al suo assistito. Il giovane e valente avvocato non gradì affatto l’esito negativo di quella sentenza e nel mese di ottobre dello stesso anno, contro la volontà del padre, abbandonò la professione di avvocato, vestì l’abito talare e si dedicò agli studi teologici.
Che Alfonso fosse molto orientato ad abbracciare il sacerdozio è testimoniato da uno sviluppo crescente di un ascetismo religioso che in lui si manifestava già negli anni del suo impegno “secolare”. Il 21 dicembre 1726 fu il cardinale Pignatelli ad ordinarlo sacerdote.
La sua attività di brillante predicatore gli fece acquisire grande notorietà e molti furono i vescovi del Regno che vollero fargli pronunciare i suoi sermoni nelle loro rispettive diocesi.
Fu nel corso di una delle missioni che gli venivano affidate che Alfonso concepì l’idea di creare una sua Congregazione, quella oggi conosciuta come la Congregazione del Santissimo Redentore.
La missione che Alfonso affidò ai redentoristi fu, fondamentalmente, quella di una predicazione improntata alla semplicità e rivolta all’educazione degli umili.
Nel 1762 il papa Clemente XIII volle nominarlo vescovo, affidandogli la Diocesi di Sant’Agata dei Goti. Alfonso fu un valentissimo teologo e il suo pensiero trovò ampio e articolato sviluppo nella sua “Theologia moralis”.
Sul piano morale il metodo di Alfonso era quello di analizzare nella maniera più accurata possibile qualunque questione che implichi una scelta morale, scelta che non deve mai dipendere da una passiva soggezione all’autorità. Egli, infatti, scrive: “No, non ho mai seguito ciecamente come un montone. Ho sempre cercato, per quanto stava in me, di far passare la ragione davanti all’autorità e là dove la ragione mi convince non ho esitato a contraddire molti autori”. E ancora: “Ho cercato, in ogni questione, attraverso un lungo studio, di determinare la verità, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti più direttamente legati all’azione”.
Nella qualità di fine teologo qual era, Alfonso si era già distinto per la netta presa di posizione nei riguardi del giansenismo, che tanti seguaci aveva guadagnato tra i cattolici di tutta Europa.
Se Alfonso Maria de’ Liguori non si lasciava impressionare dall’autorità degli autori anche molto prestigiosi, che lui scelse di non seguire ciecamente come un montone, non diversamente da lui doveva pensarla il suo amico di Tufino Francesco Saverio Mastrilli, che nelle vesti di arcivescovo di Taranto viene descritto per essere stato, sì un attento attuatore delle norme stabilite dal Concilio di Trento, ma di non essersi mai piegato all’eccessivo rigorismo che quel Concilio aveva stabilito che i vescovi dovessero adottare; anche Francesco Saverio Mastrilli, come Alfonso, in presenza di motivi che ne sconsigliavano l’osservanza, non accettò mai di attenersi passivamente all’obbligatorietà del rispetto di certe norme. Tra i due doveva essersi stabilità una buona affinità, una comunanza di vedute che faceva di entrambi due esponenti di una Chiesa sicuramente più al passo coi tempi. I due dovevano stimarsi, e non poco, reciprocamente, tanto che sembra che fu proprio per l’incoraggiamento di Alfonso che Francesco Saverio Mastrilli accettò di andare a ricoprire l’incarico di arcivescovo di Taranto nel 1759.
Anche nella sua veste di vescovo Alfonso continuò a coltivare buoni e fruttuosi rapporti con il paese natale di suo padre, con la città di Nola e con i casali circostanti. Dovette sicuramente frequentare Tufino, in particolare, il palazzo di Ponticchio, Risigliano e Vignola.
Nel corso della sua intera esistenza terrena, Alfonso Maria si impegnò in un’intensa attività di predicazione, di moralizzazione della vita pubblica, di istruzione popolare e di aiuto ai bisognosi.
Nel 1769, già molto provato da numerose infermità, un’artrite deformante gli causò quella incurvatura della testa sul petto che oggi vediamo nelle riproduzioni iconografiche. Nel 1775 si ritirò tra i suoi religiosi nel collegio di Nocera dei Pagani, ed ivi trascorse gli ultimi anni. Morì il primo agosto 1787. Fu beatificato da papa Pio VII il 15 settembre 1816 e proclamato santo nel 1839. Nel 1987 fu proclamato “dottore della Chiesa”.