“Il terzo incomodo”, una commedia all’italiana che accomuna molte storie. La violenza è un’escalation di fasi e sentimenti. Nel percorso di ascolto, i motivi possono essere tanti e non sempre identificabili, ogni storia è un mondo, ogni vissuto un sistema di valori e credenze più o meno tesaurizzate e scardinabili. Modelli e cliché stardardizzati convivono.
Dietro la violenza i motivi scatenanti sono tanti, così come le incomprensioni.
“Il terzo incomodo” è una variabile dai contorni boomerang inaspettati. La violenza duplice dal di fuori, anonima e gratuita.
Presente e fissa, a discapito di chi non sa e non può saperlo, muove i fili, lavora in sordina, consapevole delle conseguenze.
Pensate che meccanismo si instaura nella relazione, già intaccata e, come incide, nel tempo.
I tradimenti sono vecchi, come il mondo, ma la violenza indotta non viene percepita e narrata, sembra un fatto scollegato, ma non lo è.
La violenza è un campo sconosciuto. Gli attacchi arrivano da più parti.
Il maltrattante e il maltrattato vivono e si relazionano nei contrastati sentire.
Calarsi nelle storie significa muoversi in un labirinto.
L’uscita sarà difficile se, non impossibile se le vere cause non sono identificate e calcolate. Si convive perennemente l’instabilitá.
“Il terzo incomodo” vive di rendita, finché non si chiude il cerchio.
Immaginate che inferno si prospetta per chi è all’oscuro di tutto. Deve continuamente giustificare, dimostrare. Non è per niente poco. Ecco perché in molti casi si vive nella violenza a lungo.
Si rischia di mettersi in gioco per niente. Fuori alcune questioni rimangono sospese, è più facile non decidere, la zona di confort, fa comodo. Meglio temporeggiare. Non volersi assumere responsabilità, consapevolezza dove stare, intanto giù pesante a torturare, volersi separare neanche a parlare scattano ricatti nei confronti del “coniuge sospeso a vita” i sensi di colpa e i rimorsi per non avere capito prima e aver perso un sacco di tempo.
Il rispetto si perde e senza troppi scrupoli si diventa incomodi a casa propria.
Ecco, dove erano finiti i complimenti, le scuse, le mancanze, le assenze ingiustificate, le chiamate senza risposte, le irrispettose frasi bloccanti, i soldi, i chi se ne frega.
Vanificare gli sforzi è un affare privato. Gli altri non devono sapere allora ti isola, ti chiude tra quattro mura domestiche, con il ruolo che la società ti appioppa, perché sei pur sempre una mantenuta (resta sempre da dimostrarlo) del marito, della moglie, del compagno, della compagna, …
Belle le formule che ci siamo inventati per giustificare ad oltranza, belle parole per chi (tenta) di denunciare.
Signora: “Torni a casa!”
Maria Ronca, Sociologa