Václav Bříza era un ragazzo del 1976, proveniente dalla Repubblica Ceca, esattamente da Orlová una cittadina della Regione di Moravia-Slesia, nel nord-est della Repubblica Ceca, era venuto in Italia per cercare di cambiare la sua vita, dopo aver fatto il suo percorso di studi che si era concluso con la frequentazione dell’università militare.
Nell’Italia del Nord aveva cominciato a lavorare raccogliendo la frutta, poi si era trovato nell’area della periferia di Avellino e lì aveva lavorato come operaio, malpagato (20 euro al giorno), nel campo dell’edilizia con “lo sciamarro” (il piccone). Le giornate interminabili e la fatica insopportabile lo portarono a decidere di vivere per strada, diventando un senzatetto come diciamo comunemente, a contatto con la natura, con gli animali randagi, parlando con le persone di pace e di cose belle.
Si era trasferito poi a Nola, una cittadina piuttosto tranquilla e borghese, e aveva trovato un posto in cui trascorreva la sua giornata, nel parcheggio di un supermercato, in compagnia dei suoi amati cagnolini. Non chiedeva nulla per sé, sperava solo di rimediare qualche cosa da mangiare per i cagnolini.
La gente capiva e carpiva la sua bontà d’animo e così gli lasciava ben volentieri qualche moneta e la sera, quando il supermercato chiudeva, si recava invece a trovare dei suoi amici dell’Est Europa nella zona del “campo” (l’area antistante lo stadio) di Nola e poi andava a dormire con i suoi fedeli cagnetti in una casetta abbandonata vicino alla stazione delle FS, sempre a Nola.
Una notte però la vita tranquilla e anonima di Václav fu sconvolta per sempre e la sua storia divenne di dominio pubblico:
Nella notte tra il 17 e il 18 marzo 2015 fu aggredito nel sonno in un modo barbaro, con una violenza efferata, da 5 ragazzi (4 ragazzi e una ragazza) che lo presero a bastonate, con delle aste di legno, ridendo e filmando la scena, lasciandolo poi in un lago di sangue. Nella furia gli avevano rotto le braccia e le gambe e avevano ammazzato uno dei suoi cagnolini. Solo un poliziotto che viveva nei pressi della stazione sentendo le urla si era precipitato a soccorrere Václav e riuscì prontamente a chiamare i soccorsi ospedalieri.
Cominciò una vera e propria gara di solidarietà, la Caritas, la comunità di Sant’Egidio, cittadini comuni di ogni età accorrevano ogni giorno in ospedale a portare un saluto, del cibo, dei vestiti, delle cure al malcapitato. La notizia rimbalzò sui giornali e sulle reti televisive nazionali, i cinque balordi furono catturati e tra loro c’erano tre maggiorenni che subirono successivamente un processo con una condanna di 6 anni ai domiciliari. Anche io offrii il mio contributo per la comunicazione in lingua ceca, sperando di poter essere utile alla causa di Václav e alla giustizia sociale, dalla parte di un ragazzo dolcissimo e dagli occhi malinconicamente vispi e intensi come comunemente hanno gli slavi del centro Europa.
Il recupero di Václav fu lungo e non totale, l’uso delle braccia e delle gambe non fu recuperato del tutto, cercammo di convincerlo a tornare in Repubblica Ceca dal suo papà, prospettavamo quel che poteva essere il meglio per lui dal nostro punto di vista, ma lui voleva restare qui, scegliendo la strada della libertà come la intendeva lui, vivendo un po’ presso le strutture Caritas e un po’ per la strada, dormendo anche in luoghi abbandonati con amici che la pensavano come lui, soli per scelta o per necessità. Durante la lunga degenza Václav aveva conosciuto anche una ragazza, Marie, che era venuto a conoscerlo dalla Repubblica Ceca, si erano innamorati, ma dopo poco lei morì.
Una vita triste per Václav, sebbene coccolato da tanti amici, aiutato dalla Caritas nel migliore dei modi, che non ha mai manifestato odio per i suoi aggressori né desiderio di vendetta, voleva soltanto un po’ di giustizia, la verità. Ricordo che per aiutarlo nella comunicazione una volta lo accompagnai con il suo avvocato e altri volontari presso la Caritas affinché incontrasse alcune assistenti sociali che seguivano i suoi aggressori nel tentativo di recuperarli, loro volevano fare in modo che Václav, o Váček come solevo chiamarlo affettuosamente, incontrasse questi ragazzi, che li perdonasse, o che quantomeno leggesse una lettera che gli avevano scritto. Non volle né leggere, né tenere la lettera, né tantomeno volle sentire nulla di quei ragazzi che gli avevano distrutto la vita. Si limitò a dire che non gli interessava vederli, né che pagassero in qualche modo in particolare per quello che avevano fatto, gli interessava solo che stessero lontani da lui, ancora impaurito e sgomento.
La solidarietà per Václav da parte di tanti è continuata anche dopo, il liceo di Cicciano ha promosso una colletta per lui, così come la gente comune, qualcuno gli ha offerto una casa, altre persone gli hanno offerto un lavoro, ma lui non poteva lavorare perché aveva ancora i segni e soprattutto i limiti nella deambulazione e nella manualità che l’aggressione gli aveva lasciato. Segni indelebili, soprattutto nell’animo.
Václav non volle tornare in Repubblica Ceca, pur avendo lasciato intendere che l’avrebbe fatto, aspettava la conclusione del processo e che gli venisse riconosciuta un’indennità.
Dopo poco cominciò a trascurarsi, a dubitare di tutto e di tutti. Cominciò a lasciarsi andare e a stare sempre peggio, ritrovò la sua amata Siber, la cagnetta adorata, e decise di vivere a modo suo, si trascurò fino a star male e di recente fu portato in ospedale in condizioni di salute molto preoccupanti. Un amico comune mi ha chiesto di aiutarlo ancora una volta cercando di rintracciare i suoi familiari a Orlová, o il papà, o suo zio, o i suoi cugini. Ho provato a scrivere agli uffici del comune qualche giorno fa, ma non ho ancora avuto risposta. Stamani una notizia triste e inaspettata, un messaggio da parte dell’amico comune recitava: Ciao Mari, puoi interrompere le ricerche, Václav stanotte è tornato da Gesù.
E’ finita così la vita del caro e dolce Václav, in un ospedale, lo stesso in cui lo avevo incontrato per la prima volta, lo stesso luogo in cui gli promisi che l’avrei aiutato assieme a tanti altri amici mentre lo rassicuravo stringendogli la mano, gli regalai un lettore mp3 con la musica popolare ceca, perché potesse sentirsi confortato dal suo stesso idioma, giornali, libri e riviste, merendine perché si nutrisse. Ricordo il terrore nel suo sguardo quando mi sentì parlare ceco, era spaventato da tutto e tutti, non sapeva a chi o a cosa aggrapparsi, crocefisso com’era a un letto ospedaliero e chiedeva sempre e solo dei suoi cani.
Ricordo i caffè presi insieme, lui li preferiva “corretti all’anice”, la visita al consolato onorario di Napoli per i documenti, le varie iniziative, la gentilezza e il garbo dei suoi sguardi per me, rispettosi e riconoscenti.
Ricordo i suoi sorrisi timidi, la sua richiesta privata di tradurre per lui una poesia che aveva scritto in un ceco strano, contaminato dal polacco e dal russo dei suoi amici slavi con cui aveva rapporti frequenti, una poesia che era scritta con una grafia incerta che ritenni profonda e vera, credo di conservare ancora da qualche parte l’originale. E voglio lasciare qui il suo ricordo poetico, sicura di non far nulla di sbagliato e di non tradire la sua memoria, perché si possa tramandare il ricordo dolce di una persona sincera e umile che nella sua breve vita è morto due volte.
Io sono il motore dell’universo,
Sono suo padre e sua madre.
Da me tutto promana,
a me tutto ritorna.
Il mio corpo, il pensiero e lo spirito
Sono il tempio più sacro
Del mio essere unico.
Amen,
il pensiero.
Václav, Aprile 2015
Grazie a sua Eccellenza Beniaamino , alla Caritas,ed alle tante persone che ci sono state vicine per aiutarlo!!!