Oggi 25 agosto si festeggia san Giuseppe Calasanzio (al secolo José de Calasanz), nacque a Peralta del Sal (Spagna) l’11 marzo 1557, nel castello di Calasanza. Durante i suoi studi si sentì chiamato al sacerdozio, anche se trovò la contrarietà del padre. Si preparò con un forte impegno, conseguendo con lode i titoli accademici di baccalaureato in lettere e laurea in teologia. Fu ordinato sacerdote nel 1583, all’età di 26 anni, svolse una intensa attività apostolica al servizio di diversi vescovi della sua regione, fu proprio per espletare qualche pratica giuridica del suo vescovo, che nel 1592, venne a Roma, nel frattempo nella sua vita romana egli faceva scoperte che lo avrebbero trasformato radicalmente. Aveva iniziato al servizio del cardinale Marcantonio Colonna come educatore dei suoi nipoti, ma intanto veniva a conoscenza della realtà dolorosa e degradata della Roma dei quartieri popolari, di Trastevere in particolare, molto diversa da quella splendente della corte pontificia e dei palazzi cardinalizi e aristocratici. Un giorno, mentre passava in una piazza, fu colpito in modo insolito dallo spettacolo di una turba di sudici e malvestiti ragazzi che giocavano tra grida scomposte, atti sconci, litigi e bestemmie. Di colpo comprese qual era la missione per la quale era giunto a Roma dalla sua patria lontana: la scuola. Fondò, nel 1597, nella Chiesa di Santa Dorotea la “prima scuola pubblica e gratuita dell’Europa”. Giuseppe alla sua opera diede il nome di “Scholae Piae” (Scuole Pie), per significare che esse dovevano essere totalmente gratuite. Un’opera benefica, ma troppo innovativa; per questo né le autorità civili, né gli altri Istituti religiosi, ai quali Giuseppe si era rivolto, vollero prendersene cura. Fu così che nel 1617 lui stesso, con i suoi collaboratori, per dare futuro alle sue scuole, fondò la “Congregazione Paolina dei Chierici Regolari Poveri della Madre di Dio delle Scuole Pie” (“paolina” dal papa Paolo V che l’approvò), elevata poi da papa Gregorio XV ad Ordine religioso nel 1621 con il nome attuale. Il centro delle sue idee educative fu il rispetto per la personalità di ogni bambino e il vedere in essi l’immagine di Cristo. Dovette difendere le sue scuole da non pochi calunniatori, in modo particolare religiosi della sua stessa Congregazione, che pretesero dal papa Urbano VIII che fosse deposto da Superiore Generale e Innocenzo X nel 1646 soppresse le Scuole Pie come Ordine religioso. Egli, però, in quegli anni terribili, non perse mai la speranza, anzi esortava i suoi religiosi a sperare: il Signore avrebbe provveduto. E così avvenne di fatto: pochi anni dopo la sua morte, nel 1656, il papa Alessandro VII ristabilì le Scuole Pie come Congregazione religiosa e il suo successore Clemente IX, tredici anni dopo, le dichiarò nuovamente Ordine religioso di voti solenni. La speranza di Giuseppe non fu delusa perché era riposta in Dio e nella consapevolezza che le Scuole Pie erano opera di Dio. Morì il 25 agosto 1648, a 91 anni; patrono delle scuole popolari.
5 agosto: san Pellegrino martire, oltre Pellegrino in questo giorno si commemorano anche i suoi compagni, Eusebio, Ponziano e Vincenzo, la loro passio, racconta che vissero al tempo dell’imperatore Commodo (180-92). Per seguire i consigli evangelici distribuirono ai poveri i loro averi. Quando l’imperatore ordinò un pubblico atto di culto in onore di Giove ed Ercole, essi non solo rifiutarono, ma anche intensificarono la loro propaganda cristiana. Convertirono al cristianesimo anche il senatore Giulio, che pure si affrettò a distribuire le sue ricchezze ai poveri: il giudice Vitellio lo condannò ad essere ucciso a vergate. Pellegrino e i suoi compagni ne seppellirono il corpo con onore. Vitellio li fece arrestare e li sottopose ai supplizi del cavalletto, dello stiramento dei piedi, della bastonatura e del fuoco ai fianchi. Un angelo scese a medicare le loro ferite, scena che contemplò Antonio (o Antonino), uno dei carnefici, che si convertì e poco dopo suggellò con il sangue la sua fede. Eusebio, al quale era stata strappata la lingua durante le torture, riprese a parlare. Una notte, mentre i quattro erano in preghiera, apparve loro Giulio che li esortava a continuare nella loro opera di conversione. La notizia di questi episodi si diffuse in tutta Roma e ben presto molti accorsero alle prigioni chiedendo, ai quattro giovani, intercessioni e preghiere; molti si convertirono, e tra questi, Lupolo, che era stato sacerdote di Giove Capitolino, e Simplicio, custode del carcere. Intanto Commodo, informato dei prodigiosi eventi e preoccupato per tutto l’interesse che si era acceso intorno a Pellegrino e compagni, convocò i più diretti collaboratori per decidere in merito. Dapprima tentarono di far rinnegare la fede cristiana ai quattro con lusinghe: per riavere la libertà e vivere ricchi e onorati avrebbero dovuto soltanto bruciare dell’incenso davanti l’effigie di Commodo ed adorarla. Di fronte al loro secco rifiuto, Vitellio dispose che il giorno successivo, il 25 agosto, fossero condotti nell’anfiteatro Flavio, al cospetto dell’imperatore e del giudice per l’ultimo tentativo di ottenere da essi una pubblica abiura della loro fede. Anche là, per nulla intimoriti dalla folla urlante, Eusebio, Pellegrino, Ponziano e Vincenzo opposero un nuovo rifiuto. Così Commodo ordinò a Vitellio di dar loro morte a colpi di sferza. I quattro furono condotti alla cosiddetta “pietra scellerata” e, denudati fino ai fianchi, vennero legati ad anelli di ferro fissati a quattro colonne di pietra; furono, poi, sottoposti ai durissimi colpi di sferza, mentre essi continuavano a pregare. Intanto, dalla folla si faceva largo un anziano che chiese ed ottenne dall’imperatore di poter assistere spiritualmente i condannati: era il sacerdote Rufino, che, avvicinatosi ai quattro, li abbracciò e pregò con loro. Quando questi spirarono Rufino ne raccolse il sangue in quattro diverse ampolline, poi aiutato da altri fedeli portò via i corpi di quei martiri e diede loro sepoltura nell’arenile tra le vie Aurelia e Trionfale, al VI miglio da Roma. Successivamente una santa matrona romana di nome Ciriaca fece trasferire i resti di Eusebio, Pellegrino, Ponziano e Vincenzo nel suo cimitero.
25 agosto: san Luigi IX re di Francia, nacque a Poissy (Francia) il 25 aprile 1215, figlio di Luigi VIII e di Bianca di Castiglia. Il padre morì quando aveva 12 anni e fu la madre a governare il paese fino a che Luigi non raggiunse la maggiore età. Fu incoronato a Reims il 29 novembre 1226. Sposò Margherita, figlia di Raimondo Berenguer, conte di Provenza, a Sens, il 27 maggio 1234. Luigi e Margherita ebbero undici figli: cinque maschi e sei femmine. Luigi fu unto re nel 1235 e in quell’anno prese in mano il governo del regno, anche se la madre continuò a esercitare una grande influenza. Nel 1240 l’Europa fu minacciata dai nemici del cristianesimo e dei regni cristiani nel 1241 le tremende scorrerie dei mongoli in Europa centrale diffusero il presagio di una catastrofe imminente. Nell’ottobre 1244 i cristiani della Palestina furono sconfitti dai musulmani vicino a Gaza. Nel dicembre dello stesso anno, mentre era ammalato, Luigi prese la decisione di condurre una crociata in Terra Santa. I consiglieri e i nobili erano contrari, ma Luigi fu irremovibile: aumentò le tasse sui benefici ecclesiastici per raccogliere fondi sufficienti e il 12 giugno 1248 s’imbarcò per Cipro, dove arrivò il 18 settembre e dove duecento cavalieri inglesi guidati dal conte di Salisburgo si unirono a lui. Luigi conquistò Damietta nel delta del Nilo nel 1249 ed entrò nella città a piedi preceduto dal legato papale. Ordinò di indagare sui crimini commessi dai crociati, sui furti in particolare, e fece restituire il bottino. Ordinò anche di non uccidere i musulmani se si poteva farli prigionieri, ma essendoci numerose allettanti opportunità, naturalmente le misure prese dal re non evitarono saccheggi, violenze e rapine. Questi atti erano difficilmente conciliabili con l’idea che aveva Luigi del nobile scopo delle crociate intese come pellegrinaggio alla tomba di Cristo. Tutto il suo entusiasmo non poteva fare nulla per alleviare i danni causati da malattie e corruzione. L’esercito crociato fu sconfitto a Mansourah il 5 aprile 1250, e Luigi fu fatto prigioniero, durante la prigionia recitava l’Ufficio divino tutti i giorni con due cappellani, e rifiutò di cedere i castelli in Siria, nonostante le minacce di tortura. Alla fine consegnò Damietta, pagò una forte somma per riscattare se stesso e i crociati sopravvissuti e fu rilasciato il 6 maggio. Non avendo nessuna intenzione di abbandonare l’impresa in Palestina, si recò ad Acri in Siria dove lavorò per rafforzare i possedimenti crociati. Fu a Sidone dal giugno 1253 al febbraio 1254, quando seppe della morte della madre, a cui aveva lasciato la conduzione del regno, ritornò in Francia, il 17 luglio 1254, e intraprese una serie di riforme, ma il decreto più significativo fu la Grande Ordinanza per la riforma del regno, che tra il 1254 e il 1270 introdusse diverse misure per ristabilire l’ordine morale: una complessa struttura di decreti introdusse una nuova responsabilità per la vita sociale, controllata da resoconti frequenti sulla condotta dei governatori e degli ufficiali delle città, dei villaggi e, soprattutto, di Parigi. Dal momento che la minaccia musulmana continuava, Luigi organizzò una seconda Crociata nel 1267, Luigi si mise in mare e arrivò a Tunisi, dove indebolito dalla malattia e dalle privazioni, morì per dissenteria, causata probabilmente da un attacco di tifo. Morì il 25 agosto 1270
25 agosto: santa Patrizia di Costantinopoli, la sua esistenza fu breve e le scarne notizie sono state tramandate da fonti tardive, fondate sulla tradizione trasmessa oralmente dai membri della sua comunità religiosa. Sembra sia nata nel 664, da una famiglia ricca e nobile di Costantinopoli, discendente dell’imperatore Costantino il Grande e secondo alcuni, congiunta di Costante II. Educata a corte dalla nutrice Aglaia, emise i voti di verginità in giovane età e, per rimanere fedele a quel proposito, fuggì dalla città perché l’imperatore Costante II suo congiunto le aveva imposto con la forza il matrimonio. Riparò a Roma con la sua nutrice Aglaia e altre ancelle, si recò da papa Liberio per ricevere la consacrazione verginale, si distaccò dal lusso familiare per sposare uno stile di vita sobrio e improntato alla semplicità. Tornata in patria alla morte del padre, lasciò il palazzo imperiale rinunziando ad ogni pretesa dinastica per distribuire la sua eredità ai bisognosi e partire per la Terra Santa in pellegrinaggio; ma durante il viaggio una terribile tempesta la fece naufragare sulle coste di Napoli, sull’isolotto di Megaride (oggi Castel dell’Ovo), nelle cui grotte si sarebbe insediata la sua prima piccola comunità di preghiera e di assistenza spirituale e morale ai bisognosi ma, dopo breve tempo dal suo arrivo, morì all’età di 21 anni dopo una brevissima malattia, il 13 agosto 685 (una leggenda napoletana narra che sia morta il 25 agosto, giorno in cui si celebra la sua ricorrenza liturgica). Donna Aglaia sempre fedele a lei, organizzò dei solenni funerali a cui parteciparono sia il vescovo che il duca di Napoli. Il suo corpo venne messo su un carro tirato da due torelli indomiti che miracolosamente mansueti condussero il corpo al Monastero dei Santi Nicandro e Marciano, retto dai padri basiliani, luogo che lei stessa aveva indicato come sua sepoltura; compatrona della città di Napoli.