Oggi 27 marzo la chiesa ricorda san Ruperto di Salisburgo, originario dell’Irlanda, nacque verso il 670 d.C., discendeva dai Robertini o Rupertini, un’importante famiglia che dominava con il titolo di conte nella regione del medio e alto Reno. I Robertini erano imparentati con i Carolingi e centro della loro attività era Worms. Qui Ruperto ricevette la sua formazione di stampo monastico irlandese. Verso il 700, si sentì spinto alla predicazione e alla testimonianza monastica itinerante e si recò perciò in Baviera, ottenendo buoni risultati a Ratisbona (Germania) e Lorch, dove la popolazione, pur avendo abbracciato il cristianesimo, aveva ancora bisogno di approfondire la fede e la vita cristiana. Appoggiato dal conte Theodone II di Baviera, sul lago Waller, fondò una chiesa, dedicata a San Pietro. Divenuto vescovo di Salisburgo (Austria), aveva altri progetti e ottenne dal conte un altro territorio sul fiume Salzach, e il conte donò a Ruperto una proprietà presso Salisburgo, nei pressi dell’antica e cadente città romana di Juvavum. Il monastero che vi costruì, lo dedicò a San Pietro. Il suo sviluppo fu opera anche di dodici collaboratori che Ruperto fece venire dalla sua terra d’origine: tra essi Cunialdo e Gislero, onorati come santi. Non lontano dal monastero di San Pietro, sorse pure un monastero femminile, affidato alla direzione dell’abbadessa Erentrude, nipote di Ruperto. Queste due comunità religiose furono fonte di irradiazione di vita cristiana per tutta la regione. Fu questo manipolo di coraggiosi che fece sorgere la nuova Salisburgo («la città del sale»), che a giusto titolo riconosce in Ruperto non solo come primo vescovo ma anche come il proprio ri-fondatore. Morì il 27 marzo 718; patrono di Salisburgo.
27 marzo: beato Francesco Faà di Bruno, nacque ad Alessandria il 29 marzo 1825, da una famiglia della nobiltà piemontese. Nel 1836 entrò nel collegio dei Padri Somaschi a Novi Ligure. Nel 1840 entra nell’accademia militare di Torino, successivamente prese parte alle guerre del 1848 e 1849, raggiungendo il grado di capitano. Poiché re Vittorio Emanuele II era intenzionato ad affidargli l’educazione dei figli Umberto e Amedeo, si recò a Parigi, alla Sorbona, perché potesse approfondire gli studi matematici e astronomici ed essere sufficientemente preparato al compito assegnatogli. Durante quel periodo partecipò alla vita della parrocchia di San Sulpizio, dove entrò in contatto con vari esponenti del cattolicesimo sociale francese. Tornò a Torino e poiché l’ostilità di alcuni consiglieri del re, legati alla Massoneria, aveva bloccato la sua nomina di precettore dei principini, si dedicò a tempo pieno alla ricerca scientifica e all’apostolato. Dimessosi dall’esercito il 23 marzo 1853, tornò a Parigi e tre anni dopo diede alle stampe la sua tesi di laurea, prima di una serie di opere che dal campo scientifico si estesero a quello ascetico, religioso e musicale. Le sue opere lo imposero ben presto all’attenzione degli studiosi a livello europeo: per lui la scienza era una via che porta a Dio ed uno strumento a servizio dell’umanità. Fu costantemente un uomo di fede. Nel periodo in cui fu militare scrisse un Manuale del soldato cristiano. Da scienziato testimoniò sempre di trovare un’assoluta armonia fra la scienza e la fede. Nel 1857 fu incaricato dell’insegnamento di Analisi Superiore all’università torinese, ma come straordinario e tale rimase fino alla morte per l’opposizione ideologica degli anticlericali. Eppure aveva dimostrato il suo valore, inventando un barometro a mercurio, l’ellipsigrafo, uno svegliarino elettrico e uno scrittoio per ciechi, sua sorella Maria era una non vedente. Fece anche una breve esperienza politica candidandosi, nelle elezioni del 1857, per il Partito Cattolico Conservatore, ma fu sconfitto al ballottaggio. Nel 1859 veniva nominato dal Ministro della Guerra professore di topografia e di trigonometria e, nel 1864, di geodesia presso la Scuola di Applicazione dello Stato Maggiore. Nel frattempo però, da cattolico impegnato, svolgeva una intensa attività caritativa. La fame spingeva la gente verso la città per trovare lavoro nelle nascenti industrie: c’erano gravi problemi che lo Stato non voleva affrontare. Fu lui a creare la Pia Opera di Santa Zita, nel 1859, per le donna di servizio le quali, provenienti per lo più dalla campagna, spesso indifese e disoccupate, finivano sul lastrico dandosi alla prostituzione; inoltre aprì pensionati per anziani, donne povere inferme e per sacerdoti. Intanto era maturata in lui la vocazione al sacerdozio e ricevette l’ordinazione il 22 ottobre 1876 a Roma. Nel 1881 fondò la Congregazione delle Suore Minime di Nostra Signora del Suffragio. Contemporaneamente, la sua sensibilità ai bisogni emergenti si concretizzava in altre iniziative di carattere sociale. Questo imponente complesso di opere era da lui sostenuto finanziariamente con il suo stipendio di docente universitario, con fondi attinti al patrimonio familiare e con le elemosine che egli stesso, pur essendo di famiglia nobile, non si vergognava di chiedere ai fedeli davanti alle chiese. Nonostante ciò, egli lavorava duramente ispirandosi a tre parole-guida: pregare, agire, soffrire. Le fatiche dei suoi molti impegni quotidiani ne minarono la salute. Morì a Torino il 27 marzo 1888; patrono del Corpo degli Ingegneri.