a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 10 novembre si celebra san Leone Magno, 45° vescovo di Roma e Papa della Chiesa cattolica; nacque a Roma alla fine del IV secolo, da genitori originari della Toscana. La sua istruzione, di ottimo livello e di tipo aristocratico, ebbe luogo nella stessa città, dove pure intraprese la carriera ecclesiastica, raggiungendo ben presto cariche di sicuro prestigio e responsabilità. Verso il 430 Leone, ormai diacono, era diventato uno dei personaggi più influenti, consultati e ascoltati del clero romano. Recatosi in Gallia per una missione diplomatica affidatagli dalla corte imperiale lo raggiunse la notizia che, era morto papa Sisto III, fu consacrato il 29 settembre 440, suo successore. E così Leone saliva sulla barca di Pietro, agitata dai venti delle eresie e dalle tempeste delle politiche imperiali. Non potevano fare scelta migliore, visti i tempi difficili, le invasioni barbariche, nei quali ebbe ad esercitare il suo ministero di pastore supremo. Leone incarnò in sé le caratteristiche di moderazione e di equilibrio, derivanti dalla cultura romana aperta a tutti i popoli, e la spinta innovativa e per certi versi rivoluzionaria derivante dal cristianesimo. Leone affermò validamente la propria autorità su tutto l’Occidente; con i suoi sermoni, che accompagnano tutto l’anno liturgico, rivelano come egli fosse un pastore solerte nel guidare e istruire, molto attento soprattutto nel salvaguardare la chiesa dai pericoli dell’eresia. Fu particolarmente severo verso i manichei e i pelagiani. Vigilò con severo controllo sui vescovi d’Italia, insistendo sulla necessità di uniformare gli usi correggendo gli abusi e risanando i disaccordi. Nei suoi rapporti con l’Oriente si trovò di fronte ad una certa resistenza. La prima grana che ebbe ad affrontare in campo dottrinale fu l’eresia del monaco Eutiche, e cioè il monofisismo (dove si riconosceva la sola natura divina di Cristo). Un’eresia pericolosa quanto dirompente per la fede cristiana. Eutiche si era appellato allo stesso Leone, perché era stato condannato dal vescovo Flaviano di Costantinopoli. Leone scrisse e mandò a quest’ultimo una importante Lettera in cui prendeva posizione netta a favore delle due nature, divina e umana, in una sola persona, il Cristo. È la famosa opera Tomus ad Flavianum. Sembrava tutto risolto, ma le cose si complicarono perché l’imperatore Teodosio aveva convocato un sinodo a Efeso, nel 449, nel quale si riabilitava Eutiche e la sua dottrina. Leone da Roma rifiutò energicamente quell’assemblea, che egli riteneva scandalosa e scrisse all’imperatore ribadendo la sua posizione contro il monofisismo. Nel 451 convocò un Concilio Ecumenico a Calcedonia è passato alla storia come uno dei più importanti concili, fu un trionfo per il papa, perché tutti i partecipanti si dichiararono concordi con l’impostazione di Leone. Ma Leone non dovette solo combattere contro i nemici dell’ortodossia cattolica, armati, di filosofia e teologia, ma anche contro nemici armati: Attila e i suoi Unni. L’incontro Leone-Attila avvenne vicino a Mantova. E fu positivo. Leone aveva risparmiato Roma da un altro saccheggio. Gli storici ci dicono che non furono solamente le parole di Leone a fermare Attila e a fargli invertire la rotta, ma che Attila vide in visione dietro Leone a difenderlo gli apostoli Pietro e Paolo, armati. Tre anni dopo su Roma si abbatterono i Vandali di re Genserico. Questa volta Leone non riuscì a proteggere Roma dal saccheggio, ma grazie al suo intervento i Vandali risparmiarono la vita ai romani e non ridussero la città in cenere. Leone morì il 10 novembre 461, aveva circa 60 anni.
10 novembre: sant’Andrea Avellino, (al secolo Lancellotto Avellino), nacque a Castronuovo (Potenza) nel 1521. Venne battezzato con il nome di Lancellotto, nome che richiama nobiltà ed eroismo e molto in voga in quel secolo. L’ambiente familiare favorì la sua vocazione, con diligenza apprendeva le lezioni che nella scuola parrocchiale impartiva lo zio prete, don Cesare Apelli, che fu il suo primo precettore. Nel 1532 lasciò Castronuovo per entrare in quello studentesco di Senise, per completare i suoi studi, probabilmente presso la sede vescovile che allora sorgeva presso la cittadina. Completati gli studi a Senise si trasferì a Napoli iscrivendosi alla facoltà di giurisprudenza. Durante gli anni universitari partecipò agli esercizi spirituali tenuti dal gesuita Diego Lainez. Ne fu così affascinato che alla professione forense preferì la vita religiosa, entrò nell’ordine dei Chierici Regolari Teatini, fondato da san Gaetano di Thiene nel 1533 a Napoli. Il 30 novembre 1556 vestì l’abiti di novizio, prendendo il nuovo nome di Andrea. Il 25 gennaio 1558 emette la professione religiosa. L’anno seguente venne ricevuto a Roma da papa Paolo IV cofondatore assieme a san Gaetano da Thiene dell’Ordine dei Chierici Regolari Teatini. Nel 1560 venne nominato maestro dei novizi, carica che ricoprì per 10 anni. Fu molto apprezzato come confessore. Attraverso il sacramento della confessione egli stabiliva rapporti quotidiani con gli umili e i diseredati, ai quali dava il suo aiuto e i suoi consigli. Nel 1567 Andrea venne nominato preposito della Basilica di San Paolo Maggiore a Napoli. Ruolo che ricoprì a più riprese nei successivi dieci anni. Fu visitatore della Provincia lombarda dei teatini tra il 1573 e il 1577 e della Provincia campana dal 1590 al 1591. Andrea servì l’Ordine esercitando misteri e uffici di grande responsabilità, servì la chiesa di Napoli, di Piacenza, Milano dove cercò di attuare la Riforma della chiesa insieme a san Carlo Borromeo, con il quale stabilì un rapporto di affetto e stima. Gli ultimi dieci anni del santo furono carichi di sofferenza, ma la sua attività non conosceva tregua, continuò il suo lavoro spirituale, le astinenze e le confessioni. La mattina del 10 novembre del 1608 si alzò come al solito, accompagnato dal fratello converso Giacomo Bellini, si avviò verso la sacrestia dove preparò il calice, vestì gli abiti sacri per celebrare la Santa Messa. Mentre si avviava all’altare, a stento, le gambe lo sorreggevano. Salì i gradini dell’altare, pose il calice, preparò il messale e inchinato il capo all’altare scese per iniziare le preghiere, ma fece appena in tempo a pronunciare «Introibo ad altare Dei» che, colpito da apoplessia, stava per cadere a terra, ma fu sorretto dal fratello che subito lo soccorse e lo condusse in sacrestia. Alle 22.00 dello stesso giorno, dopo una lunga agonia, esalò l’ultimo respiro