Oggi 3 marzo la chiesa celebra san Marino di Cesarea, si racconta, secondo lo storico Eusebio di Cesarea, che nella seconda metà del III secolo a Cesarea, in Palestina, era vacante un posto di centurione. Quel posto spettava a Marino, nobile e benestante, ufficiale romano, ma molti altri aspiravano a quella promozione. La promozione gli era già stata notificata ed egli era in attesa della consegna della verga di vite, simbolo del grado di centurione romano. Altri però ambivano a quella promozione. Uno dei pretendenti dichiarò al magistrato che Marino era cristiano e che, quindi, non potendo sacrificare all’imperatore, non avrebbe potuto rivestire l’alta carica. Al processo, il giudice, un certo Acheo, infastidito da questo contrattempo, domandò a Marino quale fosse la sua religione. La risposta di Marino fu: «Sono cristiano». Allora, il giudice gli concesse tre ore di tempo per riflettere. Uscito dal tribunale, Marino incontrò il vescovo Teotecno, che, dopo essersi intrattenuto con lui, lo guidò per mano verso la Chiesa. Entrativi, il vescovo lo condusse ai piedi dell’altare. Sollevandogli il mantello gli indicò la spada appesa al fianco e mostrandogli poi il Vangelo gli disse di scegliere. Marino non ebbe alcuna esitazione e scelse il libro della Sacra Scrittura. Marino ritornò in tribunale e proclamò nuovamente la sua fede. Fu subito condannato alla pena capitale e la sentenza fu eseguita immediatamente. Al martirio del giovane ufficiale era presente il senatore romano Asterio, che volle imitare nel coraggio, decise di avvolgere il corpo di Marino nel proprio mantello e caricandosi sulle spalle il corpo del martire per dargli degna sepoltura. Asterio per quest’atto di rispetto, fu anch’egli martirizzato. Marino e Asterio morirono a Cesarea Marittima (oggi in Israele) nel 262.
3 marzo: santa Cunegonda, nacque nel castello di Gleiberg presso Gießen (Lussemburgo) nel 978 circa, era figlia del conte di Lussemburgo Sigfrido e di Edvige di Nordgau, diretta discendente di Carlo Magno. Nel 998 sposò Enrico IV, duca di Baviera, che il 14 febbraio 1014 divenne imperatore del sacro Romano Impero con il di Enrico II. D’accordo col marito Cunegonda fece voto di castità. Enrico, dopo aver constatato la sterilità della moglie, non volle ripudiarla, come gli consentiva il diritto matrimoniale germanico, e per il grande amore che aveva per essa e per la comunanza di ideali di vita religiosa che li univa, preferì rinunciare ad avere degli eredi al trono pur di continuare a vivere insieme a lei. Ma le malelingue la accusarono di infedeltà cosicché, a prova della sua innocenza, Cunegonda si sottopose all’ordalia del fuoco, che era un’antica pratica giuridica, secondo la quale l’innocenza o la colpevolezza dell’accusato venivano determinate sottoponendolo ad una prova dolorosa o a un duello. Secondo un cronista del tempo Cunegonda era sterile così la coppia imperiale, unita da una profonda fede, si dedicò alla costruzione di una serie di monasteri e del duomo di Bamberga intitolato ai Santi Pietro e Giorgio e un’abbazia benedettina dedicata a san Michele, che poi furono consacrate da Benedetto VIII in persona. Cunegonda con la sua dote costruì poi un secondo monastero dedicato a santo Stefano ed un terzo nel 1021 a Kaufungen, vicino Kassel, per religiose, dedicato alla Santa Croce, per adempiere ad un voto fatto durante una grave malattia da cui era guarita. Dopo la morte del marito, avvenuta il 13 luglio 1024, per quasi due mesi, governò come imperatrice il Sacro Romano Impero, finché il 4 settembre non si insediò il nuovo imperatore Corrado II il Salico. Un anno dopo la morte dell’amato consorte, Cunegonda decise di vestire l’abito monacale ed entrò nel monastero benedettino di Kaufungen da lei stessa fondato. Da quel momento, per quindici anni, si dedicò ad una vita di ascesi, di digiuni e di penitenze, dedicandosi anche a umili lavori manuali e assistendo le consorelle ammalate. Avvicinandosi il momento della sua morte, venne a sapere che le sue consorelle stavano preparando per lei dei sontuosi abiti funebri, ella vietò assolutamente che fossero utilizzati e volle essere seppellita con il suo saio di lana grezza. Morì a Kaufungen (Germania) 3 marzo 1039 e fu sepolta nella cattedrale di Bamberga, accanto al suo amato sposo.
3 marzo: beato Innocenzo da Berzo (al secolo Giovanni Scalvinoni), nacque a Niardo in Valcamonica (Brescia) il 19 marzo 1844, da un umile famiglia, composta dalla madre e dal padre che morì poco dopo la sua nascita. Studiò, fino al 1861, con ottimi risultati, nel collegio municipale di Lovere (Bergamo), dopodiché passò al seminario di Brescia dove, il 2 giugno 1867, ricevette l’ordinazione sacerdotale. Il suo primo incarico, come vicario, fu a Cevo, in Val Saviore, dove rimase per soli due anni prima di essere nominato vice-rettore proprio del seminario in cui aveva studiato, quello di Brescia, ma venne rimosso dall’ufficio quasi subito perché assolutamente privo di autorità. Allora va a Berzo come vice-parroco, dove insegnò come professore. La sua sete d’interiorità lo portava a desiderare di vivere in solitudine, tra preghiere e penitenze, e a guardare dall’altra parte della valle, dove svettava il campanile del convento cappuccino dell’Annunziata. Il 16 aprile 1874 Giovanni, con il consenso del suo vescovo, bussa al convento dell’Annunziata di Borno e inizia l’anno di noviziato tra i cappuccini con il nome di fra Innocenzo da Berzo. Quattro anni più tardi, il 2 maggio 1878, pronunciò la professione solenne e di nuovo venne mandato all’Annunziata, dove rimase 14 anni, stavolta come vice-maestro dei novizi del convento. I superiori nell’autunno del 1889 gli affidarono la predicazione degli esercizi spirituali nei principali conventi della Provincia: a Milano, ad Albino, a Bergamo, a Brescia. Ammalatosi gravemente ad Albino, fu trasferito nell’infermeria del convento di Bergamo, dove morì il 3 marzo 1890, a 46 anni.