Oggi 11 novembre: san Martino di Tours, nacque a Sabaria Sicca (odierna Szombathely, in Ungheria), suo padre, che era un importante ufficiale dell’esercito Romano, gli diede il nome di Martino in onore di Marte, il dio della guerra. Con la famiglia si spostò a Pavia, e, a 15 anni, in quanto figlio di un ufficiale, dovette entrare anch’egli nell’esercito. Nel 331 un editto imperiale obbligò tutti i figli di veterani ad arruolarsi nell’esercito romano. Fu reclutato e inviato in Gallia, presso la città di Amiens, nei pressi del confine, e lì passò la maggior parte della sua vita da soldato. Quando ancora era soldato, ebbe la visione che diverrà l’episodio più conosciuto della sua vita. Si trovava alle porte della città di Amiens, con i suoi soldati quando incontrò un mendicante seminudo. D’impulso tagliò in due il suo mantello militare e lo condivise con il mendicante. Quella stessa notte sognò che Gesù si recava da lui e gli restituiva la metà di mantello che aveva condiviso. Sentì Gesù dire ai suoi angeli: «Ecco qui Martino, il soldato romano che non è battezzato, egli mi ha vestito». Quando Martino si risvegliò il suo mantello era integro. Il sogno ebbe un tale impatto su Martino, che egli, già catecumeno, venne battezzato la Pasqua seguente e divenne cristiano, all’età di 22 anni, nel 339. Martino rimase ufficiale dell’esercito per una ventina d’anni raggiungendo il grado di ufficiale nelle alae scolares (un corpo scelto). Giunto all’età di circa 40 anni, decise di lasciare l’esercito, e si recò a Poitiers, dove sant’Ilario gli conferì l’esorcistato (chi riceveva questo ordine minore era incaricato di recitare particolari preghiere sui catecumeni prima del loro battesimo). Avendo saputo poi che Ilario era stato mandato in esilio, prese dimora in solitudine, vicino a Milano, finché non ne fu scacciato dal vescovo ariano Ausenzio. Nel 357 si recò quindi nell’Isola Gallinara ad Albenga in provincia di Savona, dove condusse quattro anni di vita eremitica. Quando ebbe notizia del ritorno di sant’Ilario a Poitiers, si recò da lui e, con la sua benedizione, fondò a Ligugé, nei pressi di Tours, nel 361 circa, il primo monastero maschile della Gallia: i monaci abitavano ognuno in celle separate o capanne, e si riunivano solo per la preghiera. Martino era il superiore, ma dirigeva tutti più con l’esempio che col comando. Martino si adoperò per la conversione della popolazione: si recò molte volte a predicare nella Francia centrale ed occidentale. Questa sua opera lo rese molto popolare, e nel 371 fu eletto vescovo di Tours, anche se alcuni chierici avanzarono resistenze per il suo aspetto trasandato e le origini plebee. Come vescovo, Martino continuò ad abitare nella sua semplice casa di monaco. Uomo di preghiera e di azione, Martino percorreva personalmente i distretti abitati dai servi agricoltori, dedicando particolare attenzione all’evangelizzazione delle campagne. Nel 375 fondò a Tours un monastero, a poca distanza dalle mura, che divenne, per qualche tempo, la sua residenza. I monaci osservavano un regime simile a quello di Ligugé, ma con una maggior vita comune; tutti i monaci seguivano la stessa Regola, se pure si può parlare di una Regola. Al di là della sua opera di organizzatore di monasteri, Martino fu un conquistatore di anime. Molti suoi discepoli furono eletti vescovi, e furono i suoi discepoli che portarono il Vangelo nelle zone ancora pagane della Gallia. Martino morì l’8 novembre 397 a Candes-Saint-Martin, dove si era recato per mettere pace tra il clero locale; patrono dell’Arma di Fanteria dell’Esercito Italiano e della Guardia svizzera pontificia.
11 novembre: san Bartolomeo di Rossano, nacque a Rossano Calabro (Cosenza) nel 980 circa, da una nobile famiglia originaria di Costantinopoli. Fu battezzato con il nome di Basilio e all’età di 7 anni, fu affidato per la sua istruzione ai monaci bizantini del monastero di San Giovanni Calibyta in Caloveto (Cosenza). Dopo un breve soggiorno a Roma, si reca, a 12 anni, nel Monastero di San Michele di Vallelucio presso Montecassino, attratto dalla figura carismatica del suo concittadino san Nilo il Giovane, che aveva fondato quel Cenobio, seguendolo poi, nel 994, a Serpieri (Gaeta), Nei successivi dieci anni segue il suo maestro, nei Monasteri di “Serperi” (Gaeta) dove mutò il nome di Basilio in quello monastico di Bartolomeo, di Roma, di “Sant’Agata” a Tuscolo. Raccoglie l’eredità spirituale, di san Nilo, ne diventa il principale discepolo e continuatore, perfezionando ulteriormente la sua formazione religiosa e culturale. Asceta cenobita, animato da un’alta tensione spirituale e caritatevole, vive il messaggio evangelico nella prossimità e al servizio dei poveri, degli ultimi. Nello stesso tempo, intrattiene rapporti autonomi e fermi con i potenti di quell’epoca travagliata di passaggio dall’Alto al Basso Medio Evo: gli Abati di Montecassino, i duchi e i conti di Capua, Gaeta, Tuscolo, il principe di Salerno, l’imperatore del Sacro Romano Impero, Ottone III di Sassonia, i papi Gregorio V, Benedetto VIII, Giovanni XIX, Benedetto IX e Giovanni XVI Filagato, quest’ultimo anch’egli di Rossano. Fonda, nel 1004, insieme a san Nilo, sua guida morale-spirituale (deceduto nello stesso anno), un Monastero con attigua chiesa, battezzato “Santa Maria di Grottaferrata”, che completa in vent’anni nel 1024; lo organizza con il Tipico, cioè la “Regola” originaria dell’Abbazia di Grottaferrata, la più antica tra quelle italo-bizantine, che codifica le norme ascetiche di san Nilo, sarà il modello di riferimento di altri Cenobi e assicura al Monastero vitalità, longevità e un ruolo insostituibile quale luogo ecumenico di incontro, confronto, sintesi tra i due cristianesimi del Mediterraneo, quello greco-ortodosso orientale e quello latino-cattolico occidentale. Pur rifiutando il titolo di Egumeno o Abate (come già fece anche san Nilo), dirige di fatto, per oltre 40 anni, il suo monastero, che diventa famoso e attrattore di una nutrita schiera di giovani monaci. Fa del monastero una comunità o fraternità tra le più qualificate d’Europa: impegnata nella promozione umana (mediante lo Scriptorium, la Biblioteca, la Scuola), nella missionaria ri-evangelizzazione, nella creazione di un’efficiente azienda agricola, che richiama le disorientate popolazioni del territorio, salvandole dalle carestie e assicurando loro aggregazione sociale e difesa dei loro elementari diritti. È amatissimo dalla gente tanto da essere considerato operatore di miracoli e Santo. È co-protagonista di quella grande stagione della “Riforma” della Chiesa cattolica che porterà al pontificato rinnovatore di Gregorio VII, partecipando ad alcuni Sinodi romani ed esercitando un decisiva influenza sui pontefici Benedetto VIII, Giovanni XIX, Benedetto IX. Su quest’ultimo svolge una tale azione magistrale di orientamento e di guida da persuaderlo a cambiare radicalmente vita, a rinunciare al papato a farsi monaco e suo discepolo a Grottaferrata. Morì circa nell’anno 1055.
11 novembre: san Giovanni Elemosiniere, nacque Amatunte (Cipro) nel 556, da una famiglia ricca e nobile, il padre Epifanio era governatore di Cipro, la madre Monesta era cristiana. Sin dall’infanzia si manifestano nel piccolo Giovanni la propensione per lo studio e i segni della santità e della pratiche di carità verso i poveri e i diseredati. Ubbidendo alle volontà dei suoi genitori, si sposò ed ebbe due figli, ma sia la moglie che i figli morirono prematuramente. Libero da ogni legame terreno, Giovanni, si dedicò interamente ai poveri. Quando la chiesa d’Alessandria d’Egitto restò senza pastore, in seguito alla morte del patriarca Teodoro Scribano, attorno al 608, i cittadini e il clero della città desiderarono averlo come patriarca, inviarono allora un’ambasceria a Costantinopoli dall’imperatore Foca, per chiedergli di mandare Giovanni ad Alessandria. L’imperatore lo convocò a corte, e nonostante i suoi rifiuti lo convinse ad andare ad Alessandria. Fu dedito alla carità promuovendo la costruzione di ospizi per i poveri, ospedali, orfanotrofi, chiese e scuole, a Cipro ed in Egitto. Condusse una vita austera ed ascetica, ispirandosi ai Padri del deserto. Secondo il mito cristiano cattolico, aiutò un mercante che aveva perso tutti i suoi beni in un naufragio dandogli per ben due volte delle grosse somme per poter riprendere il suo commercio, ma tutto andava sempre in fumo, finché Giovanni gli raccomandò di non mischiare i soldi avuti in elemosina dalla chiesa, con quelli che lui si era procurato con commerci disonesti, altrimenti avrebbe sempre perso tutto. Gli fece dare una nave carica di grano, il mercante salpò e fu condotto da un vento favorevole fino in Inghilterra, dove c’era una grande carestia di grano, lì poté vendere il grano venendo pagato per metà in argento e per metà con stagno. Miracolosamente durante il viaggio di ritorno tutto lo stagno si tramutò in argento, a conferma che il commercio onesto era benedetto da Dio. Nel 614 lo scià di Persia Cosroe II, in guerra con Eraclio, occupò la Palestina e Gerusalemme, saccheggiò la Città Santa trafugando e portando in Persia le reliquie della Vera Croce, la lancia e la spugna, dando alle fiamme il Santo Sepolcro e le chiese di Costantino e Elena. Giovanni si preoccupò di dare aiuti materiali a tutti i rifugiati in fuga dalla Terrasanta. Giovanni ebbe allora anche una visione che gli mostrava anche Alessandria conquistata dai Persiani, cosa che poi avvenne realmente nel 620. Nel 619 l’imperatore Eraclio, che stava subendo continue sconfitte dai Persiani, inviò ad Alessandria il cugino Niceta per raccogliere fondi per continuare la guerra. Niceta conoscendo bene la santità di Giovanni, lo supplicò di accompagnarlo fino a Costantinopoli per dare una benedizione all’imperatore e al suo esercito. Il santo accettò e s’imbarcarono assieme per Costantinopoli, ma sorpresi da una tempesta si rifugiarono nell’isola di Rodi, là Giovanni svegliandosi di notte ebbe la rivelazione della sua prossima morte da un personaggio venerabile che gli apparve con uno scettro in mano e gli disse: «Vieni il Re dei re ti chiama.» Il mattino dopo informò Niceta dell’apparizione, e questi, comprendendo che la morte del santo era vicina, interruppe il viaggio e lo portò nella sua città natale a Cipro. Sbarcato ad Amatunte Giovanni scrisse subito il suo testamento spirituale. Poco dopo morì dolcemente, intorno al 617, a 60 anni.
11 novembre: san Teodoro Studita, nacque nel 759 a Costantinopoli, in una famiglia nobile e pia: la madre, Teoctista, e uno zio, Platone, abate del monastero di Sakkudion in Bitinia, sono venerati come santi. Fu proprio lo zio ad orientarlo verso la vita monastica, che egli abbracciò all’età di 22 anni. Fu ordinato sacerdote dal patriarca Tarasio. Quando l’imperatore Costantino VI ripudiò la legittima moglie Maria per sposare Teodora, con l’approvazione del patriarca Tarasio, Platone e Teodoro si distaccarono dall’obbedienza al patriarca e non vollero riconoscere tali nozze. La conseguenza fu l’esilio di Teodoro, nel 796, a Tessalonica. La riconciliazione con l’autorità imperiale avvenne l’anno successivo sotto l’imperatrice Irene, la cui benevolenza indusse Teodoro e Platone a trasferirsi nel monastero urbano di Studios, insieme alla gran parte della comunità dei monaci di Sakkudion, per evitare le incursioni dei saraceni. Ebbe così inizio l’importante “riforma studita”. La vicenda personale di Teodoro, tuttavia, continuò ad essere movimentata. Con la sua solita energia, divenne il capo della resistenza contro l’iconoclasmo di Leone V l’Armeno, che si oppose di nuovo all’esistenza di immagini e icone nella Chiesa. La processione di icone organizzata dai monaci di Studios scatenò la reazione della polizia. Tra l’815 e l’821, Teodoro fu flagellato, incarcerato ed esiliato in diversi luoghi dell’Asia Minore. Liberato nell’821 dall’Imperatore Michele II, promosse nell’824 un’insurrezione contro lo stesso a giudicato dal santo troppo indulgente nei confronti degli iconoclasti. Quando i suoi piani fallirono, Teodoro ritenne opportuno allontanarsi da Costantinopoli. Da allora visse peregrinando per vari monasteri in Bitinia. Alla fine poté tornare a Costantinopoli, ma non nel proprio monastero. Egli allora si stabilì con i suoi monaci dall’altra parte del Bosforo. Morì, a quanto pare, sull’isola di Prinkipo, l’11 novembre 826.
11 novembre, beato Eugenio Bossilkov, nacque a Belene (Bulgaria) il 16 novembre del 1900, lo stesso giorno viene battezzato con il nome di Vincenzo. Nel 1911 entra nel seminario dei Missionari Passionisti ad Oresh; dopo due anni passa in quello di Russe. Nel 1914 viene inviato per studiare in Belgio. Il 28 aprile 1919 entra nel noviziato passionista, di Ere (Belgio), dove professa nella Congregazione della Passione di Gesù Cristo (passionisti) il 29 aprile 1920, prendendo il nome di fratel Eugenio. Viene ordinato sacerdote il 25 luglio 1926. Dopo ulteriori studi a Roma ritornò in Bulgaria il 15 luglio 1929 per preparare il suo dottorato mentre contemporaneamente svolse la sua attività di parroco fino al 1934. Il 2 gennaio 1932, conseguì il dottorato in teologia a Roma presso il Pontificio Istituto Orientale. Al rientro in Bulgaria, il suo vescovo lo volle suo segretario, ma lui non amava fare l’impiegato, così nel 1932, su sua richiesta fu mandato parroco a Bardarski-Gheran, un grosso paese della pianura danubiana. Per prima cosa, ultimò la costruzione della chiesa e fece erigere una casa canonica come centro di un intenso apostolato con incontri di preghiera, istruzione religiosa e iniziative pastorali. Con molta semplicità sapeva avvicinare tutti, ragazzi, giovani e adulti, discutendo con loro, organizzando escursioni pur di avvicinarli a Gesù Cristo. Nel 1940, con la guerra, la situazione diventò difficilissima. Eugenio, con l’occupazione dei tedeschi, rimase al suo posto, aiutando tutti e salvando la vita a migliaia di ebrei perseguitati. Il 9 settembre 1944, l’Unione Sovietica invase la Bulgaria con la violenza propria del regime comunista stanilista, iniziando subito una violenta persecuzione ai credenti, in primo luogo alla Chiesa cattolica, con decine di migliaia di uccisi. In questo clima pauroso, Eugenio il 6 agosto 1945, a 45 anni, fu consacrato vescovo di Nicopoli, nella sua posizione di primo piano, rischiava di finire sul patibolo e lo sapeva. Il vescovo rimase in prima linea tra i suoi preti e il suo popolo. Nel 1948 si recò a Roma ove fu ricevuto in udienza dal papa Pio XII. Fu consigliato a non rientrare in Bulgaria essendo la sua libertà e perfino la sua vita in pericolo. Dopo profonde riflessioni e preghiere, egli decise di tornare nella sua patria. In Bulgaria riprese la sua attività consapevole di finire presto “in gabbia”. Rifiutò il giuramento al regime comunista e per questo il 16 luglio 1952, Eugenio fu arrestato con una quarantina di sacerdoti, alcune suore e un gruppo di fedeli. Il processo che ne seguì fu una vera farsa. Egli fu accusato di essere una spia del Vaticano e dell’America e alla fine fu condannato a morte. Fu fucilato l’11 novembre 1952, in odio alla Fede, in odio a Cristo.