a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 13 aprile si celebra san Martino I, 74º vescovo di Roma e Papa della Chiesa cattolica; nacque a Todi in data imprecisata. Già apocrisiarius papale (nunzio apostolico) a Costantinopoli durante il pontificato di papa Teodoro I che lo aveva tenuto in grande considerazione per saggezza e virtù, fu consacrato papa il 5 luglio 649, un paio di mesi dopo la morte del predecessore, senza aspettare il benestare imperiale. Una tale irregolarità rendeva illegale l’elezione, ma il clero e il popolo di Roma, che già da qualche tempo mostravano segni di insofferenza nei confronti dell’autorità bizantina, agirono in aperta sfida all’imperatore Costante II. Uno dei primi atti ufficiali di Martino fu la convocazione del primo Concilio Lateranense, per contrastare l’eresia monotelita sostenuta dall’imperatore. I vescovi condannarono sia l’Ekthesis, il documento promulgato nel 638 con il quale si approvava il Monotelismo e, il Typos, l’editto dello stesso Costante II che proibiva in tutto l’impero, la discussione su questioni riguardanti l’interpretazione di definizioni controverse. I risultati del sinodo, soprattutto il ripudio dell’Ekthesis e del Typos, ma anche la scomunica dei patriarchi costantinopolitani inasprirono, il contrasto fra Roma e Costantinopoli. Costantinopoli aveva visto la prima insubordinazione di Martino nella sua consacrazione a vescovo di Roma, poiché era avvenuta senza attendere l’approvazione dell’imperatore. Ancor prima della conclusione del sinodo lateranense, Olimpio, da poco nominato esarca d’Italia, era stato raggiunto dalla disposizione imperiale di arrestare Martino; l’ordine tuttavia non fu eseguito. Infatti Olimpio approfittò del clima d’incertezza e si dichiarò sovrano d’Italia e restò al potere fino al 652. Durante questo periodo Martino rimase nella sede episcopale di Roma senza incontrare opposizione, circostanza decisiva che darà all’imperatore l’opportunità di muovere un’accusa di alto tradimento contro Martino. Dopo la morte di Olimpio, Teodoro Calliopa divenne nuovo esarca d’Italia e procedette senza indugio contro Martino, considerato colpevole di alto tradimento sulla base di un’accusa di complicità con Olimpio. Quando Teodoro, il 15 giugno 653, giunse in prossimità di Roma, Martino abbandonò la residenza vescovile e, già allora infermo, si ritirò insieme col suo clero nella vicina basilica lateranense, dichiarò di volerlo incontrare per rendergli omaggio e portargli il pegno di una rinnovata amicizia da parte dell’imperatore, ma temeva che il palazzo potesse essere difeso dalla milizia che avrebbe potuto rappresentare un pericolo per la sua persona. Con ingenuità Martino gli concesse la perquisizione del Laterano, dopodiché le truppe di Teodoro circondarono il palazzo, l’esarca entrò e arrestò il papa, con l’accusa di aver usurpato il seggio pontificio senza l’autorizzazione dell’imperatore. Martino fu deposto e nella notte tra il 18 e il 19 giugno, venne condotto in barca a Porto. Salpò verso Costantinopoli, dove arrivò il 17 settembre, dopo un viaggio reso ancora più straziante dalla malattia (gotta e dissenteria) e dalla proibizione di scendere a terra nei porti in cui si faceva sosta. Il 20 dicembre 653 fu sottoposto a processo, dopo tre mesi di detenzione in carcere. Martino si trovò a dover affrontare l’accusa incentrata sull’alto tradimento contro lo Stato e si evitò di far riferimento a problemi teologici e a posizioni di fede. Il processo durò un solo giorno; il pontefice fu condannato a morte, privato degli abiti pontificali che ancora indossava, incatenato e trascinato seminudo per le strade di Costantinopoli fino al carcere. Il patriarca Paolo II, anche lui malato e sul letto di morte, intercedette per Martino presso l’imperatore, il quale mutò la condanna a morte in esilio. Dopo aver sofferto una prigionia devastante, venne esiliato a Cherson in Crimea. Morì il 16 settembre 655.
13 aprile: sant’Ermenegildo re, nacque a Toledo o Medina del Campo (Spagna) nel 564 circa, Ermenegildo era il figlio primogenito del re dei visigoti Leovigildo e della sua prima consorte, Teodosia. Nel 573, il padre, alla morte del re dei Visigoti, suo fratello Liuva I, succedendogli sul trono nominò i propri figli, Ermenegildo e Recaredo duchi di Toledo e Narbona, facendoli così partecipi del governo del regno perché controllassero le province del regno mentre lui era impegnato nella guerra contro i distretti bizantini del nord al confine col regno degli Svevi. Nel 579 Ermenegildo sposò la principessa Ingunda, figlia del re dei Franchi dell’Austrasia, Sigeberto I e di Brunechilde, la figlia del re dei visigoti Atanagildo. Dato che la madre Brunechilde, al momento delle nozze aveva abbracciato il cattolicesimo, anche la figlia Ingunda era una fervente cattolica mentre Ermenegildo era stato educato nel credo ariano. Dopo il suo arrivo alla corte di Toledo, molti furono i tentativi di convertire Ingunda ai precetti di Ario, soprattutto da parte dellasua suocera Goisvinta, fervente ariana, dopo la dolcezza usò le minacce e poi la violenza, senza tuttavia riuscire a fare abbandonare a Ingunda la propria fede. Questa situazione portò Ingunda a lamentarsi sia coi cattolici di Spagna e di Settimania sia coi Franchi e la sua famiglia di origine. Leovigildo per evitare che le cose peggiorassero, per allontanare Ingunda da Gosvinda nominò, nel 579, Ermenegildo governatore di una provincia di frontiera, la Betica. Dopo il trasferimento a Siviglia, fu Ermenegildo a trovarsi in un ambiente cattolico e sotto l’influenza di Ingunda e quella di san Leandro, che Ermenegildo aveva conosciuto dopo essere stato nominato governatore della Betica, fu proprio Ermenegildo ad essere convertito al credo niceano. La notizia creò fermento nella Betica, diverse città si ribellarono e proclamarono re Ermenegildo, che accettò. Una volta venuto a conoscenza di quello che era successo, preoccupato sia per gli effetti politici che tale conversione poteva comportare, il padre cercò attraverso lusinghe e minacce di far tornare il figlio alla fede ariana, ma senza alcun esito. Nel 581 Leovigildo organizzò un potente esercito per poter effettuare una energica azione contro il figlio ribelle. Quando fu prontò si mise in marcia e conquistò Caceres e Merida, costringendo le truppe di Ermenegildo al Guadalquivir in difesa di Siviglia. Prima di attaccare questa città, Leovigildo nel 583 corruppe, con 30.000 soldi d’oro, le truppe bizantine, che avrebbero dovuto appoggiare Ermenegildo che subì una pesante sconfitta davanti a Siviglia, che fu messa sotto assedio. Ermenegildo, che aveva lasciato Siviglia per cercare aiuto inutilmente dai Bizantini, nel 584, si rifugiò in un santuario, a Cordoba. Leovigildo, non volendo violare la sacralità dell’edificio, inviò il fratello di Ermenegildo, Recaredo, ad offrire la pace, che fu accettata. Solo allora la città di Siviglia, dopo quasi due anni di assedio, si arrese. Ermenigildo fu arrestato e dopo essersi prostrato ai piedi del padre, fu esiliato a Valencia. Poco dopo, per una ragione rimasta ignota, fu trasferito a Tarragona, affidato al duca Sigeberto, che avrebbe dovuto sorvegliarlo attentamente per impedirgli la fuga. Durante la sua prigionia Ermenegildo si sottopose a flagellazioni e mortificazioni, pregando Dio di liberarlo dai propri patimenti. Durante la Pasqua del 585 fu inviato presso di lui un vescovo ariano, nel vano tentativo di barattare la sua conversione con la salvezza della sua vita; al suo rifiuto, il duca Sigeberto, di una sua iniziativa, fece uccidere Ermenegildo; infatti il fratello di Ermenegildo, Recaredo, appena salito al potere lo fece giustiziare. Altre fonti invece accusano Leovigildo che ordinò l’esecuzione del figlio, che fu decapitato il 13 aprile 585; patrono di Siviglia.
13 aprile: beata Margherita di Città di Castello, nacque a Metola (Perugia) nel 1287, da nobili genitori. Alla nascita tra lo stupore di tutti, la bambina evidenziò subito malformazioni fisiche, zoppa e gibbosa, e in seguito, rivelò di non possedere nemmeno il dono della vista. Ai genitori, anche se nobili e ricchi, parve un peso troppo grave e umiliante questa figlioletta priva della vista e d’ogni bellezza, e cosi all’età di 6 o 7 anni i suoi genitori la portarono sulla tomba di un venerato padre francescano, il Beato Giacomo di Città di Castello, sperando in un miracolo ma, una volta visto che l’agognata guarigione non avveniva, l’abbandonarono. Rinchiusa in una cappella tra i boschi per 9 anni, affidata alle cure spirituali e culturali del cappellano che trascorreva gran parte della giornata con lei, soddisfacendo la vivace curiosità della bambina ed introducendola nella conoscenza dei testi sacri e del latino. Margherita non pianse, non si disperò, e con un atto eroico di completa fiducia in Dio, lo invocò, quale Padre degli orfani. Fu questo il principio di mirabili ascensioni che a poco a poco fecero risplendere intorno alla povera abbandonata, un’aureola di santità. Alcune donne del luogo la trovarono e se ne presero cura fino a quando fu adottata da due sposi, donna Grigia e Venturino, che abitavano in una bella casa in pietra nella stessa piazzetta del convento, e da loro educata con amore. Margherita fu cresciuta come una loro figlia, senza discriminazioni per le sue inabilità fisiche. Donna Grigia la inserì nel contesto delle laiche domenicane e la portò con sé quando si dedicava ai poveri e ai carcerati. Le monache di un convento locale le offrirono poi ospitalità e a Margherita, la quale sembra avesse già pensato di diventare suora, piacque l’idea di una vita religiosa. Il legame tuttavia durò poco perché le suore, che conducevano una vita rilassata, rimasero infastidite dalla devozione e il rigore di Margherita non fu accettato e dopo un periodo contrassegnato da crescente durezza e qualche molestia nei suoi confronti, l’allontanarono dal convento. Margherita tornò dai suoi genitori adottivi e, a 15 anni, indossò allora l’abito del Terz’Ordine Domenicano a Città di Castello. Da allora in poi la sua vita fu dedicata totalmente a Dio: si occupava della cura e dell’educazione dei bambini del luogo, insegnando i salmi, che aveva imparato a memoria, e provando ad istillare in loro la sua devozione al Bambino Gesù. Morì il 13 aprile 1320.