Oggi 27 giugno si celebra san Cirillo d’Alessandria, nacque probabilmente nella stessa metropoli egiziana, venne presto avviato alla vita ecclesiastica e ricevette una buona educazione, sia culturale che teologica; ancora giovane Cirillo fu eletto vescovo della Chiesa di Alessandria, che governò con grande energia per trentadue anni, mirando sempre ad affermarne il primato in tutto l’Oriente, forte anche dei tradizionali legami con Roma, come teologo, fu coinvolto nelle dispute cristologiche che infiammarono la sua epoca. Si oppose a Nestorio durante il concilio di Efeso del 431, in tale ambito, per contrastare Nestorio (che negava la maternità divina di Maria), sviluppò una teoria dell’Incarnazione che gli valse il titolo di doctor Incarnationis e che è considerata ancora valida dai teologi cristiani contemporanei; Cirillo, teologo acuto e polemista indomito, fu anche uomo di pace e vescovo che cercò di ricucire e non solo dividere. Usò infatti gran parte della sua intelligenza nello sminuzzare a uso dei semplici fedeli i concetti, non sempre accessibili, della dottrina cristiana. I meriti del battagliero vescovo stanno comunque nella sua tenace fermezza posta alla difesa dell’ortodossia e nella santità di vita. Tali meriti, almeno in occidente, gli vennero però riconosciuti piuttosto tardi. Il suo culto venne infatti esteso a tutta la chiesa latina soltanto sotto il pontificato di Leone XIII e in tale data gli venne anche conferito il meritato titolo di dottore della chiesa.
27 giugno: sant’Arialdo da Cucciago, originario della Brianza, probabilmente di Cucciago, studiò a Laon e a Parigi, venne ordinato diacono per l’arcidiocesi di Milano; Arialdo cominciò a predicare contro i mali della Chiesa, che identificava nella simonia (compravendita di cariche ecclesiastiche) e nel nicolaismo (matrimonio dei preti), la sua predicazione verteva sul tema della luce che doveva essere portata al popolo dai preti. Secondo Arialdo, il clero avrebbe dovuto lasciarsi illuminare dalla Sacra Scrittura, mentre i laici venivano illuminati dalla vita dei maestri, l’esempio dei preti stessi, che avrebbero dovuto essere perfetti imitatori di Gesù Cristo; a partire dal 1057 fu a capo del movimento popolare poi chiamato Patarìa, caratterizzato dall’esigenza di una spinta moralizzatrice all’interno del clero; contro i capi patarini si levò l’arcivescovo Guido da Velate, il quale tentò invano di convincere gli agitatori a desistere dal fomentare discordie cittadine e dall’incitare i laici contro il clero, allora il clero ambrosiano si rivolse direttamente al nuovo papa Stefano IX, il pontefice ordinò all’arcivescovo di Milano di convocare un sinodo provinciale per porre fine all’agitazione religiosa, ma essi rifiutarono di presentarsi, allora dopo tre giorni di lavori il sinodo proclamò l’anatema contro ribelli, gli agitatori patarini, chiamati a discolparsi, dichiararono falsi vescovi, perché eletti e consacrati simoniacamente, coloro che li avevano giudicati. Arialdo fu catturato dagli uomini dell’arcivescovo Guido da Velate e portato nel castello di Angera per essere interrogato, qui fu castrato, amputato della mano destra, torturato a morte e gettato nelle acque del Lago Maggiore.