Oggi 4 giugno la chiesa celebra la Pentecoste, in origine era la festa ebraica che segnava l’inizio della mietitura e si celebrava 50 giorni dopo la Pasqua ebraica. È chiamata anche “festa delle Settimane”, per la sua ricorrenza di sette settimane dopo la Pasqua; nel greco “Pentecoste” significa 50 giorno. Lo scopo originario di questa ricorrenza era il ringraziamento a Dio per i frutti della terra, cui si aggiunse più tardi, il ricordo del più grande dono fatto da Dio al popolo ebraico, cioè la promulgazione della Legge mosaica sul Monte Sinai. Secondo il rituale ebraico, la festa comportava il pellegrinaggio di tutti gli uomini a Gerusalemme, l’astensione totale da qualsiasi lavoro, un’adunanza sacra e particolari sacrifici; ed era una delle tre feste di pellegrinaggio (Pasqua, Capanne, Pentecoste), che ogni devoto ebreo era invitato a celebrare a Gerusalemme. Al capitolo 2 degli Atti degli Apostoli, gli apostoli insieme a Maria, la madre di Gesù, erano riuniti a Gerusalemme nel Cenacolo, dove presero poi a radunarsi abitualmente quando erano in città; e come da tradizione, erano affluiti a Gerusalemme gli ebrei in gran numero, per festeggiare la Pentecoste con il prescritto pellegrinaggio. «Mentre stava per compiersi il giorno di Pentecoste», si legge, «si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue di fuoco, che si dividevano e si posarono su ciascuna di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo». È la terza persona della Santissima Trinità, principio di santificazione dei fedeli, di unificazione della Chiesa, di ispirazione negli autori della Sacra Scrittura. È colui che assiste il magistero della Chiesa e tutti i fedeli nella conoscenza della verità. L’Antico Testamento, non contiene una vera e propria indicazione sullo Spirito Santo come persona divina. Nel Nuovo Testamento, lo Spirito appare talora ancora come forza impersonale carismatica. Insieme però, avviene la rivelazione della “personalità” e della “divinità” dello Spirito Santo, specialmente nel Vangelo di san Giovanni, dove Gesù afferma di pregare il Padre perché mandi il Paraclito, che rimanga sempre con i suoi discepoli e li ammaestri nella verità (Gv 14-16). Ma nello stesso tempo, conferisce carismi e ministeri diversi, l’unico Spirito, costruisce la Chiesa con l’apporto di una molteplicità di doni. L’insegnamento tradizionale, seguendo un testo di Isaia, ne elenca sette: sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà e timor di Dio. Essi sono donati inizialmente con la grazia del Battesimo e confermati dal sacramento della Cresima. Nel Nuovo Testamento, lo Spirito divino è indicato, come lingue di fuoco nella Pentecoste e come soffio nel Vangelo di Giovanni (20,22) A quanto sembra, fu Tertulliano, apologista cristiano, il primo a parlarne come di una festa particolare in onore dello Spirito Santo. Alla fine del IV secolo, la Pentecoste era una festa solenne, durante la quale era conferito il Battesimo a chi non aveva potuto riceverlo durante la Veglia pasquale.
4 giugno: san Francesco Caracciolo (al secolo Ascanio Caracciolo), nacque a Villa Santa Maria (Chieti) 13 ottobre 1563, da una nobile famiglia. Ricevette un’educazione consona al suo rango nobiliare. Fin dall’infanzia e da adolescente egli mostrò una particolare inclinazione verso le pratiche di pietà, sentendosi attratto in particolare dall’Eucarestia ed essendo devotissimo della Madonna, che onorava indossando l’abitino del Carmine. A 22 anni venne colpito da una malattia (forse l’elefantiasi) che ne sfigurò il volto: promise di abbracciare lo stato ecclesiastico in caso di guarigione. Il suo voto fu esaudito e Ascanio, dopo aver distribuito ai poveri i suoi beni personali, si recò a Napoli dove iniziò gli studi teologici con particolare predilezione per le opere di san Tommaso d’Aquino, e dedicandosi alla preghiera e alla penitenza. Ordinato sacerdote nel 1587, si dedicò specialmente alla cura dei poveri e degli infermi e cominciò il suo apostolato iscrivendosi alla Compagnia dei Bianchi della Giustizia, una confraternita il cui scopo era l’assistenza dei condannati a morte. Poiché nella compagnia dei Bianchi operava anche un suo omonimo, gli fu recapitata erroneamente una lettera. Ed ecco come: nella cappella della Compagnia, situata nei pressi dell’ospedale degli Incurabili, svolgeva il suo ministero un altro sacerdote di nome Ascanio Caracciolo: al nostro santo fu recapitata per sbaglio una lettera destinata al suo omonimo, con la quale un nobile genovese, il venerabile Agostino Adorno, e l’abate di Santa Maria Maggiore di Napoli, anch’egli un Caracciolo di nome Fabrizio, gli chiedevano di collaborare alla fondazione di un nuovo Ordine, quello dei Chierici Regolari Minori (caracciolini). Quella lettera fu da lui accolta come un segno della Provvidenza: insieme ai due richiedenti, si ritirò nell’eremo di Camaldoli di San Salvatore di Napoli dove fu redatta la regola. Il 1 luglio 1588 papa Sisto V approvava la regola e il 9 aprile 1589 Ascanio faceva la professione, assumendo il nome di Francesco, per la grande devozione che aveva verso il Poverello di Assisi. Morto l’Adorno, nel 1591, Francesco nel 1593 fu eletto Preposito Generale, ma egli per umiltà accettò la carica continuando la sua azione caritativa verso i poveri, questuando, assistendo gli infermi, facendo le pulizie in chiesa e nella casa, dove aveva scelto per sé la stanza più disadorna e piccola. Ma nel 1604 fu designato Vicario generale in Italia e Preposito della casa di Santa Maria Maggiore a Napoli. Dopo ripetute insistenze, ottenne finalmente nel 1607 di essere liberato da ogni incarico per dedicarsi interamente alla preghiera e alla penitenza. Avendo, nel 1608, la congregazione dell’Oratorio di Agnone (Isernia) manifestato interesse a unirsi al suo ordine, gli avevano chiesto di aprire una casa presso la loro chiesa della Santissima Annunziata, allora Francesco si recò in Molise per discutere dell’eventuale ingresso di quei padri tra i caracciolini: approfittò del viaggio per recarsi a visitare i suoi parenti a Montelapiano. Assalito da una violenta febbre, riuscì a ricevere il Viatico in ginocchio, poi entrò in agonia. Morì ad Agnone il 4 giugno 1608; patrono dei cuochi.
4 giugno: beato Giacomo Capocci da Viterbo, nacque a Viterbo nel1255 circa, da una nobile famiglia. Studiò sicuramente presso il convento della Santissima Trinità degli Eremitani di Sant’Agostino a Viterbo, nel cui ordine entrò intorno al 1272, sempre presso lo stesso convento. Nel 1274 Giacomo fu inviato a Parigi a frequentare la Facoltà Teologica dell’Università più celebre dell’Europa medievale; rientrato in Italia, ricoprì più volte, tra il 1281 ed il 1286, le cariche di Definitore e Visitatore nella Provincia romana del suo ordine. Tornato a Parigi per completare gli studi, conseguì prima il baccellierato, nel 1288, e quindi, nel 1293, il dottorato in teologia. Nel 1300 ricevette l’incarico di Primus Lector, cioè Direttore dell’insegnamento, presso lo Studium fondato a Napoli dai padri agostiniani. Aveva da poco scritto il trattato di teocrazia papale De regimine christiano, in occasione della lotta tra papa Bonifacio VIII e il re di Francia Filippo IV il Bello, con il quale riprendeva le tesi della bolla pontificia “Unam sanctam”, difendendo il diritto del papato a esercitare il potere temporale, quando il 3 settembre del 1302, Bonifacio VIII gli manifestò la sua stima e su istanza di Carlo II d’Angiò, fu nominato arcivescovo di Benevento. Governò la diocesi sannita poco più di un anno ed ebbe appena il tempo di disporre la costruzione della chiesa e del convento di sant’Agostino nei pressi dell’arco di Traiano. Il 12 dicembre 1303 venne trasferito alla sede metropolitana di Napoli, dove, stimato e aiutato da re Carlo II e dal figlio Roberto d’Angiò, si prodigò nella costruzione della nuova cattedrale. Clemente V lo nominò, il 13 maggio 1306, primo inquisitore nel processo di canonizzazione di Pietro del Morrone (papa Celestino V). Giacomo assolse a questo incarico ascoltando, fra il maggio e il giugno 1306, quasi trecento testimoni a Napoli, a Capua, a Castel di Sangro, a Sulmona, nel monastero dello Spirito Santo e a Ferentino. Morì negli ultimi mesi del 1307, ma se ne ignora la data precisa.