a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 9 luglio la chiesa celebra santa Veronica Giuliani (al secolo Orsola Giuliani), nata a Mercatello sul Metauro (Urbino) il 27 dicembre 1660, da una famiglia borghese. A soli due o tre anni cominciò a godere delle frequenti visioni di Gesù e Maria, che le sorridevano e rispondevano dalle immagini appese alle pareti di casa. All’età di 7 anni, perde la madre, e il padre si trasferisce a Piacenza come soprintendente alle dogane del ducato di Parma. In questa città, Orsola sente crescere in sé il desiderio di dedicare la vita a Cristo. Entrò nell’Ordine delle Clarisse Cappuccine a Città di Castello (Perugia), nel 1677 a 17 anni, cambiando il nome da Orsola a Veronica per ricordare la Passione di Gesù. Trascorse un noviziato difficile, dovendo affrontare sia le prove spirituali che la durezza delle sue superiore, che la giudicavano ambiziosa e che avevano protestato, comprensibilmente, quando il vescovo, in occasione della cerimonia della sua vestizione, aveva parlato di lei come di una futura santa. Dopo la professione, la sua devozione alla Passione cominciò a diventare sempre più dominante, e diverse visioni di Cristo sofferente la resero compartecipe di quella sofferenza. Nel 1681 apparve sulla fronte di Veronica Giuliani il segno di una corona di spine; nel 1694, fece esperienza del matrimonio mistico con Nostro Signore, e dopo due anni, sembrò che Gesù le avesse trapassato il cuore con una freccia, lasciando una ferita che sanguinava frequentemente; il Venerdì Santo del 1697 comparvero sul suo corpo i segni delle cinque piaghe di Nostro Signore, di cui portò le stigmate per tutto il resto della vita. Le superiore del convento le ordinarono di sottoporsi a trattamenti medici e, quando si vide che non avevano effetto, riferirono il caso al vescovo, che a sua volta informò la Santa Sede a Roma, e poi esaminò attentamente le ferite, le fece fasciare, e ordinò a Veronica di portare dei guanti con il suo sigillo personale, così da non poterle manomettere. Le proibì anche di ricevere la comunione, separandola dalle altre monache, facendola controllare costantemente da una consorella. Questi fenomeni, tuttavia, continuarono a manifestarsi, nonostante queste precauzioni, perciò Veronica poté alla fine riprendere una vita comunitaria normale, riconquistando tuttavia tutti i suoi diritti di monaca solo nel 1716. Il resto della sua vita fu così equilibrato e santo che potevano difficilmente essere considerati come sintomi di una nevrosi isterica. È un fatto interessante che Veronica non mostrasse nessuno degli altri fenomeni che a volte accompagnano le stigmate, specialmente quello dell’astinenza dal cibo. Molto tempo prima di morire, Veronica aveva detto al suo confessore che gli strumenti della passione di Nostro Signore si erano impressi nel suo cuore e aveva tracciato un disegno per mostrare il punto preciso nel cuore. Nel 1688 diventò maestra delle novizie, incarico che svolse per più di 30 anni, e che mantenne anche quando fu eletta badessa nel 1717, a 56 anni, fu rieletta a intervalli di tre anni fino alla morte. Raggiungeva un alto grado di contemplazione, oltre a possedere buon senso e abilità pratica come amministratrice; non voleva che le sue novizie leggessero le sue opere mistiche, insistendo invece su lezioni ordinarie riguardo alla carità e all’obbedienza, in quanto fondamenti della vita religiosa. Durante il suo mandato di badessa, dotò il convento di tubazioni per l’acqua e ampliò l’edificio. Morì d’apoplessia il 9 luglio 1727, a 67 anni.
9 luglio: Martiri di Gorcum, in Olanda, furono 19 martiri cattolici, tra cui 11 frati francescani minori osservanti, 1 frate agostiniano e 1 monaco premostratense, 1 canonico regolare di sant’Agostino, 1 frate domenicano e 4 sacerdoti secolari. Nel quadro della Guerra degli ottant’anni, che condurrà alla nascita dei Paesi Bassi, nella primavera del 1572, si era scatenata l’offensiva dei Gheusi del mare, pirati olandesi, che sotto la guida del barone di Lumey Guillaume II de la Marck, affiancavano Guglielmo I d’Orange nella lotta contro il re di Spagna Filippo II. I Gheusi, non potendo più usare i porti inglesi come basi operative contro gli spagnoli, in quanto la regina d’Inghilterra Elisabetta I lo aveva loro vietato, avevano assalito e conquistato le città di Brielle e Flessinga, poco dopo avevano conquistato Dordrecht, posta a poca distanza da Gorcum. A questa notizia, i cattolici che rappresentavano i due terzi degli abitanti della cittadina, che pur disponeva di una cittadella fortificata, ma era scarsamente presidiata dagli spagnoli, iniziarono a preoccuparsi. Fra di essi i più esposti alle possibili persecuzioni dei calvinisti erano i frati minori osservanti del piccolo convento, i sacerdoti e tutti gli altri religiosi presenti a Gorcum. Furono mandati messaggeri per chiedere soccorso alle guarnigioni spagnole vicine. Ma prima che questi potessero arrivare, il 25 giugno una flottiglia di 13 battelli dei Gheusi che avevano risalito la Mosa, si presentò davanti Gorcum, con circa 150 armati. I Gheusi sbarrarono il fiume a monte e a valle della città, il 26 giugno entrarono in città, capeggiati da Marin Brant, che convocò in piazza tutti gli abitanti facendo loro giurare fedeltà alla causa calvinista e a Guglielmo d’Orange, poi si recò davanti la cittadella chiedendo al governatore spagnolo Gaspard Turk la resa della guarnigione spagnola composta da appena 20 uomini. Avuta risposta negativa, alla sera iniziò a cannoneggiarli, costringendoli ad abbandonare due cinte difensive per ridursi nell’ultimo ridotto, la torre blu. Il governatore, in condizioni di netta inferiorità, chiese di poter trattare la resa, Marin accettò e promise la libertà a tutti coloro che si fossero arresi, in cambio del diritto di saccheggiare tutto ciò che si trovava nella torre. Ma appena i Gheusi entrarono nella torre presero prigionieri tutti i religiosi e iniziarono a insultarli, chiedendo loro dove avessero nascosto i loro tesori, e di fronte ai loro dinieghi li malmenarono violentemente, dando anche fuoco a padre Pieck che era svenuto. Per dieci giorni i religiosi rimasero prigionieri nella torre e furono sottoposti a sevizie continue, poi il capo dei Gheusi, il barone Guillaume de la Marck chiese che venissero trasferiti nella vicina città di Brielle dove lui si trovava. Giunsero a Brielle al mattino del 7 luglio. Li accolse il Lumey che li fece camminare fino alla città disposti su due file simulando una processione religiosa, costringendoli a cantare inni e litanie ed esponendoli al ludibrio della folla che li bersagliava con pietre, sabbia e secchi di acqua sporca. Infine li condusse in prigione, dove già si trovavano i curati di Maesdam e di Heinort e due monaci premostratensi, provenienti dall’abbazia di Middelbourg in Zelanda. Per tutta la serata il barone di Lumey li interrogò, tentando di far loro rinnegare i dogmi della fede cattolica e l’obbedienza al papa, riprese l’interrogatorio il giorno dopo, senza alcun risultato, infine li condannò a essere impiccati. I martiri ebbero una lunghissima agonia, perché erano stati impiccati malamente, l’ultimo a morire, verso l’alba, fu il domenicano. Dalle due alle quattro del mattino i soldati si accanirono sui corpi dei condannati, mutilandoli e insultandoli. Arrivarono persino a vendere il loro grasso a dei mercanti di unguenti, e parti dei loro organi furono vendute al mercato di Gorcum. Morirono il 9 luglio 1572.