Dopo 17 anni trascorsi dietro le sbarre, un detenuto accusato di una rapina che sosteneva di non aver mai commesso, è stato scarcerato grazie alla scoperta di un sosia che viveva vicino a lui. «Non credo nella fortuna, credo di essere stato benedetto», ha commentato Richard Jones. Era stato condannato solo sulla base di testimoni, che tuttavia non hanno saputo distinguere il colpevole quando hanno visto anche il suo sosia. Nel processo di revisione il giudice ha quindi stabilito che non ci sono prove contro di lui e lo ha liberato. Per Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, è il caso che, dimostra come l’infallibilità dei giudici non è che un mito poichè gli uomini sono condannati all’errore, e i giudici, sono uomini. L’errore giudiziario diventa sempre meno un episodio isolato per diventare un fenomeno collettivo, che può minacciare qualsiasi individuo del corpo sociale. La fretta nelle indagini, l’eccessiva fiducia accordata ai testimoni non sempre attendibili, la troppa importanza data alle presunzioni di colpevolezza e agli indizi sono tra i fattori che predispongono all’errore, ai quali va ad aggiungersi la pressione esercitata dall’opinione pubblica che desidera ad ogni costo trovare un colpevole, anche in mancanza di certezze irrefutabili. Come in questo caso, dove pur tardivamente, Richard Jones1ha avuto la fortuna di imbattersi in un giudice capace di affermare la verità dopo anni di carcere, certificando così un errore che si poteva e che si doveva evitare prima.