Nel momento in cui in Italia si vive un acceso dibattito sulla vaccinazione obbligatoria, arriva dalla Corte di Giustizia Europea una significativa sentenza sul rapporto tra vaccini e patologie collaterali che per Giovanni D’Agata, presidente dello“Sportello dei Diritti”, senz’altro contribuirà ad infuocare la discussione. Il presupposto della sentenza in questione, la 621/15, pubblicata il 21 giugno è una domanda che sovente si ritrova nelle aule giudiziarie anche italiane: la malattia che ha colpito un cittadino è stata causata dal vaccino? La risposta dei giudici europei è racchiusa nel principio, secondo cui, in mancanza di consenso scientifico, la prova può essere fornita con un complesso di indizi gravi, precisi e concordanti. E tra questi: la prossimità temporale tra la somministrazione del vaccino e l’insorgenza della patologia, l’assenza di precedenti medici personali e familiari dell’interessato e l’esistenza di un numero significativo di casi repertoriati in vicende analoghe. La vicenda è arrivata fino alla Corte di Giustizia Europea, dopo che un cittadino francese ammalato di sclerosi multipla, aveva fatto causa contro un gruppo farmaceutico produttore del vaccino contro l’epatite B. Purtroppo il paziente era deceduto nelle more del giudizio, ma i giudici europei, hanno rilevato che non ammettere alcuna prova se non quella tratta dalla ricerca medica, avrebbe l’effetto di rendere troppo difficile, se non impossibile, dimostrare la responsabilità del produttore: il che equivarrebbe a vanificare gli obiettivi della direttiva Ue, che punta a tutelare la sicurezza e la salute dei consumatori e garantire una giusta ripartizione dei rischi inerenti alla produzione tecnica moderna tra danneggiato e produttore. Ciò non significa, tuttavia, che si possa istituire un metodo di prova per presunzioni che permetta di stabilire automaticamente l’esistenza di un nesso di causalità in presenza di alcuni indizi concreti predeterminati. Non può non tenersi in considerazione gli elementi e gli argomenti presentati a propria difesa dal produttore per giungere alla spiegazione più plausibile dell’insorgenza del danno. Il giudice nazionale deve, inoltre, preservare il suo libero apprezzamento quanto al fatto che una simile prova sia stata o meno fornita in modo giuridicamente sufficiente, fino al momento in cui si ritiene in grado di formare il proprio convincimento definitivo.