Nell’antichità, secondo una millenaria tradizione popolare, il territorio di Nola era bagnato dal mare, e questa convinzione è tuttora radicata nella memoria popolare dal detto “ S’arricorda ‘o mare a Nola”, usato per indicare una cosa risalente ad una imprecisata età molto antica. Come ogni “vox populi”, tale radicata convinzione non può essere nata dal nulla, ma originata da una realtà geografica e storica, che ci sfugge, se vogliamo vedere per forza le onde del mare lambire le mura della città.
La problematica del “mare a Nola” fu trattata da Francesco Palliala, il quale faceva rilevare che l’Agro nolano in epoca storica non può essere mai stato bagnato dal mare, trovandosi la città distante molte miglia dalla costa, dove fiorivano vivaci città portuali. Lo storico riporta anche che dopo San Paolo Belsito, nella zona della Cappella ‘o Spirito, sulla strada provinciale per Palma Campania, furono rinvenuti oggetti utilizzati per la pesca. La segnalazione potrebbe essere collegata al fatto che il territorio che si estende intorno alla “Cappella ‘o Spirito”, e quindi vicinissimo a Nola, si chiama “Porto”. La prima citazione della località si rinviene in un documento del 1271 in cui si riporta che “il capitolo della cattedrale concede ad Alessandro Clarastella al canone annuo di due carlini da corrispondere nella festa di S. Maria a settembre una terra nel casale di Caliziano in località Porto”. Andava sotto il nome di Calizzano o Caliziano un casale agricolo scomparso che si estendeva nella zona intorno alla Cappella ‘o Spirito e Pozzoromolo, dopo San Paolo Belsito. A localizzare più precisamente il sito Porto è la presenza di un’edicola votiva sulla strada provinciale Nola – Palma Campania eretta a ricordo della scomparsa chiesa della Madonna del Porto. Il sacro edificio scomparso viene menzionato anche da G. Bruno che lo chiama Tempio di Porto. Le citazioni ci portano ad argomentare sulla probabilità che nella zona, subito dopo San Paolo Belsito, poteva esserci il terminale di un canale navigabile collegato in qualche modo al fiume Sarno, e quindi al mare, punto di arrivo e partenza per piccoli natanti, zattere e barconi a chiglia piatta, adibiti al trasporto di persone e merci. Segmenti ancora visibili di detto canale potrebbero essere quelli menzionati in un documento redatto nel luglio del 1354, in cui Tommaso Magaldo di Nola lascia nel suo testamento alla frateria della cattedrale una terra “in località Campo Marino, vicino ai fossi della città di Nola”;vale a dire che nella zona di Campo Marino, nel comprensorio dopo Pozzoromolo, vicino alla zona Porto (Cappella ‘o Spirito), esistevano dei fossati, probabili residui di un porto-canale, evidentemente ancora ben visibili e di pertinenza territoriale della città di Nola. L’esistenza di un canale realizzato dai Romani, con il quale sarebbe stato possibile arrivare da Nola al mare in breve tempo e viceversa. non deve meravigliare. La sua realizzazione sarebbe stata cosa di poco conto, dato che erano capaci di opere di genio, pubbliche e private, di ben altro impegno.L’imperatore Nerone, per restare nell’ambito dell’argomento, fece iniziare lo scavo di un canale, poi non ultimato, che doveva mettere in comunicazione Ostia col lago d’Averno, lungo centosessanta miglia e largo tanto da dare la possibilità di transito a due navi che si incrociavano, allo scopo di raggiungere Miseno e la costa campana senza entrare nel mare.
La presenza del porto-canale, potrebbe rendere plausibile il ritorno dalla prigionia di San Paolino con una barca. Se i Nolani, come si crede, andarono ad accogliere il Santo in festante corteo non dovettero andare fino al mare per dare il benvenuto al loro amato Vescovo, ma dirigersi verso il loro porto-canale, poco oltre San Paolo Belsito, senza percorrere improbabili chilometri a piedi.
Se così fosse San Paolino, per fare ritorno alla sua amatissima Nola, potrebbe essersi imbarcato nel porto di una città costiera, Oplonti (Torre Annunziata ) o Pompei, dal momento che particolari narrativi della sua vita non possono assolutamente essere spiegati con le leggendarie fantasie africane che probabilmente, sono dovute al fatto che il re dei Visigoti Alarico I era intenzionato di trasferire in Africa la sua gente, cosa che non si verificò.
Come di solito si faceva, i barbari radunavano i prigionieri in una solo campo di raccolta, in una località dove attendevano familiari e benefattori disposti a riscattarli. Si può opinare, pertanto, che San Paolino, insieme con altri Nolani, sia andato in una città portuale della costa campana, dove Alarico poteva aver radunato i prigionieri in attesa di un riscatto e dove il santo Vescovo avrebbe avuto la richiesta della vedova per far liberare il suo unico figlio. Visto che Alarico aveva intenzione di andare in Africa potrebbe avere pensato, in un primo momento, di partire da un porto campano, preferendo poi dirigersi a Reggio in Calabria. La nostra ipotesi nasce da citazioni riportate da alcuni scrittori. Sul litorale campano sorgevano città portuali collegate all’interno attraverso il fiume Sarno (Oplonti – Torre Annunziata, Pompei). Il coinvolgimento dei Pompeiani e dei Torresi in questo racconto si deve a due tradizioni locali, riguardanti il riscatto del figlio della vedova e il leggendario ritorno per mare di San Paolino dall’Africa. Riporta il Galante: “Quando Paolino dopo la sua gloriosa cattività ritornava trionfatore nella sua Nola, approdando alle rive di Oplonti o all’antico porto pompeiano, tra l’osanna, le palme ed i gigli del popolo, percorse certamente la mesta cenere che copriva Pompei. (…). Ma il più bel titolo di patronato che abbia il santo Vescovo Paolino sulle contrade di Valle e della nuova Pompei, nasce da quel portentoso eroismo di carità, quando per riscattare il figliuolo della vedova diede di sé stesso in volontaria schiavitù. Or quell’avventuroso giovane che Paolino riscattava a prezzo della propria libertà, era appunto dei contorni della vecchia Pompei; se ne contendono la gloria Boscoreale e Torre Annunziata; era insomma dell’antica Civita; le locali tradizioni lo assegnano ai tenimenti di Valle di Pompei. ”.
Questa tradizione “costiera” circa la provenienza del giovane e di sua madre, è suggerita, implicitamente, anche da Charles Perrault, uando scrive che il marito della donna era un pescatore.
Antonio Fusco