a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 5 settembre la chiesa celebra santa Teresa di Calcutta (al secolo Anjezë Gonxha Bojaxhiu), nacque a Skopje (ex Jugoslavia) il 26 agosto 1910. Fin da piccola riceve un’educazione fortemente cattolica dato che la sua famiglia, di cittadinanza albanese, era profondamente legata alla religione cristiana. Nel 1928, a 18 anni, decise di prendere i voti entrando come aspirante nelle Suore di Loreto, un ramo dell’Istituto della Beata Vergine Maria (dame inglesi) che svolgeva attività missionarie in India. La Superiora la manda quindi in India, a Darjeeling, città situata ai piedi dell’Himalaia, dove, il 24 maggio 1929, ha inizio il suo noviziato. Il 25 maggio 1931, pronuncia i voti religiosi e assume da quel momento il nome di suor Teresa, in onore di Santa Teresa di Lisieux. Per terminare gli studi, viene mandata, nel 1935, presso l’Istituto di Calcutta, capitale del Bengala, qui si scontra con la realtà della miseria più nera, ad un livello tale che la lascia sconvolta. Di fatto tutta la popolazione nasce, vive e muore sui marciapiedi; Madre Teresa rimane inorridita quando scopre che ogni mattina, i resti di quelle creature vengono raccolte insieme con i mucchi di spazzatura. Il 10 settembre 1946, mentre sta pregando, suor Teresa percepisce distintamente un invito di Dio a lasciare il convento di Loreto per consacrarsi al servizio dei poveri, a condividere le loro sofferenze vivendo in mezzo a loro. Si confida con la Superiora, che la fa aspettare, per mettere alla prova la sua ubbidienza. In capo ad un anno, la Santa Sede la autorizza a vivere fuori della clausura. Sulla spalla, un piccolo crocifisso nero. Nel 1950, papa Pio XII autorizza ufficialmente la nuova istituzione, denominata “Congregazione delle Missionarie della Carità”, la cui missione era quella di prendersi cura dei “più poveri dei poveri” e di tutte quelle persone che si sentono non volute, non amate, non curate dalla società. Stabilì come divisa un semplice “sari” (veste tradizionale delle donne indiane) bianco a strisce azzurre, pare fu scelto da Madre Teresa perché era il più economico fra quelli in vendita in un piccolo negozio, ma soprattutto perché aveva i colori della casta degli intoccabili, la più povera dell’India. Durante l’inverno del 1952, un giorno in cui va cercando poveri, trova una donna che agonizza per la strada, troppo debole per lottare contro i topi che le rodono le dita dei piedi. La porta all’ospedale più vicino, dove, dopo molte difficoltà, la moribonda viene accettata. A Suor Teresa viene allora l’idea di chiedere all’amministrazione comunale l’attribuzione di un locale per accogliervi gli agonizzanti abbandonati, è messa sua disposizione una casa che serviva un tempo da asilo ai pellegrini del tempio indù di “Kalì la nera”, ed ora utilizzata da vagabondi e trafficanti di ogni sorta. Nel 1979 le viene assegnato il riconoscimento più prestigioso: il Premio Nobel per la Pace. Tra le motivazioni è indicato il suo impegno per i più poveri, tra i poveri, e il suo rispetto per il valore e la dignità di ogni singola persona. Madre Teresa nell’occasione rifiuta il convenzionale banchetto cerimoniale per i vincitori, e chiede che i 6.000 dollari del premio vengano destinati ai bisognosi di Calcutta, che con tale somma possono ottenere aiuti per un anno intero. A partire dalla fine degli anni ottanta, le sue condizioni peggiorarono: già affetta da artrite reumatoide, che la costrinse a un primo ricovero nel 1983, ebbe un infarto nel 1989 e si dimise da superiora dell’Ordine, ma fu rieletta praticamente all’unanimità. Accettò il risultato e rimase alla guida della congregazione. Nel 1991 si ammalò di polmonite, nel 1992 ebbe nuovi problemi cardiaci e l’anno successivo contrasse la malaria. Il 13 marzo 1997 lasciò definitivamente la guida delle Missionarie della Carità. Morì il 5 settembre 1997, a 87 anni.
5 settembre: santi Aconzio, Nonno, Ercolano e Taurino, di questi santi martiri di Porto Romano non si hanno notizie degne di fede: essi sono ricordati, però, nelle leggende di sant’Aurea e di san Censorino. Le loro reliquie sono dal 1931 nella nuova urna posta sotto l’altare maggiore di San Giovanni Calibita. Il più antico documento che li ricordi è la Depositio Martyrum, che al 5 settembre reca: «Aconti in Porto, et Nonni, et Herculani et Taurini». Nel Martirologio Geronimiano, invece, sono divisi in due gruppi e riferiti in giorni diversi, probabilmente per influsso delle fonti agiografiche. Infatti al 25 luglio sono ricordati i soli Aconzio e Nonno: «Romae Portu natale Canti (corruzione di Aconti) et Nonni»; curiosa anche la variante Acinti introdotta da Floro, onde si ebbe la falsa interpretazione Jacinti, il martire venerato insieme con Proto. Al 5 settembre, poi, sono ricordati solamente Taurino ed Ercolano, che nella Passio Censurini vengono presentati come due carcerieri di Censorino, successivamente convertiti al cristianesimo, martirizzati ad Ostia e sepolti a Porto. Finalmente nel Martirologio Romano a quest’ultima data è commemorato il solo Ercolano. Di Aconzio, tuttavia, si ricorda una chiesa («titulus sancti Aconti») in un documento del X secolo, precisamente nel Libellus in defensionem sacrae ordinationis papae Formosi; Taurino ed Ercolano appaiono col titolo di martiri in un’iscrizione di Porto. Papa Formoso, che era stato vescovo di Porto, trasportò nella chiesa di San Giovanni Caibita nell’Isola Tiberina, che apparteneva alla diocesi di Porto-Santa Rufina, le reliquie dei martiri Nonno, Taurino ed Ercolano, e le ripose sotto l’altare maggiore; di Aconzio non si fa menzione: evidentemente doveva riposare in altro luogo, come si può desumere dal testo della Depositio.