a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 30 aprile la chiesa ricorda san Pio V, 225º papa della Chiesa cattolica; (al secolo Antonio Ghislieri), nacque a Bosco Marengo (Alessandria) il 17 gennaio 1504, da una povera famiglia. Il piccolo Antonio veniva spesso mandato a custodire le pecore, finché a 14 anni entrò nel convento domenicano di Santa Maria della Pietà a Voghera e prese con l’abito da frate il nome di Michele del Bosco, contento di ricordare in tale maniera il suo paese d’origine. Michele compì il suo noviziato nel convento di Vigevano e nel 1521 emise la professione solenne; continuò in seguito gli studi filosofici e teologici parte a Vigevano e parte a Bologna, acquistando con lo studio amore alla verità e rettitudine di volere, due qualità da lui mai smentite. Nel 1528 fu ordinato sacerdote a Genova. Insegnò Filosofia presso l’Università di Pavia dal 1528 al 1544 e per breve tempo fu docente di Teologia presso l’Università di Bologna. Seguì la regola monastica conducendo una vita ascetica. Si recò spesso fuori dal monastero per fare visita ai poveri e ai dimenticati. Fu responsabile per l’educazione dei novizi a Vigevano e accettò, per ubbidienza, l’incarico di priore in alcuni conventi. In virtù della sua esemplare condotta di vita, la Santa Sede lo nominò, nel 1551, inquisitore nella città di Como. Nel suo nuovo compito, Michele difese con zelo i principi della religione cattolica, suscitando viva impressione nel cardinale Gian Pietro Carafa (futuro Paolo IV), che lo segnalò a papa Paolo III. Nel 1557 fu creato cardinale; l’anno seguente giunse la nomina a presidente dell’Inquisizione romana, dicastero pontificio comunemente detto “il Sant’Uffizio”, con lo scopo di fronteggiare l’eresia protestante che dalla Germania si stava irradiando nel resto d’Europa. Paolo IV, per la stima illimitata e l’affetto paterno che gli portava, prima lo nominò vescovo di Nepi e Sutri, poi lo creò cardinale assegnandogli la chiesa di Santa Maria sopra Minerva, annessa al convento dei Frati Predicatori. Successe a Pio IV il 7 gennaio 1566. Tracciò il 12 gennaio 1566, davanti ai cardinali, le linee concrete del suo pontificato: riformare la Chiesa secondo le direttive del Concilio di Trento; mantenere la pace tra gli Stati cristiani sconvolti dalla scissione protestante; debellare l’eresia e allontanare la minaccia dell’invasione turca. Ai parenti (aveva un fratello, due sorelle, con alcuni nipoti e pronipoti) fece capire subito che non dovevano aspettarsi favori o privilegi. Pio V come veste quotidiana continuò ad usare la tonaca bianca da frate e come abiti pontificali utilizzò quelli di Paolo IV finché non furono consumati. Con queste premesse di coerenza nella vita, Pio V iniziò l’opera di attuazione dei decreti conciliari, partendo dal cuore della Chiesa: la preghiera, che ha il suo centro nell’azione sacrificale della Santa Messa. Ai sacerdoti pose in mano un “breviario” aggiornato secondo le nuove esigenze e per unificare i molteplici riti esistenti fino ad allora per la Santa Messa, creò un messale con testi più organici e coordinati; curò la compilazione del “Catechismo del Concilio di Trento per i parroci”, un compendio delle verità rivelate che li aiutasse nella formazione dei fedeli. Pio V pose in atto una serie di trattative per fermare l’avanzata dei mussulmani, guidati dal sultano Selim II, nell’occidente cristiano. La strepitosa vittoria della flotta cristiana che concluse la battaglia navale di Lepanto (Grecia) la domenica 7 ottobre 1571, va attribuita non solo al coraggioso valore dei combattenti, ma alla fede con cui il popolo cristiano rispose all’appello del Papa, pregando in processione da una chiesa all’altra di Roma con la recita del santo Rosario. Pio V, spossato da una grave ipertrofia prostatica di cui, per pudicizia, non volle essere neanche visitato, chiese di rivestire l’abito domenicano prima di ricevere l’assoluzione e l’Unzione degli infermi. Morì il 1 maggio 1572, a 68 anni.
30 aprile: nacque a Bra (Cuneo) il 3 maggio 1786, da una famiglia di solida tradizione cristiana. Fin da piccolo, grazie anche agli esempi della madre sempre generosa verso i poveri e gli ammalati, pensava di dedicarsi alla cura degli infermi. Deciso a farsi sacerdote, cominciò gli studi con scarso rendimento, poi in seguito a una novena a san Tommaso d’Aquino del quale sarebbe stato particolarmente devoto per tutta la vita, superò le difficoltà ottenendo esiti brillanti. Nel 1802 vestì la talare, ma dovette continuare i corsi di filosofia e teologia restando in famiglia perché i seminari erano chiusi a causa degli eventi legati alla Rivoluzione francese e alla successiva invasione del Piemonte da parte dei soldati francesi di Napoleone I; poté rientrarvi soltanto nel 1805 ad Asti, alla cui diocesi era stata assegnata Bra nel riordinamento deciso dal governo francese. Ricevuta l’ordinazione l’8 giugno 1811, Giuseppe svolse inizialmente il suo ministero a Bra e quindi, nel novembre 1813, fu nominato vice parroco a Corneliano d’Alba; poi, nel 1814, consigliato da alcuni sacerdoti amici, si recò a Torino dove conseguì la laurea in teologia presso quella università, e nel 1818 fu nominato canonico della chiesa del Corpus Domini. Qui si dedicò con zelo alla predicazione e alle confessioni, nonché all’aiuto dei poveri per i quali, oltre a ricorrere alla carità di persone generose, si privava di quanto possedeva, ma con il trascorrere del tempo emerse in Giuseppe Benedetto una profonda insoddisfazione e la meditazione della biografia di san Vincenzo de’ Paoli lo condusse ad una maturazione della sua dimensione umana e spirituale. Ed ecco il 2 settembre 1827 l’evento che avrebbe dato una svolta decisiva al suo apostolato: era giunta a Torino da Milano, mentre era in viaggio per Lione, una famiglia composta dai genitori e da tre bambini: ammalatasi gravemente la madre, Giovanna Maria Gonnet, non fu accolta nell’ospedale cittadino perché incinta e affetta da tubercolosi, ma portata in una stalla messa a disposizione dal Comune per gli infermi trovati dalle guardie sulla strada. Di fronte alla tremenda agonia della giovane, lasciata morire in una misera stalla circondata dal dolore dei suoi figli piangenti, Giuseppe Benedetto sentì l’urgenza di creare un ricovero dove potessero essere accolti i malati rifiutati da tutti. Con l’aiuto di alcune donne, il 17 gennaio 1828 aprì nel centro di Torino il Deposito dei poveri infermi del Corpus Domini. Scoppiata in Piemonte l’epidemia del colera, gli abitanti delle case vicine per paura del contagio ottennero che lo stabile fosse chiuso e Giuseppe Benedetto, fiducioso nell’aiuto del Signore, affittò uno stabile nella zona di Valdocco: era il 27 aprile 1832 dove fondò, con l’aiuto del dottor Lorenzo Granetti, quella grande realtà tuttora esistente: la Piccola Casa della Divina Provvidenza, più comunemente conosciuta con il nome: il Cottolengo. Per reperire i mezzi necessari al mantenimento di queste opere, Giuseppe Benedetto faceva affidamento unicamente sulla Provvidenza, la quale rispondeva con grande munificenza, anche se non mancarono momenti difficili quando in cucina non c’era più pane, mancavano i soldi per la spesa e i creditori incalzavano: il santo invitava a pregare e arrivavano subito i viveri o un ignoto benefattore che saldava i debiti. Dato che Giuseppe Benedetto mirava anche alla cura spirituale dei malati, diede vita a suore, fratelli laici e sacerdoti. Il 21 aprile 1842, sentendosi prossimo alla fine, affidò al canonico Luigi Anglesio la direzione delle sue opere e si ritirò in casa del fratello Luigi, canonico della collegiata di Chieri (Torino). Morì il 30 aprile 1842