Oggi 17 marzo si celebra san Patrizio d’Irlanda (al secolo Maewyin Succat), nacque a Bannaventa Berniae (attuale Cumbria in Gran Bretagna), anche se alcuni sostengono Kilpatrick (Scozia), nel 385, da nobili genitori cristiani. Il giovane Patrizio trascorse la sua fanciullezza e l’adolescenza in serenità, ricevendo un’educazione abbastanza elevata; a 16 anni villeggiando nel podere del padre, venne fatto prigioniero insieme ad altri dai pirati irlandesi e trasferito sulle coste nordiche dell’isola, fu venduto come schiavo al re Muirchu del North Dàl Riada, nell’odierna Irlanda del Nord. Qui, per sei anni, lavorò portando al pascolo pecore ed altri animali e tessendo gomitoli di lana. La vita grama, la libertà persa, il ritrovarsi in terra straniera fra gente che parlava una lingua che non capiva, ma che nel frattempo apprese sia la lingua gaelica e tutte le pratiche dei druidi, la solitudine con le bestie, resero a Patrizio lo stare in questa terra verde e bellissima, molto spiacevole, per cui tentò per due volte la fuga, ma inutilmente. Un giorno, ribellandosi al padrone, scappò e, percorrendo a piedi circa 184 miglia, si imbarcò clandestinamente su di una nave diretta in Inghilterra. Ritornato in famiglia Patrizio, trascorre qualche tempo con i genitori, poi sognò che gli irlandesi lo chiamavano, interpretò ciò come una vocazione all’apostolato fra quelle tribù ancora pagane e avendo ricevuto esperienze mistiche, decise di farsi chierico e di convertire gl’irlandesi. Si recò di nuovo in Gallia (Francia) presso il san Germano vescovo di Auxerre, per continuare gli studi, terminati i quali fu ordinato diacono; la sua aspirazione era di recarsi in Irlanda, ma i suoi superiori non erano convinti delle sue qualità perché poco colto. Nel 431 in Irlanda fu mandato il vescovo Palladio da papa Celestino I, con l’incarico di organizzare una diocesi per quanti già convertiti al cristianesimo. Patrizio nel frattempo completati gli studi, si ritirò per un periodo nel monastero di Lérins, per assimilare la vita monastica, convinto che con questo carisma poteva evangelizzare gli irlandesi. Con lo stesso scopo si recò in Italia, per visitare i piccoli monasteri e capire che metodo fosse usato dai monaci per convertire gli abitanti delle isole. Patrizio fu consacrato vescovo e nominato successore di Palladio intorno al 460. Il metodo di evangelizzazione fu adatto ed efficace, gli irlandesi (celti e scoti) erano raggruppati in un gran numero di tribù che formavano piccoli stati sovrani (tuatha), quindi occorreva il favore del re di ogni singolo territorio, per avere il permesso di predicare nei viaggi missionari. Per questo scopo Patrizio faceva molti doni ai personaggi della stirpe reale ed anche ai dignitari che l’accompagnavano. Il denaro era in buona parte suo, che attingeva dalla vendita dei poderi paterni che aveva ereditato, non chiedendo niente ai suoi fedeli convertiti. La conversione dei re e dei nobili a cui mirava Patrizio, portava di conseguenza alla conversione dei sudditi. Introdusse in Irlanda il monachesimo che di recente era sorto in Occidente e un gran numero di giovani aderirono con entusiasmo facendo fiorire molti conventi. Certo non tutto fu facile, le persone più anziane erano restie a lasciare il paganesimo e inoltre Patrizio e i suoi discepoli dovettero subire l’avversione dei druidi (casta sacerdotale pagana), i quali lo perseguitarono. Anche se Patrizio vivesse per carità di Cristo fra gli stranieri e barbari da anni, in cuor suo si sentì sempre romano con il desiderio di rivedere la sua patria Britannia e quella spirituale la Gallia, ma la sua vocazione missionaria non gli permise mai di lasciare la Chiesa d’Irlanda che Dio gli aveva affidato, in quella che fu la terra della sua schiavitù. Morì a Down (Irlanda del Nord) il 17 marzo 461; patrono dell’Irlanda.
17 marzo: santa Gertrude di Nivelles, nacque a Landen (Belgio) nel 626 circa, era la figlia più giovane di Pipino di Landen, figlio di Carlomanno e di sua moglie Idulberga (la futura santa Itta o Ida). Inoltre era la sorella più giovane di santa Begga (badessa di Andenne) e di Grimoaldo I. Alla morte di suo padre, nel 647, la madre, nel 650 edificò il monastero di Nivelles (Belgio), dove, su consiglio di sant’Amando di Maastricht, si ritirò divenendo suora benedettina. Anche Gertrude decise di farsi religiosa e seguire la madre, respingendo anche la proposta di matrimonio del re di Austrasia, Dagoberto II. Il monastero fondato dalla madre era un monastero benedettino doppio, trasformando il castello familiare, con un’ala maschile e una femminile, sottoposto all’autorità della badessa. Itta ne divenne la prima badessa, però, secondo un’altra versione, avrebbe rinunciato a tale dignità a favore della figlia Gertrude (che comunque le sarebbe succeduta alla sua morte, nel 657), che era entrata nel convento della madre, che accetta il titolo, ma lascia a un frate il potere effettivo e riserva a sé il compito di istruire monaci e monache. La cultura ebbe notevole impulso dalla sua gestione: fece arrivare da Roma numerosi manoscritti liturgici e chiamò dall’Irlanda molti monaci dotti nelle Sacre Scritture come san Foillano, che rimase a Nivelles per educare i monaci, e il fratello di questi sant’Ultano, che si dedicò anche all’evangelizzazione delle vicine terre germaniche, ancora pagane. Si dedicò allo studio e alla contemplazione: la tradizione la vuole mistica e visionaria. Ma il suo vero prodigio fu la pace portata tra le famiglie signorili locali, divise da eterni scontri che per la gente portavano solo saccheggi, razzie di ostaggi e anni di miseria. Morì a Nivelles il 17 marzo 659, a soli 33 anni; patrona dei gatti.
17 marzo: san Jan Sarkander, nacque a Skoczów (Polonia) il 20 dicembre 1576, da Gregorio Mattia Sarkander e da Helena Górecka; entrambi erano alle loro seconde nozze. Dopo la morte del padre, nel 1589, la famiglia si trasferì a Pribor in Moravia presso il figlio sacerdote di Helena, nato dal suo primo matrimonio. Jan frequentò la scuola parrocchiale, il collegio dei gesuiti a Olomouc (Repubblica Ceca), l’università di Praga e la Facoltà di Teologia di Graz (Austria). Quest’ultima la interruppe, nel 1606, per sposare Anna Platská, rampolla di una nobile famiglie luterana, ma la ragazza morì prima delle nozze, così Giovanni riprese gli studi dando gli esami di teologia il 21 dicembre 1607, e ricevendo gli ordini minori il giorno seguente. Venne consacrato sacerdote a Brno (Repubblica Ceca), il 22 marzo 1608, lavorando nel periodo successivo in diverse parrocchie e diocesi nei dintorni di Olomouc. Nel 1616 di Holešov, adoperandosi per ricattolicizzare la Moravia, dove i protestanti Hussiti e dei fratelli boemi avevano guadagnato numerose chiese. A Holešov acquisì il ruolo di consigliere e confessore di Ladislav II Lobkowicz, luogotenente di Moravia, il quale, nel 1604, aveva rimesso la chiesa locale in mano ai cattolici e aveva cacciato i fratelli boemi da una casa che trasformò in collegio gesuita. Assieme ai gesuiti, Jan riuscì a convertire circa duecentocinquanta fedeli, attirandosi l’odio di un signore vicino, Venceslao Bitowsky di Bystřice. Nel 1618 i nobili protestanti boemi si ribellarono all’imperatore Ferdinando II, riprendendo il controllo della Moravia e rendendo così difficile l’operato di Jan. In seguito all’arresto di Ladislav e all’allontanamento dei gesuiti nel maggio 1619, Jan andò in pellegrinaggio al Santuario di Częstochowa, soggiornando a Cracovia per cinque mesi, per poi tornare a Holešov a fine novembre. Poco dopo il re polacco Sigismondo III, che stava marciando attraverso la Moravia per andare in aiuto dell’Imperatore d’Austria, saccheggiò la regione: risparmiò però Holešov dove i fedeli, capeggiati da Jan e dal cappellano Samuele Tucek, andarono incontro alle truppe polacche in processione eucaristica. Questo viaggio in Polonia gli fu fatale. A questo punto Bitowsky colse l’occasione per accusare Jan di tradimento e lo fece arrestare e portare ad Olomouc per il processo. La commissione era interamente composta da protestanti, fatta eccezione per il giudice cattolico Johann Scintilla che fu costretto a presenziare, e che fece poi avere un resoconto degli eventi al cardinale von Dietrichstein. Jan, anche per essersi rifiutato di violare il segreto confessionale nei riguardi di Ladislav, venne sottoposto tre volte, nel febbraio del 1620, a diverse torture fra cui quella del tratto di corda. I supplizi vennero interrotti su insistenza di Scintilla, ma Jan morì in prigione, dopo un mese di agonia, il 17 marzo 1620, a 46 anni