a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 28 luglio la chiesa celebra i santi Nazario e Celso, Nazario era di origine romana, figlio un pagano e di una cristiana, il padre voleva farne un sacerdote degli dei, ma la madre riuscì a farlo battezzare dal futuro papa Lino e fu discepolo di san Pietro. Per sfuggire alle persecuzioni contro i cristiani e forse inviato da papa Lino, lasciò Roma e si recò in alcune zone della Lombardia, dove avrebbe incontrato in carcere i compagni di fede i santi Gervasio e Protasio, che amorevolmente confortò, li animò a soffrire coraggiosamente il martirio. Di questo fatto informato il prefetto romano, condannò Nazario alla frusta e all’esilio. Si diresse allora Nazario verso la Francia seguitando a predicare in ogni luogo la fede in Gesù Cristo. Iniziò l’evangelizzazione delle Gallie, precisamente a Cimiez presso Nizza, qui gli fu affidato, da una donna, come discepolo il giovanissimo Celso, di appena 9 anni, il quale ricevette dal maestro l’educazione alla fede cristiana e il battesimo. Insieme proseguirono nell’opera di diffusione della nuova fede, viaggiando per la Francia meridionale e arrivando a Treviri in Germania, qui avrebbero subìto numerose persecuzioni e sarebbero stati arrestati ma, tuttavia, Nazario, quale cittadino romano, non fu torturato. Fece ritorno a Roma, durante le persecuzioni dell’imperatore Nerone, per un regolare processo, al suo rifiuto di rinnegare la sua fede e sacrificare agli dei romani, venne condannato a morte. Secondo altre fonti la condanna a morte venne decisa dal governatore di Ventimiglia. Ad ogni modo, insieme a Celso, venne imbarcato su una nave che doveva portarli al largo e gettarli in mare, i due scamparono alla morte a causa di un nubifragio. La tradizione vuole che, gettati in mare, presero a camminare sulle acque, si scatenò allora una tempesta che terrorizzò i marinai, i quali chiesero aiuto a Nazario, le acque si calmarono immediatamente; la nave sarebbe infine approdata a Genova, e qui Nazario e Celso proseguirono la loro opera evengelizzatrice in tutta la Liguria, poi si spinsero poi fino a Milano, dove infine vennero arrestati e nuovamente condannati a morte dal prefetto Antolino, la sentenza fu eseguita per decapitazione nell’anno 76.
28 luglio: san Pedro Poveda Castroverde, nacque a Linares (Spagna) il 3 dicembre 1874, da una famiglia profondamente cattolica. Fin da bambino sentì la vocazione per il servizio sacerdotale e dopo aver compiuto i primi studi a Linares, nel 1889 entrò, a 15 anni, nel seminario di Jaén, proseguì gli studi in quello di Guadix, dove fu ordinato sacerdote il 7 aprile 1897. Laureatosi in teologia successivamente cominciò a occuparsi dei problemi sociali e si dedicò all’assistenza di quanti vivevano nelle grotte che circondavano la città, impegnandosi a migliorare quell’ambiente arretrato, intellettualmente, economicamente e socialmente. Costruì per loro, scuole per bambini e bambine, istituendo le lezioni serali e laboratori per gli adulti. Nominato canonico di Covadogna, nel 1906, si occupò della formazione cristiana dei pellegrini, iniziando al tempo stesso a scrivere le sue prime opere sull’educazione e il rapporto tra fede e scienza. A partire dal 1911, con alcune giovani collaboratrici, avviò la fondazione di accademie e centri pedagogici, che avrebbero dato inizio all’Istituzione Teresiana ad Oviedo, avendo come modello santa Teresa d’Avila. Si trasferì, nel 1913, a Jaén per consolidare l’Istituzione medesima che lì stesso avrebbe ricevuto l’approvazione diocesana e, successivamente, mentre egli si trovava a Madrid come cappellano reale, l’approvazione pontificia. Sacerdote prudente e audace, pacifico e aperto al dialogo, offrì la sua vita per la causa di fede. Egli fu una delle prime vittime della persecuzione religiosa che si scatenò in Spagna, nell’ambito della Guerra Civile. Il 27 luglio 1936 appena terminata la celebrazione della Messa, fu arrestato nella sua casa. Non negò la sua identità davanti a coloro che andarono a prelevarlo, dicendo: «Sono sacerdote di Cristo». Fu fucilato dai repubblicani, perforando lo scapolare che indossava della Madonna del Carmelo. Morì il 28 luglio 1936, a 61 anni.
28 luglio: san Vittore I, 14° papa; nacque in Tunisia (Africa). Alla morte di papa Eleuterio fu eletto pontefice nel 189; ebbe la sorte di pontificare i primi cinque anni sotto l’imperatore Commodo il quale grazie agli auspici della sua favorita Marcia, simpatizzante per il cristianesimo, non solo non rinnovò la persecuzione, ma fece per i cristiani quello che finora nessun imperatore aveva fatto; con l’aiuto di Marcia, il papa Vittore ebbe un incontro con lui, nel quale gli consegnò la lista dei cristiani condannati alla deportazione per i lavori forzati nelle miniere della Sardegna e Commodo ne ordinò la liberazione, era l’anno 190 ed era la prima volta che l’Impero trattava direttamente con la Chiesa e il vescovo di Roma. Questo episodio è importante anche per capire la perfetta organizzazione della carità cristiana in Roma, la quale provvedeva non solo ai membri bisognosi della comunità, ma si estendeva anche ai fratelli perseguitati, sofferenti nelle carceri o condannati ai lavori forzati nelle miniere; di tutti si teneva un elenco aggiornato, a guardare oggi questi avvenimenti ci sembra quasi impossibile che in quei tempi, dove per il solo fatto di essere oppure solo indicati come cristiani, si moriva con estrema facilità e con tormenti indicibili e incomprensibili in un impero così vasto e faro di civiltà e diritto, proprio la Chiesa primitiva nel suo vivere nascosto e continuamente in pericolo, avesse un’organizzazione da far invidia sia nel campo assistenziale che in quello spirituale e dottrinario. In campo liturgico, la controversia in cui si venne a trovare papa Vittore I, fu quella della celebrazione della Pasqua, le Chiese dell’Asia e quelle di origine ebraica, la celebravano il 14 del mese di ‘nisan’ (marzo-aprile), da qui il loro nome di Quartodecimani e dall’altra parte le Chiese Occidentali compresa quella di Roma, la celebravano la Domenica come il giorno nel quale Gesù era risorto. Vittore I indisse i Sinodi presso le varie Chiese per poter avere risposta specifica sull’argomento, se favorevoli o no alla celebrazione domenicale. Ancora una volta le Chiese asiatiche rimasero sulle loro posizioni e il papa allora agì di autorità, dopo aver imposto la celebrazione romana a tutta la Chiesa Universale, comminò la scomunica a tutti i dissenzienti, ma poi non l’applicò per evitare un grave scisma, comunque in seguito la scelta di Roma fu poi pacificamente accettata. Papa Vittore presenta un’altra caratteristica, egli era un africano ed insieme a san Melchiade, furono gli unici papi di questo Continente, a riprova di quanto fossero importante nell’epoca romana il Nord Africa e le zone vicine all’Asia Minore. Non si conosce bene come morì, ma visto che i suoi secondi cinque anni di pontificato corrispondono alla ripresa delle persecuzioni con il nuovo imperatore Settimio Severo, quasi certamente fu martirizzato come i suoi predecessori. Morì a Roma nel 199.