a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 30 ottobre la chiesa celebra san Marcello di Tangeri, il martirio di questo martire non è conseguenza di una persecuzione generale, si tratta di un caso isolato di un soldato messo a morte per rifiuto del servizio militare. La storia di questo centurione ci è nota dai verbali di comparizione di Marcello davanti ad autorità diverse (il governatore di Tingitane, Anastasio Fortunato, il vicario dei prefetti del pretorio, Aurelio, il giudice Agricolano) e dalla lettera di Fortunato ad Agricolano, scritta per spiegare i fatti che riportiamo qui di seguito. Il 21 luglio 298, si celebrava la festa degli “augusti imperatori” in onore dell’imperatore Massimiano, tutti i soldati erano riuniti per sacrificare e banchettare. Il centurione ordinario Marcello si avvicinò al trofeo delle insegne della legione davanti al quale si offriva il sacrificio, gettò a terra il suo cinturone ed il ceppo di vite, simbolo del suo grado, e proclamò: «Io sono un soldato di Gesù Cristo, e smetto di servire i vostri imperatori». Mantenne le sue affermazioni davanti al governatore Fortunato, il quale considerando la gravità del delitto, decise di rimandarlo al suo superiore gerarchico, Aurelio Agricolano di Tangeri. Il 30 ottobre, Marcello confermò: «Non è conveniente che un cristiano che serve Cristo presti il suo servizio nelle milizie di questo mondo». Il verdetto fu immediato: «Marcello, che serviva come centurione ordinario, ha rinunciato pubblicamente al suo giuramento. Ordino che sia decapitato». L’esecuzione ebbe luogo il giorno stesso a Tingis (odierna Tangeri). Morì il 30 ottobre 298 d.C.
30 ottobre, sant’Alfonso Rodriguez, nacque a Segovia (Spagna) il 25 luglio 1532, da una famiglia di mercanti di lana e tessitori di stoffe. Fin da ragazzo era molto applicato allo studio che seguiva con profitto nel collegio della Compagnia di Gesù (gesuiti) di Alcalà. A 23 anni però, in seguito alla morte prematura del padre, Alfonso fu costretto a ritornare in famiglia per dirigere la piccola impresa familiare ereditata dal padre. Gli affari però non andavano bene e non interessavano affatto il giovane Alfonso, che nel frattempo si era sposato e aveva avuto due bambini. A 35 anni tornò a scuola, proseguendo faticosamente gli studi interrotti in gioventù. Nel 1573, a 42 anni, rimasto vedovo ed essendo morti anche i suoi due figli, si presentò come novizio in un convento della Compagnia di Gesù. Venne accolto, ma egli, nonostante il suo notevole bagaglio culturale, volle restare come fratello coadiutore, addetto ai servizi più umili della comunità, e per il resto della vita fu portinaio nella casa-collegio di Monte Sion a Palma de Maiorca, da dove passavano i missionari della Compagnia diretti in America. Uomo semplice e umile, straordinariamente servizievole, tanto rigido con se stesso quanto caritatevole con gli altri, trovò nel suo ufficio quotidiano l’occasione opportuna per esercitare un apostolato continuo ed efficace. Dotato di speciali carismi spirituali, devotissimo di Maria, era molto ricercato per consigli e venerato per la sua santità. Per tutti l’incontro con il santo portinaio era un’esperienza decisiva e illuminante, come nel caso di san Pietro Claver, allora studente nel collegio di Monte Sion: è rimasta celebre la visione che Alfonso ebbe circa il futuro apostolato tra i negri della Colombia dello stesso Claver, diventato poi l’«apostolo degli schiavi». Alfonso ebbe da Dio anche il dono di guarire numerosi malati che gli venivano portati nella portineria o che egli visitava nelle loro case. Il suo ultimo anno di vita lo trascorse a letto tra indicibili sofferenze a causa di dolorose piaghe alle gambe e di calcoli renali. Nelle fasi acute della malattia egli pregava così: «Gesù, Maria, miei dolcissimi amori, fatemi la grazia di soffrire e di morire per vostro amore». E Gesù e Maria gli apparvero più volte per consolarlo dei dolori, delle vessazioni diaboliche e delle aridità di spirito. Alfonso lasciò molti scritti spirituali, redatti per obbedienza ai superiori, che furono pubblicati in tre volumi, dopo la sua morte. Spirò, a Palma di Maiorca, dopo aver pronunciato, con un lungo sospiro, il nome adorabile di Gesù. Morì il 31 ottobre 1617; patrono dei portieri e degli uscieri.
30 ottobre: beata Benvenuta Boiani, nacque a Cividale del Friuli (Udine) nel 1255. Il babbo, che dopo sei figlie aspettava con impazienza un maschio, seppe far buon viso alla settima arrivata, e da quell’ottimo cristiano che era esclamò: «Sia anch’essa la benvenuta!» decidendo che si chiamasse, per questo suo atto di fede, Benvenuta. Nessuna cosa passeggera l’attraeva, e le sorelle non riuscirono mai a piegarla alle vanità mondane. Guidata solo dal suo fervore, e dalla inesperienza della sua giovinezza, si dette a penitenze inaudite. Le apparve allora il santo Padre Domenico da Guzman, rimproverandola severamente dei suoi rigori e imponendole ripetutamente di mettersi per la via regale della santa ubbidienza. Le indicò lui stesso il santo domenicano a cui doveva rivolgersi, il quale la diresse per tutta la vita. Entrò giovanissima nel Terz’Ordine Domenicano, dove imitò nelle veglie e nei digiuni i religiosi dell’Ordine. Ammalatasi gravemente, forse in seguito a tante penitenze, dopo cinque anni fu miracolosamente guarita da san Domenico. Si recò in pellegrinaggio sulla tomba del santo. Tornata in famiglia, riprese la sua vita austera, confortata da celesti favori. Alle sorelle del Terz’Ordine, e soprattutto al popolo, la sua breve vita fu luce ed esempio mirabili. Morì nel 1292, a 38 anni