“Piccola anima smarrita, soave, \ compagna e ospite del corpo \ che ora ti appresti a scendere in luoghi \ ardui e spogli \ dove non avrai più gli svaghi consueti \un istante ancora \ guardiamo insieme le rive familiari \ le cose che certamente non vedremo mai più \ cerchiamo d’entrare nella morte ad occhi aperti”.
Sono le limpide e nitide immagini della profondità meditativa di Publio Elio Traiano Adriano, più semplicemente Adriano, imperatore romano ed eccellente stratega militare, del secondo secolo – nato nella provincia iberica- permeato da multiformi interessi per le belle arti, la poesia, la musica, la filosofia, a cui si dedicò con fervida passione e intenso impegno, sulle tracce dei valori della civiltà di Roma e soprattutto del mondo greco. Sono versi della celebre allocuzione, che l’autore destina alla propria anima -l‘ànemos dei greci, il soffio vitale dell’esistenza corporea- nel presagio della morte vicina. Un colloquio di diretta immediatezza, che plasticamente rappresenta il senso della condizione umana, i cui ritmi sono scanditi dal pendolo, il cui oscillare per impulso ricevuto si spegne ed esaurisce fatalmente ed inesorabilmente nel periodo di tempo più o meno ampio. Come per dire che la nascita è un caso, sotto tutti i profili di condizione e stato sociale, mentre la morte è evento ineluttabile. Una verità, per la quale Adriano dice all’interlocutrice, ma soprattutto a se stesso …. “cerchiamo d’entrare nella morte ad occhi aperti”. Con lucida consapevolezza di sé, della propria limitatezza e senza piatire consolazioni o indulgere ad auto-consolazioni.
L’allocuzione di “Animula vagula, blandula…” costituisce la filigrana, che pervade, ravviva le “Memorie di Adriano”, il romanzo, ch’è anche saggio storico, scritto da Marguerite Yourcenar e pubblicato nel 1951, senza godere nell’immediato di quel largo consenso di lettori e critica, che, invece, ha conosciuto, a giusta ragione, negli anni successivi. Uno straordinario affresco della Roma imperiale, nell’età in cui gli dèi della religione pagana erano già scomparsi dalla coscienza comune e la luce della religione cristiana stentava ad irradiarsi.
La struttura dell’opera della scrittrice francese è articolata in sei capitoli, in forma di epistola, che Adriano, carico di anni ed acciacchi, malato, indirizza al giovane amico, Marco Aurelio, allora diciassettenne, e che, dopo qualche anno, diventerà nipote adottivo e successore al trono. E Marco Aurelio non solo ne sarà degno erede nel buon governo delle province imperiali, ma anche sui versanti del sapere , come attestano l’elaborazione dei famosi e attualissimi Aforismi, distillati di straordinaria saggezza, e, più ancora, i “Colloqui con se stesso”, che, per finezza ed incisività discorsiva e non certo per matrice d’ispirazione, precorrono le Confessioni di Sant’ Agostino.
Marguerite Yourcenar fa rivivere nel suo bel racconto Adriano uomodipotereassoluto, reso eroe di Roma per gli innumerevoli trionfi militari, di cui fu gratificato, ma che avevano le impronte d’infinite tragedie: quelle dei popoli vinti e sottomessi. E’ il principe divinizzato – secondo la sacralizzazione del potere introdotta e voluta da Cesare Ottaviano Augusto– che commisura i fasti della gloria goduta e vissuta nel passato con il proprio presente di uomo, ormai sopraffatto dalle malattie e dalla vecchiaia- senectus ipsa aegretudo, la vecchiaia è per se stessa fragilità- mentre avverte la presenza della morte che incombe sul suo destino.
E’ Adriano, al quale i fregi, gli strumenti e gli orpelli del potere, nei cui “palazzi” s’incrociano falsità, ipocrisie e violenze di ogni genere, non “dicono” letteralmente più nulla. Una condizione, che “umanizza” Adriano, fino renderlo più vicino all’uomo del nostro tempo. Una trama narrata con ritmi incalzanti e convincente scrittura, quella di Marguerite Yourcenar, declinando e rappresentando il pubblico e il privato di Adriano, che, a sua volta, si staglia – pur distinguendosi per il duttile esercizio dell’arte del buon governo e della saggia applicazione della legislazione per i popoli dell’Urbe- sullo sfondo del sistema imperiale romano già alle prese con i primi sintomi del declino e del disfacimento per l’incipiente dissolversi dell’etica pubblica, con cui Roma era cresciuta nella sobrietà dei costumi e di poche, ma cristalline leggi, conosciute e fatte osservare.
L’adattamento scenico e d’interpretazione del romanzo di Marguerite Yourcenar costituisce la rappresentazione, che sarà proposta domenica, sei luglio, alle ore 20,30, dalla compagnia Hypokrites Teatro, per la regia di Enzo Marangelo. Unadattamentoeduna “rivisitazione” della figura di Adriano con linguaggiemodalità di sicura efficacia nel rapportarsi all’uomo contemporaneo, che ha bisogno forte vitale di ritrovare l’essenza del vero e del bello. E’ l’essenza della civiltà classica fiorita nell’antica Grecia e nella Roma repubblicana e dell’impero; quella civiltà, che, connotata com’è da diffuse e capillari radici, sa interloquire con tutte le altre civiltà, generate dall’umanità.
Di forte suggestione la location per la rappresentazione delle “Memorie di Adriano”. E’ l’Anfiteatro romano, adagiato sul declivio pianeggiante dei Monti Avella. E’ la location, in cui s’incontrano l’incanto del monumentale complesso e il bel paesaggio naturalistico circostante. Un evento di qualità, che segue di una settimana la rappresentazione de “ La guerra di Spartaco”, l’originale monologo, interpretato da Peppe Barile, brillante come sempre per la capacità di affabulazione, che magnetizza il pubblico.
La rappresentazione di domenica fa parte dell’agenda delle manifestazioni itineranti, connesse con il “Premio Cimitile”, la rassegna di narrativa, promossa ed organizzata dall’omonima Fondazione pubblica, costituita dalla Regione-Campania, dalla Provincia di Napoli e dalla civica amministrazione della città paleocristiana. Un progetto, quello della manifestazioni itineranti del “Premio” per l’assegnazione dei Campanili d’Argento, che coinvolge la Fondazione Avella Città d’arte, oltre che l’amministrazione comunale della città del Clanio.