“ L’abbandono di un neonato sulla circumvesuviana di Baiano occupa la scena dei quotidiani locali ed è assurto alle cronache nazionali: certo, è un caso eclatante, che destabilizza il quadro dell’armonia composita – e spesso di facciata – delle piccole comunità come zone franche, considerate quasi immuni da siffatte tragicità. Molto più spesso – invece – esso zone di frontiera , luoghi di passaggio. Dove, per l’appunto, poter anche abbandonare un neonato e poi sparire!
E’ successo qualche giorno fa, in un giorno qualunque , tra l’andirivieni quotidiano dei passeggeri e nessuno sembra essersi accorto di nulla! Le forze dell’ordine sono ora allertate. Le ricerche non hanno sosta, ed è’ scattata – fulminea – anche una cordata di solidarietà, che fa onore a tutto il Baianese: sarà il giudice tutelare – salvo ripensamento della madre naturale, entro dieci giorni – a decidere sull’affidamento del neonato.
Ma, io vorrei andare oltre la riflessione – pur necessaria – sul Futuro da destinare a un innocente puntare alla radice, al cuore del problema: laddove – cioè – è scaturita l’ipotesi, la possibilità di compiere un gesto così estremo. Dovremmo interrogarci sul perché alcune cose accadano. E capire cosa ci sia dietro a questi atteggiamenti, che sono espressione di un malessere molto radicato”
“Ora dovremmo tutti fare un po’ di autocritica e cercare una via per ‘riabilitare’ chi ha compiuto tale atto: di certo una madre disperata, spinta a un gesto estremo da condizioni di totale privazione, o perché costretta ad agire così. Donne minacciate, abbandonate, indigenti, madri che compiono un gesto tanto innaturale! Per me non è un caso sporadico, a sé stante : è solo la punta dell’iceberg. Sono sempre più numerosi, nel nostro territorio,casi simili : casi che esprimono, cioè, un profondo disagio sociale!E ciò dovrebbe – finalmente ‘costringerci’ a guardarci intorno, a riflettere con maggiore senso di responsabilità!
“ L’accaduto è un segnale di profondo scollamento tra la gente comune e le Istituzioni, intese nella loro complessità di Enti, Associazioni, servizi sociali: purtroppo, i tagli più cospicui vengono fatti al Sociale. Gli operatori e le Associazioni preposte , spesso, sono carenti perché non hanno disponibilità di fondi pubblici e poco possono fare.
Esiste – purtroppo – una realtà parallela – fatta di ‘ultimi’. Gente che vive ai margini, abbandonata a sé stessa. E ciò accade nell’indifferenza completa di alcune Istituzioni, che dovrebbero – invece – pianificare i fondi per i Piani di Zona sociali, programmare interventi mirati sul territorio, monitorare continuamente lo stato di fatto, che è sotto gli occhi di tutti. Accade che, al contrario, le strutture di accoglienza sono sempre più carenti e spesso non c’è personale adeguato all’accoglienza e all’assistenza sociale. Per la gran parte, l’insolvenza è istituzionale. E ripeto, non in riferimento agli Enti locali o alle associazioni di volontariato o del settore: la carenza, il deficit, è strutturale. Fa capo a Regioni, Ministeri, organi dello Stato: grandi apparati, ma incapaci di programmare in maniera capillare gli interventi sul territorio. I fondi statali sono – spesso – impiegati per settori apparentemente ‘produttivi’ : sembra che poco o nulla sia riservato alla cura delle fasce più deboli.
E’ questione di cultura, di etica e modelli di comportamento: riferimento a valori che sembrano sempre più vacillanti. Purtroppo – di riflesso – viviamo tutti un po’ una condizione di isolazionismo. Siamo immersi in un mondo tutto nostro: ognuno per sé. Preso dai propri egoismi e chiuso in un circuito individualista, che poco o nulla lascia all’ascolto, all’accoglienza dell’altro. Ecco perché una persona disperata – che non vede alcuna via d’uscita, che non si sente protetta o tutelata da una benché minima forma di assistenza sociale- può essere spinta a ritenere l’abbandono di un figlio la cosa più giusta, più normale da fare : perché, magari, questa persona non ha altra scelta da poter fare per proteggere la Vita di suo figlio.
Questa non è – in alcun modo – una forma di giustificazione per chi ha compiuto un atto tanto scellerato. E’ solo una riflessione che va al di là della facciata, di ciò che ora si sente e si vede. Nessuno, secondo me, può infierire con giudizi avventati: dovremmo solo contribuire – tutti – a fare in modo che la nostra società sia più attenta e rispettosa del Dolore, vicina a chi soffre.
In questo caso – io credo – dovremmo fare di tutto per ricomporre il nucleo familiare originario. E, se possibile, ritrovare la madre e convincerla a riprendersi il bambino, garantendo a lei una possibilità di inserimento lavorativo e la vicinanza costante delle Istituzioni : la garanzia di un’assistenza sociale continua, capace di far ritrovare alla madre e al figlio una condizione di serenità e benessere psicofisico. Solo così si potrebbe- secondo me- non solo evitare il dramma di una separazione forzata. Ma anche, sottrarre un innocente a un destino di ricerca continua di chi lo ha generato. E una madre dalla condanna di un rimorso perenne. Ora dovremmo fare appello corale a chi – in Regione e in Parlamento – potrebbe meglio rappresentare i problemi del nostro territorio: le Istituzioni debbono dare spazio a chi voce non ne ha. A chi non ha forza di farsi ascoltare: molte sono le condizioni di emarginazione e di precarietà, nel Baianese e in tutta l’Irpinia. Non serve e non basta calamitare l’attenzione su un caso per un po’ e poi sparire: bisogna andare alla risoluzione del problema dalle sue origini! Chi ha il potere di farlo, intervenga – dunque – e dedichi attenzione, energie e risorse, capitoli di spesa al Sociale: perché una classe dirigente che non ha cura delle fasce più deboli, è destinata a durare poco.”