di Antonio Caccavale
Se c’è una questione che più di ogni altra, in questi giorni, sta caratterizzando il dibattito politico italiano, è quella della volontà di alcuni cosiddetti governatori di ripresentare la propria candidatura nonostante abbiano già espletato almeno due mandati. L’annunciata volontà di Vincenzo De Luca a ricandidarsi per la terza volta consecutiva alla presidenza della Giunta regionale della Campania e l’analoga intenzione espressa da Luca Zaia, che di mandati di presidente dell’esecutivo veneto ne ha già espletati tre, sta creando non poche difficoltà ai partiti di governo e a quelli di opposizione.
Per dare più forza alla sua ferma determinazione di ricandidarsi, Vincenzo De Luca è ricorso alla sua nota e colorita fraseologia, con l’intento di far passare l’idea che a Roma c’è qualcuno che ce l’ha con lui e quel qualcuno altri non sarebbero che quelli che lui definisce cacicchi. Ma chi sono i cacicchi di Roma e di quale azione poco lecita si sarebbero macchiati?
Intanto, cerchiamo di capire chi sono (stati) i cacicchi.
I cacicchi, al tempo in cui gli spagnoli occupavano l’America centrale, erano dei capi indigeni che esercitavano il loro potere su determinati territori. Il dizionario De Mauro, alla voce cacicco, aggiunge che, oggi, con quel termine oggi si vuole indicare colui che detiene il potere, avendolo conquistato con metodi illeciti.
Alla luce di quanto ci dice il succitato dizionario, qualcuno potrebbe essere indotto a pensare che la ferma presa di posizione del Partito democratico a non consentire a De Luca di ripresentarsi candidato alla guida della Giunta della Campania sia da attribuire ad un atto di prepotenza da parte di chi, senza averne titolo, ricopre illecitamente la carica di segretario politico del Pd. C’è anche chi potrebbe sospettare che la contrarietà alla terza candidatura consecutiva di De Luca sia frutto di un incomprensibile pregiudizio o di una ostilità personale nei confronti del “governatore” uscente.
In realtà la posizione del Pd è, molto più semplicemente, legata a quanto prevede la legge n° 165/2004 recante i principi fondamentali che concernono il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale, nonché dei consiglieri regionali.
In particolare, il comma 1 lettera f dell’articolo 2 di quella legge prevede la non immediata rieleggibilità allo scadere del secondo mandato consecutivo del Presidente della Giunta regionale eletto a suffragio universale e diretto. In altri termini, stante la norma vigente, un eventuale terzo mandato di un Presidente che abbia già ricoperto la carica per due mandati consecutivi è illegittimo.
Qualcuno potrebbe obiettare che non è affatto giusto né conveniente impedire ad un cosiddetto “governatore” che abbia ben amministrato di continuare a farlo anche per un terzo, quarto, quinto mandato.
Ma così ragionando si rischia di darla vinta a chi ritiene che in Campania, come nel Veneto o in Friuli Venezia Giulia, non ci sia un’altra persona, diversa dall’attuale presidente, capace di amministrare bene. Piuttosto, è il caso di chiedere ai diretti interessati, cioè ai cosiddetti governatori, se ritengono che la loro pretesa di volersi ripresentare, contravvenendo ad una norma dello Stato, non sia la manifestazione più plateale, tipica dei cacicchi, di non voler rinunciare ad esercitare un potere personale, tutto accentrato nella propria persona.
Per chi non lo sapesse o per chi fa finta di non esserne a conoscenza, sulla questione del limite dei due mandati consecutivi c’è stata anche una pronuncia della Corte costituzionale, che ha ritenuto ammissibile la previsione di limiti al diritto di elettorato passivo, purché tali limitazioni siano previste da norme di legge generali al fine di realizzare altri interessi costituzionali e purché si tratti di limiti razionali.
La limitazione, prevista dalla summenzionata legge del 2004, ha lo scopo di “assicurare la libera espressione del voto popolare e di evitare che il Presidente possa, in forza dei suoi poteri e di una carica eccessivamente protratta nel tempo, alterare la pari opportunità fra candidati”. Infine, il limite appare ragionevole in quanto la norma riferendosi alla non immediata rieleggibilità non prevede un limite assoluto ma richiede un intervallo di tempo tra la fine del secondo mancato consecutivo e l’inizio del terzo.