recensione di Cinzia Demi
Ragionare su questo libro e decidere se accoglierlo o meno, se accontentarsi di una facile, veloce lettura e abbandonarlo o se trovare i nervi scoperti del pensiero e del corpo che, inevitabilmente, vengono scalfiti da così tanto ardore – e ardire – da così tanta potenza, e per certi versi, violenza espressiva, tanto espressiva da non distinguere l’immaginario dal reale: questo è il dilemma che si insinua nel lettore che affronta i versi di Valentina Neri, voce, senz’altro, spiazzante, che sferra colpi quasi mortali con il suo dire poetico ma che, proprio per questo, va ascoltata e percorsa… come strada alternativa al comune sentire.
Già dal suo inizio il libro propone momenti di un cammino interiore che ripercorre esperienze forti e provocatorie, che pur avendo come base la consistenza del dolore e del ricordo, per certi momenti vissuti che ritornano, riescono già a far presagire ciò che verrà nelle pagine successive. Il Relittuario che la Neri ci propone ha di fatto subito un qualcosa di pericolosamente ambiguo al suo interno – già la parola relitti ha a che vedere con un’atmosfera residuale, fatta di scarti, di umiliazioni – ha a che vedere con un qualcosa di sfuggente e comunque intrigante, innescandosi in quella dimensione tragicamente farsesca di un certo Mattia Pascal che – qui – vorrebbe provare a sparire una sera/senza lasciare traccia per fare in modo, dice l’autrice, di essere compresa: affinché, un giorno, capiscano di me/quello che sfugge adesso. Dal desiderio di sparire, alla curiosità di morire il passo è breve e la dimensione della propria invisibilità si avvale soprattutto del supporto, della presenza di oggetti che diventano per la maggior parte correlativi oggettivi della situazione, del sentimento – quasi sempre ammantato di sfida o di resa – come più avanti vedremo maggiormente espresso. L’oggetto dunque, la cosa, il feticcio s’imprime di essenza umana, ne diventa il testimone evocativo, l’innesto del cortocircuito che non si scinde con il corpo, con l’anima. E anche i fiori, le Margherite-fleurs du mal per l’occasione, sono il tramite per cancellare la presenza di un Dio assente che si è perso con i petali nel vento della fanciullezza.
Il cuore del libro è fatto di due momenti, che viaggiano paralleli nella loro singolare vicinanza, nel loro innesto in un realismo contemporaneo che si fa lirica, abbandonando le modernità dell’astratto.
Il capitolo Inesistenze raccoglie una galleria di personaggi – anch’essi relitti del genere umano – che non cercano rinascite o resurrezioni, e che vengono proposti per quello che sono, per quello che sentono e che continuano ad accettare nella loro vita – si potrebbe pensare – senza alcuna possibilità di riscatto. L’accettare, il raccontare, il consapevole raziocinio di vivere al margine, nella sporcizia fisica e morale, nell’impossibilità di scampo che investe tutti, adulti e bambini, uomini e soprattutto donne è il filo rosso del reportage: le sposine dagli occhi nero pesto/vivono dal principio per la fine/e con le coscette insanguinate/abbandonano il feretro nunziale/per correre felici ad immolarsi/vero ben altro altare […]; le bambine bruciate nel prato: “Hanno bruciato la bimba nel prato/apri il link per essere informato”; le donne rapite e costrette ai matrimoni: Un cielo ammaliato ti ha voluto sposa/ma tu abiura, creatura sensibile, l’oblio/sconfessa per un attimo l’addio; le madri dei figli drogati: E oggi che per sua scelta/sono io la sua mamma/mi gratifico di un ruolo inconcepito/pur senza speranza alcuna di arrestare/il suo volo nel baratro […].
Ma è nel capitolo Il domatore che si scopre l’ultima tappa di un percorso poematico, dove si è passati dal ricordo legato agli oggetti-feticci, al resoconto-confronto di consapevolezze di vite al margine, e dove si arriva alla resa dei conti con il corpo stesso della protagonista, che in una sorta di gioco che si fa sempre più estremo, si rapporta con un erotismo dalle sembianze di un contenitore punitivo e graffiante e, pur tuttavia, realizzazione di un desiderio che raggiunge il sublime proprio nelle forme più invasive di sadismo, accolto come liberazione da quei feticci-zavorra, incontrati a inizio libro, desiderato come forma d’amore puro e necessario, raggiunto nell’incontro con l’altro che nell’atto del domare dona un’infinita quiete all’anima ribelle. Certo quest’ultimo atto non arriva gratuito: è necessario frazionarsi con gli elementi della natura, forgiarsi con la rassegna mineralogica, vivisezionare il corpo per poi espanderlo negli ambienti vissuti di una casa-materia-anima per dar vita a una nuova esistenza, a due nuove esistenze che si completano nell’amplesso finale, in un letto simbolo che ricorda il letto intagliato nell’Ulivo, talamo d’amore indissolubile tra Ulisse e Penelope, punto di ripartenza per il futuro, ancora insieme – per restare nell’ambito metaforico dell’Odissea ripreso da Claudio Damiani a conclusione della sua nota di prefazione al libro, quando afferma che la nuova vita dei due amanti sarà certo fatta di soddisfazione e sofferenza. “Si tratta di navigare in mezzo alle tempeste, una minuscola zattera sopra l’abisso. Come fece Ulisse quando lasciò Calipso, per ritrovare la sua casa”.
Valentina Neri è nata nel 1973 a Cagliari, città in cui vive e lavora nel settore sociale. Laureata in Storia dell’Arte con tesi di laurea su Maria Lai, è nota come organizzatrice di eventi, mostre, reading e manifestazioni culturali in luoghi insoliti. Per Arkadia, nel 2013 ha pubblicato il romanzo Le donne di Balthus finalista al Premio «Alziator» nello stesso anno. Con la raccolta Voli Inversi, edita sempre da Arkadia nel febbraio 2015 e presentato per la prima volta a Cagliari dal poeta Davide Rondoni che ne ha firmato la prefazione, ha partecipato al Festival Internazionale «Cabudanne de sos poetas» di Seneghe. Con l’associazione «Il Grimorio delle Arti», di cui è presidente, ha ideato e realizzato la rassegna poetica Per certi Versi con ospiti di rilievo nazionale come Claudio Damiani, Franca Mancinelli, Franca Grisoni e tanti altri ottenendo numerosi consensi. I suoi libri hanno riscosso ampi apprezzamenti e riconoscimenti da importanti intellettuali come Maria Luisa Spaziani, Dante Maffia, Guido Oldani, Alberto Bevilaqua, Silvio Raffo, Claudio Widmann, Gianni Caverni, Elisabetta Longari e Filippo La Porta.