di Gianni Amodeo
Aveva la battuta ironica,facile e garbata, Mario De Laurentiis, prendendo spunto da eventi che filtrava e dilatava con quella speciale lente narrante che trasforma gli umani microcosmi, da cui è punteggiato ogni angolo di Terra, in dimensioni da “Strapaese”, trasformandoli in storie con persone e personaggi che vivono della loro unicità esclusiva arricchite di una buona dose di fantasia o dalla lettura dei giornali sulle più disparate vicende di cronaca comune o di politica in generale, che setacciava e interpretava con spiccato senso di quell’arguto disincanto che gli derivava dalla conoscenza dei proverbi popolari, antichi e sempre nuovi per popolarità, che ti spiattellava in dialetto nostrano. E tutto si riconduceva al senso dei proverbi, ineguagliate e ineguagliabili fonti di saggezza indiscussa e indiscutibile.
Socievole e franco di cerimonie, quando era necessario e opportuno, Mario sapeva essere- e lo era per vena innata- un intrattenitore gradevole, tenendo … banco nel Circolo L’Incontro, nei tempi in cui, il Coronavirus, non ancora si era insediato da tiranno cupo e spaventoso che tiene sotto scacco tutti; teneva banco, Mario, o che si dedicasse alle serali e lunghe partite di scopone scientifico, o che seguisse da spettatore le partite di bigliardo, “pizzicando” questo o quello … scienziato del panno verde o che tirasse alla grande, da “tifoso” di fede inossidabile, la celebrazione dei meriti e del valore del “suo” Napoli. Una passione, quella per gli azzurri, che lo portava spesso e volentieri ad incrociare gli strali della polemica scherzosa con il buon Peppino De Rosa, la guizzante ala destra-turbo che fece furore nel Baiano, per approdare nel Cral Cirio e nel Sagittario Pomigliano, versione quarta serie semi-professionista, a cavallo dei ruspanti anni ’50 e ’60, rigogliosi di belle speranze. E, neanche a dirlo Peppino, è pur sempre l’anti–Ciuccio per antonomasia, tetragono ammiratore delle “grandi” del calcio Made Nord.
Mario apparteneva ad una famiglia numerosa, che ha sempre abitato in via Libertà, nella parte alta del tessuto urbano che incontra la Statale della 7–bis, dove gestiva un importante e vasto sito di stoccaggio per la commercializzazione del legname; famiglia che per generazioni ha praticato l’ industria boschiva, sia sulle dorsali appenniniche del Piccola e Grande Sila, in Calabria, sia su quelle dell’Alta Irpinia sull’asse Montella, Lioni, Nusco, Bagnoli, sia in Bassa Irpinia, nella cornice dei Monti Avella e del Fellino con proiezione sul Matese, sia tra i Monti della Sardegna e della Corsica.Era la geografia del lavoro, che veniva vissuta da tanti lavoratori e imprenditori del territorio in folta e compatta filiera, specie di Mugnano del Cardinale, Sirignano e Baiano e “di tanti \ che mi corrispondevano \ non è rimasto \ neppure tanto”… echeggiando il caro Giuseppe Ungaretti dell’incisivo e nitido verseggiare cosmopolita; una geografia del lavoro che Mario fin da ragazzo aveva percorso in tutte le varianti possibili ed immaginabili nella fatica della quotidianità.
Poi, la svolta, quando l’industria boschiva non assicurava più la certezza e la continuità del lavoro di un tempo, a fronte dei mutamenti di stili di vita e dei consumi sociali. E Mario seguì, insieme con il fratello Pasquale, la scelta di Armando, fratello prematuramente scomparso e a lungo amministratore comunale, che, una volta congedatosi dal servizio nell’Arma, aveva impiantato ai Ponti Rossi, a Napoli, un’azienda dedita alla produzione di tappeti in gomma per auto, con mercato in ascesa tra gli anni ’60 e ‘80; azienda, successivamente trasferita nell’area industriale di San Vitaliano, conservando l’insegna di Gommificio del Sole, l’attuale concisa sigla-acronimo Gds, specializzata nella produzione originaria di tappeti e di accessori d’auto e auto motive, di cui aveva assunto la guida, ora affidata al figlio, Stefano, dinamico imprenditore, impegnato in modo proficuo nel sociale, con la forte passione per la storia e le tradizioni locali, di cui predilige raccogliere e collezionare cimeli,atti e documenti.
Mario era, tuttavia, restato sempre legato visceralmente al mondo dei boschi praticato da ragazzo, al circuito virtuoso del lavoro che avevano sempre assicurato alle famiglie. E l’associazione di quel mondo virtuoso con il folclore dei Mai, innescata nelle manifestazioni di conoscenza e studio dei Mai d’Argento, di cui sono protagoniste le comunità scolastiche del territorio, la condivideva ed apprezzava in pieno. Una combinazione che valorizza la storia del lavoro e dell’economia con il senso del culto arboreo così come si pratica da qualche secolo proprio sul territorio, con sobrietà d’usi, senza ancestrali richiami mitici e mitologici, del tutto impropri e lontani da quelle che potevano essere- ed erano- le conoscenze delle comunità, il cui vissuto era ancorato alla semplicità degli schemi mentali, ispirati dal lavoro in agricoltura, nei boschi e nella pastorizia e. Ma il suo cruccio maggiore era dato dalla condizione in cui versano i boschi dei Monti Avella e del “suo” Arciano, il Grande bosco degli usi civici della comunità baianese; una condizione d’abbandono diffuso e generalizzato, mentre le antiche cure che gli venivano dedicate dalla mano umana, sono ormai uno sbiadito ricordo. Ne avevamo parlato qualche mese fa per telefono.
E la sua amarezza maggiore era data dalle modalità, con cui si praticano nell’ oggi della fretta e della superficialità i tagli dei boschi cedui, affidati a manovalanza generica, per lo più rumena che nulla conosce e sa dele buone pratiche e metodiche colturali, che assicurano la normale rigenerazione naturale dell’armonia che vive nei boschi,assicurando l’habitat alle specie animali viventi, soprattutto all’avifauna ormai inesistente, cancellata e annientata dall’improvvido e selvaggio uso di fitofarmaci e anti-parassitari con cui si irrorano i terreni a valle, contaminando ed avvelenando irrimediabilmente l’aria; quell’armonia che,invece, era interiorizzata,come componente esclusiva del Dna, dalla “gente dei boschi” nel tempo andato, in ossequio anche a disciplinari rigorosi e ben scritti da amministratori comunali accorti e dotati di solide conoscenze di Diritto e dei fondamenti dell’Agronomia; disciplinari, sulla cui applicazione sovraintendevano al meglio e con scrupoloso controllo le “Guardie boschive comunali”, in stretta collaborazione con quello ch’è stato il Corpo forestale dello Stato. E confidava, Mario, nelle nuove generazioni, perché si rinnovasse il vero amore per la natura e i boschi da restituire alle belle colture arboree di pregio d’un tempo.
Mario aveva varcato la soglia degli 81 anni nelle scorse settimane, nell’affetto e nel calore dei più cari congiunti. Di lui resta il ricordo di una vita ben spesa nel lavoro, nella socievolezza dei rapporti con amici e conoscenti, nel raccontare storie storielle di varia trama. Ai famigliari, giungano i sentimenti di cordoglio della direzione e della redazione del giornale.