
di Gianni Amodeo
Per un verso, la scena s’intesse e vive delle storie di quattro donne, accomunate dalla mezza età che trascorrono in calma routine con pochi sussulti, e della storia di un‘altra di pari condizione anagrafica, la quinta donna, a se stante e onnipresente, che delle altre introietta e assume in sé il vissuto, appropriandosene e rispecchiandone l’essenzialità in un processo di diffusa mimèsi, pur nella varietà di sfaccettature, umori e atteggiamenti con cui nella realtà si identificano e connotano. E’ il vissuto, che si riflette e manifesta in un mix di aspirazioni e speranze appagate, ma anche, e più spesso, mal riposte, che finiscono per essere sminuzzate e strozzate, segnate da profonde inquietudini e tormentate sofferenze che diventano laceranti e irrecuperabili frustrazioni. Una deriva incontenibile, che, in genere, sfocia nel lasciarsi andare agli eventi, subendone passivamente gli effetti, senza alcun reazione e senza riuscire a conciliarsi con la dignità e il decoro del proprio essere umano.
Per l’altro verso, a tenere la scena sono le storie che le stesse quattro donne vivono, ciascuna, in autonoma singolarità, con la pienezza dei loro sentimenti e pensieri nelle relazioni famigliari, lavorative e sociali, affrontando i percorsi della personale esistenza, quasi sottoponendosi nella quotidianità ad un esame permanente con sé stesse, in forma di riscoperta e conferma della propria autentica identità. E sullo sfondo, s’innerva la presenza della stessa quinta–donna che, tuttavia, appare avulsa ed estranea ad ogni forma di mimési con le altre.
Storie femminili in doppio registro. Dorotea, misteriosa e ineffabile
E’ il doppio registro idealizzato, che riverbera sottigliezze di introspezione psicologica,- andandosi ad infilare persino nei tortuosi e complicati percorsi della psicoanalisi,- espresse e raccontate con scrittura piana e significativa, in aderenza con gli stili e i comportamenti delle donne poste in scena, sui fili della plastica dimensione realistica. E, d’altro canto, risalta in chiara evidenza e dispiegata a largo raggio la valenza metaforica, di cui sono portatrici le cinque donne, come per tratteggiare e disegnare le distinte e mutevoli modalità funzionali delle cinque dita della mano. Sono le modalità, la cui riproduzione, a sua volta, costituisce la chiave ispiratrice dell’originale architettura dell’impianto scenografico, in cui è ambientato e vive l’intero racconto. Una scintillante folgorazione inventiva, per un racconto teatralizzato in bell’intensità, nel cui tessuto s’innesta e vibra l’intrinseca efficacia degli intermezzi di brani musicali dedicati, proposti da tre musicisti, con le tonalità di due violini e di un violoncello, mentre guizzano e rifulgono le luci in libero gioco, alternandosi con il buio che cala improvviso. Un sorprendente e suggestivo incrocio tra musica, luci e ombre tenebrose, come per marcare l’azione in corso, con timbri didascalici la rappresentazione in divenire sul palcoscenico.
E’- questo, per chi scrive le presenti noticine- il senso della leggibilità, che fa da ancoraggio alle pagine di Donne, il testo ch’è stato rappresentato in anteprima nello spazio teatrale dello splendido e magnifico Somsi, l’acronimo che corrisponde a Società operaia di mutuo soccorso e istruzione, che vanta oltre un secolo e mezzo di storia di attiva e proficua cooperazione civile, produttiva e culturale a servizio della comunità di Gozzano, in provincia di Novara, in Piemonte. In sostanza, quella di Donne, costituisce corposa e variegata traiettoria tematica, che salda il vissuto di Gelsomina, Jenny, Maria, Eva e Dorotea, così si chiama la quinta donna, che non vorrebbe invecchiare mai.
Una traiettoria narrativa, in cui spicca, commuove e turba la vicenda di Maria – nome di universale e forte caratura identificativa che simboleggia e tramanda i valori della maternità nella visione cristiana,- madre per amore e forte spirito di tolleranza, permeata di ferme e convinte idealità umanitarie che si trasforma, però, in una Medea moderna. E’ il personaggio di Euripide, proiettato sullo scenario dei nostri confusi giorni, che matura la decisione di uccidere il figlio che le è nato dalla relazione vissuta e nella quale ha profondamente creduto, con uno dei tanti migranti provenienti dai Paesi del mondo sottosviluppato, approdato a Lampedusa su uno dei soliti barconi di speranza e, più spesso, di morte.
Maria, la Medea dei nostri giorni
La molla della metamorfosi nella Medea moderna scatta in Maria, quale effetto dell’intolleranza, generatrice di odio, venata di jihadismo, sempre più esplicita e dichiarata in quelle modalità woke che contemplano il ripudio di tutto ciò che l’Occidente, ha concorso e concorre a rappresentare, nell’itinerario dell’umano incivilimento. Sono le modalità woke, con cui l’uomo amato angustia e assilla Maria in tutte le possibili occasioni della quotidianità, per relegarla nelle anguste ristrettezze dell’habitat domestico, umiliandola anche nello spirito religioso d’ impronta cristiana che la donna professa. Un sistematico atteggiamento, che, di fatto, nega e impedisce a Maria di vivere la propria vita con spirito di libertà, tanto da indurla a maturare la decisione di trasformarsi nella Medea della Lampedusa contemporanea. E’ l’intolleranza, che, con il suo atto di tragica violenza, Maria, novella Medea, è convinta di esorcizzare e rimuovere del tutto, impedendo che possa evolversi, svilupparsi e vivere nel figlio, ad imitazione del padre, portatore d’intolleranza ideologizzata che genera odio totalitario verso l’altra e\o l‘altro che vivono altre visioni ideali del mondo, di segno laico o religioso che siano. E’ la convinzione che induce Maria a sopprimere la vita del delicato frutto del suo amore, per sottrarlo al destino d’intolleranza e d’odio, a cui non potrebbe per nulla sottrarsi.
In realtà, la trasfigurazione di Maria, la Madre di Gesù, la Mater per antonomasia e valore assoluto, nella Medea dei nostri giorni, fissa un utile squarcio, seppure bisognevole di approfondimenti, che favorisce un approccio di penetrante cognizione sul testo di Franco Scotto, proposto al Somsi di Gozzano. Una rappresentazione realizzata dalla Compagnia teatrale Palmari Padoan, con l’interpretazione dell’eclettica Natasha Padoan, nella raffinata e puntuale attitudine per la compiuta esplorazione delle metafore così come sono incastonate nelle pieghe delle vicende delle Cinque donne del dramma. Di certo, un’ eccellente rappresentazione, per la regia di Alessandro Sorrentino, salutata dalla positiva accoglienza di pubblico e critica.
Itinerario di quarantennale dedizione all’arte scenografica
E’, quello del Somsi, un riconoscimento meritato per Franco Scotto, che non deriva dal caso o da concessioni benefiche dall’alto, di cui godono, tanto per dire, i destinatari di favoritismi clientelari di ascendenza partitica e partitocratica o di appartenenza a potentati famigliari di profilo economico- finanziario, e via percorrendo e praticando corruttele e affarismi in vario assortimento criminoso e criminogeno. Tutt’altro. Del resto, il Teatro è un genere d’arte espressiva, su cui il giudizio del pubblico è unico né è suscettibile di condizionamenti di favore e comodi compiacimenti. E’ una vita, quella che Franco Scotto, veleggiante ormai verso i 60 anni, viene dedicando con immutata costanza ai linguaggi e alla cultura dell’arte teatrale, andando a ritroso per calarsi negli anni liceali del Medi, a Cicciano. Una scelta di passione, diventata progressivamente scelta di impegno socio- culturale e di professionalità lavorativa.
Una scelta, alla cui fonte di profilo universitario– accademico, figura la Laurea con corso di studi triennale in Lettere moderne, con tesi, elaborata, a suo tempo, sull’opera artistica di Mario Schifano, mentre tra fine maggio e giugno prossimo Franco Scotto discuterà la tesi in Semiotica, già presentata nei competenti uffici della Federico II, per conseguire la Laurea magistrale in Lettere. Argomento di trattazione, Edoardo De Filippo e la messa in scena di Natale in Casa Cupiello, come costruzione di un presepe di “morte”. Un approccio insolito e sorprendente, che scaturisce da un punto di vista del tutto nuovo ed originale, nell’approfondita ricognizione di una delle più conosciute e popolari opere del teatro edoardiano. E, per completare il background universitario-accademico, vanno citati in sequenza i Master in Teatro e Pedagogia, Drammaturgia e in Sceneggiatura, conseguiti rispettivamente, al Suor Orsola Benincasa , alla Scuola europea dell’attore e al Polo– Tracce.
Titoli accademici a parte, a dare consistenza e portata valoriale, come avviene in tutti gli ambiti del vivere sociale, è il lavoro che si realizza con congrue e proficue ricadute. E’ il lavoro tradotto in iniziative, opere e attività di generale e positiva utilità civile. E sotto questo aspetto, le … 15 pagine del curriculum di Franco Scotto parlano chiaro, illustrando 40 anni di iniziative, attività e progetti formativi delle più varie tipologie nelle Scuole, dagli Istituti comprensivi ai Licei e Istituti tecnici superiori in Campania e in altre regioni. Molteplici e interessanti le esperienze maturate negli Istituti di pena, per rendere il Teatro veicolo di emancipazione e crescita civile. E senza dire della miriade di arrangiamenti e adattamenti in riscrittura di testi del Teatro greco classico, portandoli in scena con ragazze e ragazzi in tante Scuole, con straordinari successi in Festival regionali e nazionali. Un bel campo di presenza, in cui si collocano qualificate esperienze in programmi-Rai. Ma tutto ciò, appena citato, è soltanto il minimo che si possa estrarre dal dovizioso curriculum che Franco Scotto può vantare, con ampiezza di merito, perché acquisito e conquistato in campo aperto. Un curriculum di persona che ha sempre creduto in se stesso e nella propria attitudine al fare, anche affrontando situazioni delicate, come quelle della morte dei genitori, Stefano e Gilda, e l’esperienza della libreria in Corso Garibaldi. Un tracciato, in cui un ruolo speciale spetta, però, alla Cooperativa sociale di produzione, la Proteatro, un presidio formativo e culturale che onora il territorio e di cui Scotto è un animatore. Una realtà, tutta da conoscere, per la quale si sperimenta il valore del lavoro che genera la cultura.
E l’8 maggio prossimo ospite de L’ Incontro sarà Franco Scotto, per sviluppare un Focus sulla sua esperienza di autore e regista teatrale e sul mondo–Proteatro. Un approccio che sarà del tutto innovativo per le modalità, con cui sarà strutturato.