Quando, circa un mese fa, ho deciso di aprire questa rubrica ero molto scettica. Non avrei mai pensato che le mie testimonianze potevano arrivare al cuore della gente e aiutarle (nei limiti del possibile) a liberarsi dalle catene del silenzio. Sono molte, infatti, le persone che mi contattano per raccontarmi di come il “Male” le abbia ingiustamente travolte e segnate ma da cui sono riuscite, fortunatamente, a liberarsi, come ha fatto la protagonista di oggi.
Lei è Monica di Napoli e preferisce non dare molte informazioni sulla sua vita personale. Monica mi ha contattata dopo aver letto l’articolo pubblicato Mercoledì scorso, quando con la testimonianza di un’altra vittima ho parlato del Bullismo. Il Bullismo ha travolto anche lei, ma oggi è solo un lontano e triste ricordo che, con un velo di malinconia, ha deciso di raccontare con la speranza di essere d’aiuto a tante altre vittime e dare loro il coraggio e la forza ” per dire stop!”. Vi riporto di seguito il racconto di Monica.
“Mi chiamo Monica e abito in provincia di Napoli. Ho deciso di rivolgermi a questa rubrica per raccontare brevemente la mia storia. Sin da piccola sono sempre stata molto taciturna e pensierosa perché figlia di una donna nevrotica e molto depressa che non ha mai creduto in me e nelle mie potenzialità, facendomi sentire sempre “troppo poco”. Questo “non rapporto” con mia madre mi ha segnata anche nei rapporti interpersonali infatti, all’inizio, non riuscivo a socializzare a fare amicizia con gli altri e questo mio essere introversa ha portato i miei compagni, sin dai tempi dell’asilo, ad additarmi come la “SOGGETTONA” della classe. I problemi, veri e propri, iniziano alle scuole medie. Nessuno mi guardava in faccia o si avvicinava a me perché, a dire loro, PUZZAVO! Una cosa molto brutta che ricordo è che mettevano i giubbotti molto distanti dal mio sull’ attaccapanni; il mio giubbotto era quasi la metafora della mia vita: solo e lontano da tutti. I miei “compagni” di classe separavano il loro banco dal mio e durante i viaggi di istruzione era un “a chi tocca ‘sta patata bollente?” e solitamente in camera restavo da sola. Per i miei professori non vi era bullismo: ero io l’asociale, io che avrei voluto parlare con loro, fare merenda con loro e non da sola come un cane, io che avrei voluto ricevere affetto, niente di più. Anche la condizione sociale era motivo di esclusione e derisione. Nella mia classe, infatti, vi era il figlio di un noto politico e tutti, docenti e alunni, pendevano dalle sue labbra ed io “figlia di nessuno” che porto il cognome di mia madre non ero degna di stare con loro. Alle superiori la situazione non è cambiata, anzi! Io non ho scelto l’istituto in cui continuare gli studi in base alle mie attinenze ma in base al minor numero di bulli da cui potevo essere “bersagliata”.
Il primo giorno di scuola ero terrorizzata: “vicino a chi mi siedo”? “Mi prenderanno ancora in giro”?. Nel banco continuai a restare da sola ed il mio nome continuava ad essere associato al TANFO, cambiarono solo i bulli anzi aumentarono. Oltre ai miei compagni di classe, alcuni me li portavo dietro dalle medie, anche alcuni tra i miei insegnanti si prendevano gioco di me. La mia insegnante di inglese, infatti, mi consigliò di curarmi un po’ di più e quando gli altri si otturavano il naso, avallava quel comportamento squallido sorridendo ed esordendo con un “aprite tutte le finestre!” Tutto questo scempio è andato avanti per anni fino a quando una ragazza della mia stessa classe, forse stanca di fare gruppo con le altre o forse perché si era accorta che in realtà non avevo commesso nulla per meritarmi tutto quello, si avvicina a me, parla con me, mi ascolta cose ordinarie ma che a me apparivano estremamente straordinarie. Ancora oggi non riesco a capire quale sia stata la fonte di cotanta indignazione ma adesso è tutto passato e grazie alle persone che mi hanno capita, ascoltata, quelle che sono rimaste impermeabili alle voci di corridoio sono uscita vincente da questa brutta storia e spero che tutti quelli che stanno vivendo il mio stesso dolore possano liberarsene”.
Il racconto di Monica mi ha davvero toccata, l’immagine di una ragazzina isolata da tutti nei banchi di scuola mi strazia. La scuola dovrebbe essere non soltanto il luogo in cui poter riempire il nostro bagaglio culturale ma anche e soprattutto il culo in cui “metter su famiglia”, una seconda famiglia (per alcuni la prima, purtroppo!) quella a cui rivolgersi quando le cose tra mamma e papà non vanno bene, quella a cui raccontare una cavolata fatta, quella con cui ridere, scherzare e passare gli anni più belli che la vita ci ha riservato ed in tutto questo non c’è davvero spazio per il bullismo, per l’esclusione ed il male in generale. Il Bullismo non è un fenomeno passeggero e non deve essere preso sotto gamba. Il bullismo deve essere ostruito con manifestazioni varie, ascoltando le vittime, educando i bulli e, perché no?!, approvando provvedimenti legislativi come è avvenuto per la regione Lazio.
Vi aspetto Mercoledì.