di Carlo Ebanista
Forse non tutti sanno che nel complesso basilicale paleocristiano di Cimitile il culto del Protomartire è documentato da oltre 450 anni. Quando nel 1551 il vescovo di Nola, Antonio Scarampo, si recò in visita al santuario, tra le altre chiese, trovò infatti quella di Santo Stefano, allora dedicata anche al Crocifisso. L’edificio di culto era stato costruito anteriormente all’alluvione degli inizi del VI secolo che seppellì gran parte delle strutture del complesso, ma non sappiamo se venne dedicato sin dall’inizio a Santo Stefano, le cui reliquie erano state rinvenute a Gerusalemme nel 415.
A Cimitile, la doppia intitolazione al Protomartire e al Crocifisso rimase in uso sino al 1630, allorché la basilica era conosciuta anche come chiesa dell’«Incoronata» per la presenza sull’altare di un’icona della Vergine; la devozione per questa immagine, forse corrispondente al simulacro documentato sin dal 1615, sostituì quella per il Crocifisso. Del resto, proprio dal 1615, allorché la basilica era officiata due volte alla settimana grazie alle elemosine dei fedeli, è attestata la consuetudine di celebrare solennemente la Natività della Vergine, l’ 8 settembre.
Alla fine del Seicento l’edificio fu interessato da due crolli e venne restaurato in entrambe le occasioni su iniziativa del parroco di Cimitile, Carlo Guadagni; nel 1677 il cedimento fu determinato «dall’antichità», mentre nel 1679 dalla caduta del campanile.
Se i lavori di ripristino comportarono quasi certamente la riedificazione del campanile, non è sicuro che l’abside fu trasformata in sagrestia grazie alla tamponatura dell’ arco trionfale, cui venne addossato il nuovo altare. Guadagni nei suoi scritti ricorda l’esistenza di uno spazio «dietro l’altar maggiore», ma non registra esplicitamente la chiusura dell’ arco di trionfo né il rifacimento dell’altare, sicché non va escluso che abbia soltanto ristrutturato l’altare preesistente, lasciando aperto l’ arco trionfale.
L’avvenuta trasformazione dell’abside in sagrestia, grazie evidentemente alla tamponatura dell’arco, è testimoniata a partire dal 1829, quando «dietro all’altare maggiore» sorgeva «un vano in forma di semicerchio dell’ampiezza di circa tre canne quadrate ad uso di sagrestia» (circa 13,35 m2); molto probabilmente, però, la modifica era già avvenuta nel 1824, allorché la sagrestia è menzionata per la prima volta.
Nel 1769 il vescovo Filippo Lopez y Rojo, avendo riscontrato che la basilica minacciava di crollare, ordinò di riparare quanto prima il tetto e di rinnovare il pavimento e l’altare. Tre anni dopo il parroco Felice Rossi rifece «la mettà della suffittà di tavole lavorate», l’«astraco sopra la sacrestia, e tetto alla terrazza» e segnalò al vescovo la «necessità estrema» della porta della basilica. I lavori, che determinarono l’innalzamento del calpestio di circa 50 cm e l’apertura di tre finestre rettangolari in ciascuna delle pareti della basilica vennero completati anteriormente al 1792, come riferisce il sacerdote cimitilese Andrea Ambrosini, il quale segnalò «antiche dipinture» nell’abside. Quest’ultima segnalazione potrebbe indicare che nel 1792 l’abside non era stata ancora isolata dalla navata, anche se non va escluso che Ambrosini abbia visto gli affreschi in quella che era ormai già la sagrestia; grazie alla sua esplicita testimonianza sappiamo, invece, che erano state lasciate in vista le tre colonne (due nell’arco trionfale e una murata nel perimetrale nord della Chiesa) ricordate nel 1644, 1688 e 1747, allorché nella Chiesa si scendeva grazie ad una scala costituita da undici gradini.
Modesti interventi di manutenzione vennero disposti dal vescovo nel 1815, mentre non sappiamo se nuovi restauri furono effettuati nel decennio successivo, allorché entro il 1824 nella Chiesa di Santo Stefano si trasferì la confraternita del Santissimo Crocifisso che fino ad allora aveva avuto sede nella basilica di San Tommaso.
Nel 1829, oltre all’altare maggiore, ne sono chiaramente attestati altri due: quello addossato alla parete sinistra ospitava un «quadro rappresentante il martirio di Santo Stefano». Negli anni successivi, ma prima del 1876, la Chiesa subì una radicale ristrutturazione: le pareti laterali e la facciata vennero soprelevate; l’operazione comportò la costruzione di un nuovo campanile, la tamponatura delle sei finestre che dal XVIII secolo illuminavano la navata e la creazione di altrettante aperture più in alto, al di sopra del cornicione. Allo stesso tempo l’ arco trionfale fu riaperto e quasi totalmente ricostruito ad una quota superiore, analogamente al catino absidale, mentre alle spalle dell’emiciclo venne edificato un locale, a pianta mistilinea, adibito a sagrestia. I lavori, oltre a comportare la costruzione di un nuovo altare e l’innalzamento del calpestio di circa 90 cm, determinarono la scomparsa della scala, degli affreschi e delle colonne segnalate dagli eruditi del Sei e Settecento.
Nella pianta della basilica disegnata dall’architetto Stanislao Ferrari nel 1877 e pubblicata qualche anno dopo dall’abate Lagrange, l’altare risulta collocato al centro dell’abside, nella cui porzione nord si apre la porta d’accesso alla retrostante sagrestia; la planimetria non è, tuttavia, completa, in quanto non solo non registra la sagrestia, ma neanche i due altari che erano addossati alle pareti laterali della Chiesa.
Se già nel 1877 dell’antica decorazione della Basilica non rimaneva nulla, le tracce dell’originario impianto vennero definitivamente cancellate nel 1927, allorché l’edificio il 14 agosto fu consacrato alla Vergine del Carmelo dal vescovo Egisto Domenico Melchiori. Sette anni dopo – come scrive Antonio Jannone – la chiesa aveva «perduto tutto della sua antichità poiché i muri antichi con decorazioni e colonne sono stati distrutti o nascosti nei continui restauri».
Nel 1937, inoltre, il soffitto venne dipinto dal pittore Luigi Taglialatela, assumendo l’aspetto che ha mantenuto sino agli interventi condotti dalla Soprintendenza ai Monumenti a partire dal 1963. I lavori determinarono, tra l’altro, la scomparsa delle decorazioni eseguite nel 1927 e 1937, la demolizione del campanile e degli altari, ma misero in luce i resti dell’edificio paleocristiano con le colonne dell’arco trionfale e gli affreschi dell’abside.
Filo diretto di due comunità
di Gianni Amodeo
Il testo del professore Carlo Ebanista, docente di Archeologia medievale e cristiana nel Dipartimento di studi umanistici dell’Università del Molise, costituisce un significativo squarcio sul culto professato dalle comunità del territorio verso il Protomartire della cristianità, focalizzando la storia dell’edificio in cui per secoli è stato venerato; edificio che fa parte del monumentale complesso della Cittadella delle basiliche, a Cimitile, nel cuore della Diocesi di Nola, tra le più estese e antiche della Chiesa. Un complesso unico per la ricchezza evocativa non solo delle testimonianze dei valori religiosi e storico-artistici, in cui le comunità si riconoscevano, ma anche e soprattutto per la configurazione architettonica con cui si connota, rappresentando un cospicuo unicum di largo interesse culturale nel panorama dell’ archeologia sacra nell’Italia meridionale.
Nella ricostruzione di Carlo Ebanista, tra i maggiori e più autorevoli medievisti contemporanei, autore di una ricca e articolata produzione di saggi e testi ben conosciuti e studiati dalla koinè culturale e accademica italiana ed europea, si evidenzia in particolare come la doppia intitolazione di consacrazione della basilica per il culto del Protomartire e del Crocifisso, sia stata conservata fino al 1660, quando il Crocifisso viene sostituito nella venerazione rituale e la basilica di Santo Stefano viene conosciuta anche come la Chiesa dell’Incoronata, con riferimento all’icona mariana, venerata e presente nell’edificio. Nell’Ottocento, nella basilica del Levita ritorna il Crocifisso, ma quale titolo identificativo per accogliere l’omonima Confraternita che aveva avuto in precedenza la propria sede nella basilica di San Tommaso. E già nei primi decenni del Novecento di quello ch’era l’originario impianto basilicale, costituito da colonne,altari,abside e decorazioni non resta nulla, e l’edificio viene consacrato nel 1927 alla Vergine del Carmelo.
A Baiano, che dista da Cimitile poco meno di 10 chilometri, pure esiste la doppia venerazione di culto e devozione verso il Protomartire della cristianità e il Crocifisso, inteso come Croce, ma con situazioni, condizioni e tempi diversificati negli elementi distintivi e basilari. Il culto di Santo Stefano, patrono e protettore della comunità locale, è stato introdotto nel ‘700 e si conserva integro nel costume devozionale locale, con ancoraggio nel Santuario che Gli è dedicato, ampliato a tre navate agli inizi del ‘900 in esecuzione del progetto dell’ingegnere Felice Ippolito, su una preesistente cappella risalente al ‘500, che conserva testimonianze di ipogei cimiteriali. Al culto della Croce è, invece, dedicata la Chiesa, attualmente interdetta ai fedeli per l’attuazione del programma di lavori di rifacimento della volta e copertura, con interventi di manutenzione della mura perimetrali; programma in fase avanzata di esecuzione. La costruzione della Chiesa Madre di Santa Croce si fa risalire al ‘500 e s’affaccia su corso Garibaldi, che prima della pavimentazione in basolato, realizzata nella seconda parte dell’Ottocento, con le piogge abbondanti e le acque copiose che si riversavano a valle dalle aree collinari di Gesù e Maria, si trasformava in provvisorio e insidioso torrente. Ed anche nella Chiesa di Santa Croce si conservano testimonianze di alcuni ipogei cimiteriali con i rispettivi stalli colatoi.
Filo diretto, allora, tra Cimitile e Baiano? Certamente sì, e non solo sotto il profilo della religiosità e dei luoghi di culto, ma anche per diffuse e consolidate relazioni sociali,culturali e, specie fino a qualche decennio fa, economiche e produttive, in connessione con le attività agricole. E, tuttavia, per saperne ben di più, nello riscoperta di altri aspetti importanti e interessanti della Cittadella delle basiliche paleocristiane, sarà utile leggere le pagine su “Gli scavi degli anni Cinquanta e Sessanta nel complesso basilicale di Cimitile. Documenti inediti e nuove acquisizioni“, in «Rendiconti dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti in Napoli», LXXII (2003), pp. 167–273. Sono pagine scritte da Arcangelo Mercogliano e Carlo Ebanista, cimitilesi di nascita e residenza, fini intellettuali e studiosi metodici, alla cui professionalità e passione culturale si deve tanta parte della riscoperta organica e strutturata dei valori della Cittadella.