Il 23 maggio 2021 il Napoli ha vissuto una delle serate più dolorose della sua storia recente, paragonabile solo al 3-0 rimediato a Firenze nella primavera del 2018 e che segnò la fine dei sogni scudetto dell’undici allora allenato da Sarri.
Al Maradona era di scena il Verona, ultima giornata di campionato e scaligeri già salvi da diverse settimane, senza alcun obiettivo concreto. I partenopei, dal loro canto, avevano coronato una lunghissima rimonta per rientrare in zona Champions fino ad arrivare a dipendere da loro stessi: una vittoria, data per scontata da tutti, sarebbe valsa il ritorno nella competizione continentale più prestigiosa. Finì 1-1, finì coi sospetti di un “ammutinamento” dello spogliatoio, finì con Gattuso che – con le mani legate anche dal silenzio stampa imposto dall’alto – lasciò Napoli senza poter dare una spiegazione valida all’accaduto. Finì soprattutto la sua gestione, amara e deludente sotto molti punti di vista.
Cinque mesi dopo, il Napoli è un serio candidato allo Scudetto, stando anche alle quote dei più importanti bookmakers elencati su casinoonlineaams.com. Un mezzo miracolo.
Estate priva di sussulti
E dire che il calciomercato estivo aveva ulteriormente “depresso” l’ambiente: solo un acquisto di rilievo, il camerunense Anguissa, sconosciuto ai più, prelevato in prestito oneroso dal Fulham (500mila euro) e preso per sostituire il mediocre Bakayoko. A conti fatti, un affare, ma davvero in pochi avrebbero pronosticato un impatto così fragoroso del centrocampista.
In panchina, dopo una serie infinita di nomi dati in pasto ai tifosi dai giornali (Sarri, Allegri, Benitez, Dionisi, Italiano, Galtier e tanti, tantissimi altri), c’era Luciano Spalletti: due anni di esilio forzato, nelle campagne toscane, stipendiato dall’Inter che ha preferito pagarlo fino all’ultimo giorno pur di non liberarlo prima. In più, il ritorno di diversi prestiti. Poco da esultare, ma a posteriori va letta con estremo interesse una frase del tecnico ex Roma e Zenit: “Mi incatenerei ai cancelli di Castelvolturno pur di non veder partire nessuno”.
La mano di Spalletti
Ed è bastata l’esperienza e la tranquillità di Spalletti per ridare fiducia ad un gruppo sull’orlo di una crisi di nervi. La capacità del Napoli di portare a casa vittorie anche con episodi contrari sorprende: Venezia, Juve, Genoa, Torino. Queste partite il Napoli di Gattuso, probabilmente, non le avrebbe mai vinte.
Questo il primo merito di Spalletti, che ha incluso e non escluso, protetto e non esposto i giocatori a sua disposizione. Basti pensare che nelle primissime uscite stagionali, prima dell’infortunio, anche Lobotka (uno dei grandi “epurati” di Gattuso) sembrava letteralmente trasformato.
Ma più dello slovacco, ovviamente, colpiscono i miglioramenti tecnici e tattici di Osimhen, giornata dopo giornata: il nigeriano era ridotto ad un’arma utile solo al contropiede, oggi è già un centravanti completo e capace di partecipare alla manovra offensiva con qualità e tempi di gioco. Il lavoro quotidiano sui calciatori, migliorarli, è un’altra grande differenza col passato.
La lista, in tal senso, è lunghissima: Rrahmani oltre a togliere il posto da titolare a Manolas (scelta forte) sta permettendo a Koulibaly di tornare a livelli assoluti, oggi è nuovamente tra i primi 5 centrali in Europa. Mario Rui offre una continuità di rendimento mai vista nei suoi anni napoletani, l’accoppiata Ruiz-Anguissa a centrocampo ha permesso allo spagnolo di giganteggiare fino ad oggi in cabina di regia. Fabian era divenuto una sorta di oggetto misterioso negli ultimi mesi della scorsa stagione. E poi la fiducia alle seconde linee: il “tu resti qua” a Petagna dopo il gol vittoria a Genova è già iconico, Ounas utilizzato come “spaccapartite”, Elmas…Senza dimenticare che i ballottaggi perenni Ospina-Meret e Politano-Lozano per ora portano solo ottimi risultati da chi scende in campo. Insomma, in definitiva c’è un salto di qualità evidente anche dal punto di vista della gestione della rosa. Qualitativamente e quantitativamente di certo non da quinto posto in questa Serie A.