La sensazione di questi ultimi tempi è che tutte le forze migliori si siano concentrate e mobilitate per combattere il “femminicidio”, stigmatizzando ogni ritardo nella prevenzione ed incentivando la denuncia, ma ogni sforzo pare sia reso vano e non serva a ridurre almeno, i numeri allarmanti: 81 donne uccise nei primi mesi del 2013, pari al 75% dei delitti tristemente consumatisi nel contesto familiare! Lo spunto di questa riflessione mi è data da una notizia di “casa nostra”, la cronaca della diciottenne di Casalvelino, piccolo Comune del Cilento, nel Salernitano legata, imbavagliata e picchiata selvaggiamente nella propria abitazione dal fidanzato, pizzaiolo trentenne marocchino e residente a Castellabate, il quale ha reagito con tutta la sua furia al termine di un litigio per futili motivi. La ragazza, impossibilitata a contrastarlo perché legata, è stata imbavagliata e riempita di botte per ore, e lo scempio è stato interrotto solo dall’arrivo sul posto di una zia. Il suo aguzzino, come accade di sovente, l’ha “graziata” slegandola ma minacciandola perchè non parlasse! Fortunatamente però, la giovane ha avuto il coraggio di raccontare tutto alla zia che ha allertato i carabinieri. L’uomo ha precedenti per droga, estorsione e minacce e la denuncia della giovane ha consentito ai carabinieri prontamente intervenuti, di ammanettarlo e trasferirlo in carcere su disposizione del sostituto procuratore della procura del Tribunale di Vallo della Lucania Valeria Palmieri. Ho sempre profuso particolare attenzione e dedizione alla tutela dei soggetti vulnerabili come le donne vittime di violenze intrafamiliare e mi preme sottolineare il disagio che noi professionisti viviamo nel momento in cui siamo chiamati a gestire e risolvere casi simili. Sarebbe semplicisticamente logico “fare l’avvocato” e dare così immediato seguito all’applicazione degli strumenti che il codice e le leggi speciali ci forniscono ma, dall’altro lato, non possiamo dimenticare che nella quasi totalità dei casi, la persona che “chiede aiuto”, spesso è anche mamma, convive con il suo aggressore ed è terrorizzata all’idea di far ritorno nella dimora all’interno della quale non le è consentito di disallinearsi ai “dettami” del marito/compagno violento, per evitare violenze ed umiliazioni. In tal caso gli strumenti a nostra disposizione sono ridotti al lumicino, in quanto ci troviamo a dover contrastare soprattutto le incertezze e le titubanze delle donne che non trovano la forza di denunciare o se lo fanno ritirano la querela! E’ pur vero che le donne vivono una condizione di sudditanza psicologica ed economica, ma nulla cambia quando pur essendo loro stesse potenzialmente il soggetto “forte”, potrebbero essere affrancate in virtù di un atto di coraggio che tarda a manifestarsi. Non di rado è l’uomo ad essere “mantenuto” dalla compagna all’interno di una casa della quale è ella stessa proprietaria, dunque esisterebbero tutte le condizioni per evitare il peggio, ma è l’uomo a non concepire l’idea di rimanere senza un “tetto” e senza sostegno economico e dunque per la donna cambia poco o nulla! Noi avvocati paradossalmente, in circostanze simili dovremmo essere aiutati dai nostri assistiti; abbiamo necessità di preservare le nostre certezze processuali, dalle quali partire ed in prospettiva delle quali giungere a risultati che devono essere immodificabili! L’omissione del legislatore si rinviene nella mancata previsione della procedibilità ex officio della querela, nel ritardo a predisporre mezzi idonei a tutelare le donne già nel momento in cui decidono di allontanarsi dal compagno violento, senza timore di esporre se stesse ed i propri figli ad ulteriori traumi e violenze. Aldilà delle recenti ratifiche della Convenzioni d’Instanbul, che sembrava essere la risposta a tutte le implicazioni, pur prevedendo l’individuazione di una strategia condivisa per il contrasto della violenza sulle donne, la prevenzione della violenza, la protezione delle vittime e la perseguibilità penale degli aggressori”, noi addetti ai lavori abbiamo il dovere morale e deontologico di ascoltare i timori di chi ci “chiede aiuto” e contemperare le nostre azioni processuali alla realtà che troppo spesso non ci consente di essere solo avvocati, ma prima di tutto persone, troppo spesso lasciate sole dalle istituzioni, lontane da quelle sinergie decantate in quei numerosi e “vuoti”convegni; spenti i riflettori restano i drammi familiari irrisolti e dei quali ci sentiamo tutti un po’ responsabili. Presidente Avv. Tiziana TOMEO